Sono passati quasi cinquant’anni dal 1976, quando Paolo VI affidò alla Pontificia commissione biblica l’incarico di studiare il ruolo della donna nella Scrittura e aprirsi a un’eventuale ruolo sacerdotale delle donne nella chiesa. Il parere della commissione non fu negativo, ma l’allora prefetto della Congregazione per la dottrina della fede, il cardinale Franjo Šeper, non ne tenne conto quando nello stesso anno firmò la dichiarazione Inter Insigniores sul «posto della donna nella società moderna e nella Chiesa».

Cinque decenni dopo papa Francesco, in pieno cammino sinodale della chiesa, aveva definito la questione «non matura», rendendo ancora più difficile infrangere quel tetto di cristallo che, da tutte le parti del mondo, sempre più donne cattoliche e femministe chiedono di abbattere da dentro. Da mezzo secolo lo fa Women's Ordination Conference (WOC), nata nel 1975 nel solco del Concilio Vaticano II a sostegno dell'accesso delle donne al presbiterato, diaconato ed episcopato in una Chiesa cattolica romana inclusiva e responsabile. A tracciarne un bilancio nel dopo Francesco è la sua direttrice esecutiva, Kate McElwee.

La WOC è un’associazione nata dopo il Concilio Vaticano II. Da allora a oggi, avete visto cambiamenti significativi?

Nel 1979 suor Theresa Kane, allora presidente delle Sisters of Mercy of the Americas e della Leadership Conference of Women Religious (LCSW), diede il benvenuto a papa Giovanni Paolo II in visita alla basilica del Santuario Nazionale di Washington, DC. Theresa era circondata da generazioni di donne, e sapeva che avrebbe dovuto parlare non solo per quelle cattoliche, ma per tutte: «Vi esorto, Santità – disse – a essere aperti e a rispondere alle voci provenienti dalle donne di questo paese che desiderano servire nella chiesa come membri pienamente partecipanti. Abbiamo ascoltato il potente messaggio della chiesa sulla dignità e la nostra contemplazione ci porta ad affermare che la chiesa, nella sua lotta per essere fedele alla sua chiamata all’umiltà e a dignità di tutti, deve offrire la possibilità alle donne come persone di essere incluse in tutti i ministeri della nostra Chiesa». Furono parole coraggiose, e ci è voluto coraggio anche per fidarsi di quella voce.

Dieci anni dopo (1988) Wojtyła pubblicò la Lettera apostolica Mulieris dignitatem. Da allora, con l’avvento di papa Francesco, è cambiato qualcosa, vero?

L'impegno di Papa Francesco per un dialogo aperto ha incoraggiato un profondo discernimento sul ruolo delle donne all'interno delle strutture ecclesiastiche. Oggi le donne sono nominate in posizioni apicali in Vaticano, cardinali e vescovi stanno discutendo apertamente la questione dell'accesso delle donne al diaconato e al sacerdozio; abbiamo anche visto le donne votare in Vaticano per la prima volta. Per esempio, il lavoro della seconda commissione sulle donne e il diaconato sta continuando dopo il Sinodo. Queste sono tutte crepe nel soffitto pieno di vetrate colorate. Se molte di noi biasimano lentezza, va riconosciuto che questi cambiamenti verso l'inclusione delle donne sono stati comunque significativi.

Eppure, quando la Congregazione per la dottrina della fede disse no all’ammissione delle donne nel 1976, secretò i documenti che ponevano interrogativi. Allo stesso modo papa Francesco non ha fatto pubblicare le conclusioni parziali delle ultime commissioni di studio. Cosa è cambiato?

L'infinito "studio" sul tema delle donne è una tattica dilatoria patriarcale sviluppata da uomini ordinati per mantenere lo status quo. Non è chiaro perché i rapporti della commissione non siano stati resi pubblici o non siano stati resi disponibili all'assemblea sinodale, come peraltro richiesto durante la prima sessione del Sinodo sulla sinodalità. Credo che sarebbe utile al discernimento globale in corso avere più trasparenza in questo processo.

Nell’ultimo Sinodo ha individuato dei limiti alle aperture sul tema? Lei ha definito il testo finale del cammino sinodale come un «tradimento delle aspirazioni delle donne nella Chiesa cattolica».

