Moltissimi hanno cercato testi, scritti, interviste per dare solidità a quanto si era subito diffuso subito dopo l’elezione del pontefice – latinoamericano, gesuita, di nome Francesco, quindi un progressista – ma non si è trovato nulla. Allora il bisogno e il dovere mediatico di raccontare i fatti hanno trovato uno sbocco, seppure impreciso, nelle parole del crocifisso della chiesa di San Damiano a Francesco d’Assisi nel 1205: «Va’ Francesco, ripara la mia casa che, come vedi, è in rovina»
Lungo i 4.432 giorni del pontificato argentino si è articolata e cristallizzata una narrazione sul gesuita Jorge Mario Bergoglio, vescovo di Roma con il nome di Francesco, il «papa progressista» chiamato addirittura «l’ultimo socialista». Al momento dell’elezione – e per un paio di anni – il pontefice non ha però mostrato un carisma riformista.
Sul tema della riforma non c’erano libri o saggi suoi, e nemmeno testimonianze attendibili all’interno della chiesa. Nei suoi numerosi discorsi da papa e in diverse interviste – il suo genere privilegiato – per due anni non ha mai parlato di riforme nella chiesa. Questo programma gli veniva invece attribuito da più parti. Tutt’al più si parlava del classico tema costituito dalla «riforma della curia», riorganizzazione poi condensata in un testo promulgato nel 2022 come frutto del consiglio di cardinali.
Bergoglio non aveva fama né di progressista né di riformista, anzi era annoverato nei settori conservatori dell’episcopato latinoamericano, dominato nel complesso da vescovi moderati. In Argentina era sempre stato considerato un conservatore con grande sensibilità sociale, e per questo eletto due volte presidente della Conferenza episcopale, fra le più conservatrici nella regione. Addirittura c’erano settori politici e giornalistici che lo avevano associato a personaggi delle dittature militari.
Vatileaks 2
Poi l’8 novembre 2015, nel contesto della vicenda detta Vatileaks 2, ha detto al termine dell’Angelus: «So che molti di voi sono stati turbati dalle notizie circolate nei giorni scorsi a proposito di documenti riservati della Santa sede che sono stati sottratti e pubblicati». E ha assicurando che questo «triste fatto» certo non l’avrebbe distolto «dal lavoro di riforma che stiamo portando avanti con i miei collaboratori e con il sostegno di tutti voi».
La poca conoscenza del cardinale Bergoglio da parte dell’opinione pubblica, anche tra i cattolici più informati – con l’eccezione degli eventi che nel 2007 lo avevano collegato alla conferenza di Aparecida quando come arcivescovo di Buenos Aires aveva guidato la commissione per la redazione delle conclusioni – ha costituito per la maggioranza dei giornalisti una grossa difficoltà il giorno dell’elezione e in quelli successivi. Così i titoli e commenti si sono riferiti al «papa dell’altro mondo», alla «sorpresa Francesco», al papa «della buona sera», e null’altro.
Moltissimi hanno cercato testi, scritti, interviste per dare solidità a quanto si era subito diffuso – latinoamericano, gesuita, di nome Francesco, quindi un progressista – ma non si è trovato nulla. Allora il bisogno e il dovere mediatico di raccontare i fatti hanno trovato uno sbocco, seppure impreciso, nelle parole del Crocifisso della chiesa di San Damiano a Francesco d’Assisi nel 1205: «Va’ Francesco, ripara la mia casa che, come vedi, è in rovina».
Vicino agli ultimi
A questo bel racconto francescano è stata presto associata, da alcuni più esperti, una caratteristica di Bergoglio sacerdote: la sua vicinanza a Buenos Aires – megalopoli allora di oltre sedici milioni di persone, metà delle quali poveri – ai più svantaggiati e agli ultimi in quanto esigenza etica di promozione umana sulle orme di Cristo e del Vangelo, esplicitata nella dottrina sociale della chiesa. Forse questa dottrina è sempre stata per papa Francesco la materia in cui si è manifestata di più la sua dimensione pastorale ma anche alcune sue elaborazioni teoriche.
A partire dalla sollecitudine verso l’uomo, quale «via maestra della chiesa» come l’ha vissuta Francesco, la grande stampa – desiderosa di un’icona progressista in un mondo dove la politica era già stata messa a tacere perché sopraffatta dalla finanza – ha presto trasformato Bergoglio in un profeta delle riforme. È nato così un equivoco grazie a sollecitazioni mediatiche rilanciate da papa Francesco: una narrazione “Bergoglio-friendly” riduttiva al punto da rendere opachi il ruolo e la missione del pontefice alla guida del cattolicesimo.
Infatti, oggi, a pochi giorni della morte del papa, è difficilissimo leggere un bilancio concreto e puntuale che dimostri riforme nelle strutture, nella legislazione, nei testi del magistero. Per ora, in attesa del verdetto storiografico, possiamo trovare e leggere promesse, desideri, progetti. Tanto che i più accaniti sostenitori di Francesco già oggi parlano di un pontefice che «ha abbozzato delle riforme che dovrà fare il nuovo papa».
Forse si spiega così il senso di quanto alcuni hanno detto nelle riunioni dei cardinali che si stanno per concludere: non è il caso di parlare di conservatori o riformisti, è fuorviante. La questione è la credibilità dell’agire cattolico in un momento di crisi severa e globale di civiltà.
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