Nel continente del pontefice argentino, “bergogliano” è una categoria passata come qualcosa di divisivo e senza sostanza, una sorta di corpo estraneo: qui la chiesa è stata egemonizzata dalla sua presenza mediatica e autobiografica. E i vescovi non si riuniscono da tempo immemore
In molti ambienti già da qualche anno alla domanda «Chi sarà il papa dopo Francesco?» l’immediata risposta, sarcastica ma diffusa, era: «Sicuramente non un latinoamericano, e neanche un gesuita!». La reazione era quasi una formula, covata nel profondo delle chiese dell’America Latina che sono raggruppate in ventidue conferenze episcopali.
Se si lasciano da parte le visite dei papi in questa parte del mondo in quanto fenomeni soggetti a dinamiche non soltanto religiose, papa Francesco non è stato per questi popoli e chiese quello che ci si aspettava per il solo fatto di essere argentino e l’indubbio carisma di leader sociale. Il cardinale Jorge Mario Bergoglio, arcivescovo di Buenos Aires, al momento della sua elezione era però una figura quasi sconosciuta, e il suo prestigio tutto circoscritto all’interno delle alte gerarchie cattoliche. Il fatto che il prelato argentino sia stato a capo della commissione che nel 2007 ha scritto il documento finale della conferenza di Aparecida, in Brasile, non è stato mai enfatizzato fino al giorno della sua elezione in conclave.
Decine di nomine
Se si prescinde dalle fasce gerarchiche superiori composte da cardinali e vescovi e dall’arcipelago delle religiosità popolari, al composito mondo dei preti e delle suore, dei laici impegnati e dell’associazionismo – vero cuore pulsante del cattolicesimo latinoamericano – il pontificato di Francesco è apparso come un monolite mediatico autoritario e freddo.
Le molte decine di nomine episcopali in dodici anni sono state accolte dalla maggioranza dei fedeli con poca simpatia perché spesso incomprensibili, oltre al fatto che la maggioranza dei nominati sono stati uomini non catalogabili come progressisti, termine ricorrente come un mantra nella cosiddetta nuova chiesa latinoamericana.
In America Latina “bergogliano” è una categoria passata come qualcosa di divisivo e senza sostanza, una sorta di corpo estraneo imposto dai media. L’espressione ha assunto quasi subito una connotazione politica sulla scia del peronismo al quale è attribuito il detto «agli amici tutto, ai nemici neanche giustizia». Con noi o contro di noi: insomma ci si adegua o niente.
Dal grande fallimento del viaggio del papa in Cile nel gennaio del 2018, questa distanza è cresciuta sino a oggi al punto che la morte di Bergoglio è stata vissuta in America Latina come un evento triste. Niente di straordinario, come niente di straordinario si registrò al momento dell’elezione.
In questi anni le chiese dal Río Grande alla Patagonia sono state progressivamente smontate, appiattite, e inserite nel meccanismo della burocrazia continentale del Celam, il Consiglio episcopale latinoamericano fondato da Pio XII nel 1955, con sede a Bogotá in Colombia e non a Roma, come avrebbero invece voluto i vescovi. Fino all’assemblea di Aparecida questo organismo di coordinamento continentale delle chiese è stato per quasi settant’anni un motore vivace e dinamico, coraggioso e animato da un grande pensiero e da una elaborazione teologica di avanguardia, e luogo dove sono nati i programmi delle storiche assemblee continentali a Rio de Janeiro, Medellín, Puebla, Santo Domingo, Aparecida.
Tra il 2017 e il 2018 si sarebbe dovuta svolgere una nuova assemblea continentale dopo quella di Aparecida. Ma papa Francesco l’ha sempre bloccata, e alla fine sono stati decisi incontri a distanza: una sorta di chiesa internet governata con applicazioni come Zoom, WhatsApp Web o Skype.
I vescovi latinoamericani non si riuniscono in assemblea da diciotto anni. Anni in cui la presenza mediatica e autobiografica del pontefice argentino ha egemonizzato quello che per decenni era stato un rapporto diverso anche nel disaccordo: appassionato, fruttifero, solidale, al servizio della crescita del cattolicesimo latinoamericano, oggi in caduta libera in molti paesi della regione, con percentuali intorno al 50 per cento.
La questione più dolorosa, che prima o dopo emergerà, è la disarticolazione teologica, componente fondamentale del mondo cattolico dell’immensa regione: in America Latina la teologia è stata fermata. Papa Francesco, aderente e sostenitore della cosiddetta teologia del popolo, di taglio progressista, ha però fornito le risorse per seppellire definitivamente le teologie della liberazione che, nonostante insofferenze, errori e manchevolezze, sono state – e forse sono ancora – una ricchezza della fede cristiana e dell’intera chiesa. «Magari sia solo un letargo!», ci ha detto nei primi giorni della sede vacante un cardinale elettore latinoamericano.
© Riproduzione riservata