Mentre il testo profondamente teologico del documento finale del sinodo punta ai frutti di una chiesa più collegiale, le sue aperture all'uguaglianza delle donne e ai doni uguali conferiti a tutto il popolo di Dio attraverso il battesimo suonano vuote, se mancano chiari passaggi per la loro attuazione. Sulla questione delle donne diacono, semplicemente, la questione rimane "aperta" ma necessita di ulteriore discernimento. Il documento incoraggia la partecipazione delle donne ai ruoli esistenti all'interno della chiesa, ma non si addentra in una riflessione più approfondita sulla cultura clericale e maschilista che scoraggia o impedisce la realizzazione di tali ministeri.

Al Sinodo per l’Amazzonia del 2019, la questione dell’accesso al diaconato delle donne fu al centro di svariati dibattiti. Ne parlò con franchezza la religiosa francescana Marlene Fatima Betlinski in nome dell’Unione Internazionale delle Superiore Generali. È solo questione di tempo?

Il Sinodo per l’Amazzonia è stato un passo significativo nel cammino verso la realizzazione delle donne al diaconato oggi. Durante quel processo le donne hanno potuto condividere testimonianze delle realtà dei loro ministeri e delle profonde necessità sacramentali della chiesa oggi. Riconoscere il lavoro delle donne con l'ordinazione diaconale sarebbe il primo, più importante passo verso la correzione del torto del sessismo istituzionale, che ostacola la nostra chiesa mentre cerca di rispondere alle crisi del nostro tempo. Mi vengono in mente le parole di papa Francesco secondo cui la chiesa deve essere un «ospedale da campo» che si prende cura dei feriti gravi: «Bisogna curare le [loro] ferite. Poi possiamo parlare di tutto il resto. Curare le ferite, curare le ferite... E bisogna cominciare dalle fondamenta». Questa guarigione deve iniziare con la volontà di credere nelle donne, di avere fiducia che possano ascoltare, discernere e rispondere alla chiamata di Dio.

Molti analisti hanno osservato che papa Francesco, nonostante abbia nominato donne in ruoli di leadership, non ha realmente affrontato la questione del sacerdozio femminile. Oggi, la porta è ancora aperta nella chiesa cattolica?

A papa Francesco è stata chiesta la possibilità di affrontare l’accesso delle donne al presbiterato quasi ogni anno del suo pontificato. Ma abbiamo riscontrato che la sua politica ripetuta di "porte chiuse" sull'ordinazione delle donne era dolorosamente incongrua con la sua natura pastorale. Per molte, è stato un tradimento della chiesa sinodale e in ascolto che sosteneva. Ciò lo ha reso una figura complicata e a volte straziante per molte donne. Abbiamo pregato a lungo che papa Francesco potesse essere trasformato dalle testimonianze delle donne che chiedevano a gran voce l'uguaglianza per poter guidare la chiesa verso l'accettazione della piena uguaglianza delle donne.

Cosa deve davvero cambiare? Pensa che un giorno ci possa essere un Conclave con una presenza femminile?

Una chiesa sinodale esige la piena partecipazione delle donne come partner di pari dignità nel ministero ordinato, niente di più. Quando donne e uomini sono in grado di collaborare e rispondere alle esigenze della chiesa odierna con urgenza missionaria, allora la chiesa cattolica può iniziare a guarire dalle sue ferite di clericalismo, abuso e misoginia. Questa esclusione delle donne dai ministeri ordinati impedisce alla nostra chiesa di essere completa e viola l'integrità di tutti i suoi membri, limitando le opportunità di abbracciare i doni di Dio e di vivere autenticamente il Vangelo. Possiamo solo immaginare cosa potrebbe diventare la nostra chiesa se le donne venissero supportate nell’accesso ai ministeri e finanziate a livello istituzionale. Se la chiesa oggi vuole occuparsi di questioni più ampie di oppressione, violenza e ingiustizia nel mondo, deve iniziare affermando la capacità delle donne di ascoltare e seguire Dio. Prego che la nostra chiesa e la nostra società possano accorgersi che le donne possiedono pari diritti e sono pienamente capaci di immaginare Cristo.

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