Da icona antimafia nel quartiere Zen di Palermo agli arresti domiciliari. La dirigente scolastica dell’istituto Giovanni Falcone di Palermo, Daniela Lo Verde, è accusata insieme al vice preside Daniele Agosta di peculato e corruzione. Oltre a loro è finita ai domiciliari anche la dipendente della ditta informatica locale R-Store, Alessandra Conigliaro, alla quale i due dirigenti hanno assicurato «l’esclusiva per la fornitura di materiale vario» per l’istituto «per lo più in aggiudicazione diretta», si legge nelle carte.

Secondo l’accusa i dirigenti si sarebbero impossessati dei generi alimentari della mensa, di apparecchiature elettroniche e avrebbero anche falsificato le firme degli alunni che partecipavano ai progetti Pon (del Programma operativo nazionale) finanziati dai programmi Ue.

L'inchiesta, condotta dai carabinieri del nucleo investigativo di Palermo e coordinata anche dalla procura europea, ruota attorno alla mala gestione dei fondi europei indirizzati verso l’istituto. A far partire gli accertamenti è la denuncia sporta il 2 febbraio del 2022 da una ex insegnante dell’Istituto «la quale rappresentava una realtà torbida e una gestione se non altro dispotica della cosa pubblica da parte della preside».

Firme false

Secondo quanto pubblicato nel comunicato della procura europea, i dirigenti avrebbero falsificato le richieste e le firme degli alunni partecipanti ai progetti. «Attestando falsamente la presenza degli alunni all'interno della scuola anche in orari extracurriculari al fine di giustificare l'esistenza di progetti Pon di fatto mai realizzati o realizzati solo in parte, nella considerazione che la mancata partecipazione degli studenti avrebbe inciso in maniera direttamente proporzionale sulla quota parte dei fondi destinati per ciascun Pon alla dirigenza». Tra le conversazioni intercettate i dirigenti si lamentavano anche dei docenti che non apponevano le firme degli alunni, facendo perdere denaro alla scuola.

L’ex insegnante ha denunciato anche che la scuola aveva ricevuto fondi per novemila euro «per l’acquisto di nuove attrezzature per la palestra e che, tuttavia, le fatture erano state gonfiate, cosicché i pochi attrezzi confluiti nei locali dell'Istituto erano stati acquistati con una minima parte dei fondi a disposizione, mentre la restante parte dei soldi era stata spesa per fare acquisti privati di capi di abbigliamento e calzature per la dirigenza».

Il cibo della mensa

«Questo me lo voglio portare a casa, questi me li voglio portare a casa», dice la dirigente in una delle intercettazioni ambientali. Secondo gli inquirenti sono conversazioni riguardanti i generi alimentari destinati alla mensa acquistati con i soldi pubblici europei e di cui la dirigente «si impossessava».

Ciò che emerge – dicono gli inquirenti – è «una gestione assolutamente spregiudicata e volta a curare meramente interessi di natura personale, inerente la procedura di acquisto nonché la gestione della fornitura di generi alimentari per la mensa» dell’istituto. Si tratta di alimenti di poco valore come scatolette di tonno, barattoli di origano, giardiniera, besciamella.

I prodotti informatici

«Speriamo che mi porti il giocattolo!», diceva uno dei due dirigenti in una intercettazione riferendosi alla dipendente della ditta informatica locale che avrebbe dovuto fornire all’istituto vari dispositivi Apple (Ipad e Mac) con i soldi europei. 

Secondo gli investigatori, «la dirigenza dell'istituto avrebbe affidato stabilmente, contra legem, la fornitura di materiale tecnologico ad una sola azienda in forza di un accordo corruttivo volto all'affidamento di ulteriori e importanti commesse in cambio di molteplici illecite dazioni di strumenti tecnologici di ultima generazione».

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