«Non lasciatevi turbare da voci che mirano a gettare discordia tra voi: il bene dell’autentica comunione fraterna va custodito anche quando è alto il prezzo da pagare!». Con una lettera, papa Francesco vuole mettere la parola fine al terremoto che sta spaccando in due la comunità di Bose, l’organizzazione di diritto diocesano fondata dal piemontese Enzo Bianchi in provincia di Biella negli anni Sessanta. Al centro della contesa c’è proprio lui, l’ex priore, che nonostante le dimissioni date nel 2017 e l’elezione del successore, Luciano Manicardi, non è mai andato via dalla borgata. In un primo momento, Bianchi ha infatti continuato ad arrogarsi una parte direttiva nella comunità, come l’organizzazione dei convegni internazionali di spiritualità ortodossa e di liturgia. Nel 2020 è arrivata la parola decisiva dalla Santa sede a seguito di un’ispezione del delegato apostolico Amedeo Cencini. Bianchi avrebbe dovuto lasciare Bose e trasferirsi nella pieve toscana di Cellole di San Gimignano: ordine dapprima accettato, poi disatteso per diverse ragioni, come spiega lo stesso Cencini in un comunicato stampa.

La lettera del papa

Nella lettera, il papa invita a proseguire nel carisma fondativo della comunità di Bose. «La dimensione ecumenica che vi caratterizza e il vostro anelito operoso per l’unità dei cristiani sono tesoro prezioso che la chiesa vuole custodire, vegliando sulla sua autenticità e fecondità», scrive senza menzionare mai Bianchi. Al contrario, la missiva ribadisce la linea dell’attuale priore, Manicardi, in sinergia con il delegato pontificio. Scelto da una terna che includeva l’abbadessa Anne-Emmanuelle Devêche e l’abate di Chevetogne, Michel Van Parys, il canossiano Amedeo Cencini è esperto di problematiche psicologiche della vita sacerdotale e religiosa. Dopo svariati attacchi da parte della stampa, il delegato ha ritenuto opportuno dare conto pubblicamente della sua versione: «In ogni momento – a partire dalla notificazione del Decreto singolare nel maggio scorso – come Delegato Pontificio ho agito in pieno accordo e secondo le disposizioni della Santa sede», ha specificato in un comunicato stampa. Nessuna “scure medioevale” su Bianchi, come scriveva Massimo Recalcati sulla Stampa.

Il papa stesso ha infine chiarito che da Roma non si è mai voluta soffocare la profezia ecumenica di Bose né istituzionalizzarne il carisma. Ciononostante è emersa la necessità di sgravarsi di alcuni pesi con l’allontanamento di Goffredo Boselli, Lino Breda e Antonella Casiraghi per cinque anni e dell’ex priore a tempo indeterminato. Non è noto il contenuto del decreto singolare presentato a Bianchi dalla Santa sede. L’ex priore ha dichiarato di essere «disposto a mostrare i documenti», accennando a presunte «calunnie espresse nel Decreto», ma diversa è la prospettiva tracciata dal papa, che nella lettera menziona «le gravi difficoltà che avevano portato alla Visita apostolica e all’emanazione del Decreto singolare (…) purtroppo accresciute a causa del prolungato ritardo frapposto all’esecuzione delle decisioni della Santa sede ivi contenute», vale a dire l’ostinata presenza dell’ex priore a Bose, nonostante l’ordine di allontanamento ormai scaduto. A cosa si riferisce il papa con «gravi difficoltà»? C’entrano qualcosa gli abusi di potere menzionati di recente dal gesuita spagnolo Alejandro Labajos in un approfondimento apparso sul sito spagnolo Vida Nueva? Al momento, né il delegato pontificio, né la Santa sede avvertono la necessità di svelare quanto agli interessati è già noto.

Lo statuto contraffatto

La sovraesposizione mediatica del caso Bose, accentuato dalla figura di Enzo Bianchi, non ha risparmiato alcune critiche alla gestione del priore Manicardi. Due giorni fa, la fraternità ha diramato un comunicato stampa contro la circolazione di una versione contraffatta dello statuto di Bose, lanciata dal blog del canonista Marco Felipe Perfetti, poi menzionato dal Faro di Roma. In questa versione, compare una “norma transitoria” non presente nello statuto originario, che conferirebbe poteri a Enzo Bianchi come fondatore: «In nessun articolo dello Statuto compaiono nomi propri di persone, né i termini “fondatore” o “priore emerito” ha spiegato la comunità di Bose, smentendo quanto scritto da Francesco Antonioli su Repubblica.it il 17 marzo: «Dal punto di vista giuridico chi gli è vicino ricorda che lo Statuto della comunità, modificato e approvato nel 2016, accetta pienamente il ruolo del Priore emerito nella figura del fondatore» si riporta, ma la comunità nega questa norma nello statuto vigente.

Due cardinali per Cellole

Un altro enigma riguarda il ruolo dei cardinali Matteo Zuppi e Giuseppe Versaldi nella proposta di Cellole, la pieve alle porte di Volterra che la comunità ha concesso in comodato d’uso gratuito a Bianchi per consentirne l’allontanamento da Bose. Sul punto ancora Repubblica riporta che «la proposta di Cellole (…) non è mai partita dal delegato Cencini, ma è una soluzione individuata dai cardinali Versaldi e Zuppi».

La proposta di Cellole è stata formulata a Bianchi nel novembre 2020 su un’idea elaborata in precedenza dalla stessa comunità. L’ex priore non aveva fatto segreto che Cellole avrebbe potuto diventare il luogo in cui vivere gli ultimi anni della sua vita, al punto che, in fase di ristrutturazione, aveva dato suggerimenti sulla sistemazione dei locali. Perché, allora, vengono menzionati due cardinali tra i fautori della proposta, e che ruolo avrebbe avuto il cardinale Zuppi, che nessuno ricorda abbia mai messo piede a Bose? L’arcivescovo di Bologna, amico stretto di Bianchi – come l’ex priore ricordò in un tweet in occasione – nei mesi scorsi non ha mai raggiunto la comunità di Bose, né per mail né per telefono. Con quale titolo avrebbe proposto Cellole? Lo abbiamo contattato via email, ma finora non ha risposto alle domande. Ma la lettera di papa Francesco dice anche altro. «La dimensione ecumenica che vi caratterizza e il vostro anelito operoso per l’unità dei cristiani sono tesoro prezioso che la chiesa vuole custodire, vegliando sulla sua autenticità e fecondità».Il papa incoraggia un’associazione privata di fedeli a strutturarsi più adeguatamente rispetto alla propria vocazione. Un passo in avanti importante per una fraternità che raccoglie i frutti del Concilio vaticano II. Ma, per farlo appieno, è necessario chiudere con il passato.

 

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