Nel giro di pochi secondi la notizia della morte di papa Francesco ha fatto il giro del mondo. Molte persone lo hanno scoperto dal loro smartphone, prima ancora che le televisioni, le radio e i giornali diffondessero i primi dettagli di quello che stava succedendo.

La storia che si sta costruendo davanti ai nostri occhi è inevitabilmente anche la storia di un evidente paradosso. Da un lato una tradizione millenaria, fatta da riti precisi, che avrà poi il suo apice nell’esposizione della salma, nei funerali solenni, nei “novendiali” e nel momento del conclave. Dall’altro lato il modo in cui tutto questo sarà vissuto e comunicato: con la tecnologia che avrà un ruolo fondamentale.

In effetti questa è una chiave interpretativa che si adatta anche al pontificato di Francesco: da un lato il recupero di alcuni aspetti simbolici della spiritualità gesuita, dall’altro un’attenzione costante alle grandi sfide etiche della contemporaneità. La comunicazione vaticana è stata accentrata nella figura del pontefice, con un'attenzione crescente all’evoluzione tecnologica.

Gli esempi sono numerosi, e molti rimarranno come un testamento per il futuro pontefice. Poco più di un anno fa, a inizio 2024, il messaggio per la 57 ª Giornata della pace è stato dedicato all’intelligenza artificiale, con un forte appello per uno sviluppo etico e inclusivo, contro i pericoli di un progresso abbandonato alle sole logiche del profitto o del potere.

«I notevoli progressi delle nuove tecnologie dell’informazione, specialmente nella sfera digitale, presentano entusiasmanti opportunità e gravi rischi, con serie implicazioni per il perseguimento della giustizia e dell’armonia tra i popoli», scriveva Francesco. «È pertanto necessario porsi alcune domande urgenti. Quali saranno le conseguenze, a medio e lungo termine, delle nuove tecnologie digitali? E quale impatto avranno sulla vita degli individui e della società, sulla stabilità internazionale e sulla pace?».

I tweet del papa

Se c’è un momento in cui la vocazione “mediatica” di Francesco si è mostrata con particolare forza, è stato durante la pandemia. L’immagine della sua messa in una piazza San Pietro vuota, con il cielo solcato dai fulmini, è diventata simbolo di quei giorni. Era un’altra quaresima, un’altra Pasqua, cinque anni prima della sua morte.

Il pontificato di Francesco, dal 16 marzo 2013 al 21 aprile 2025, ha coinciso con l’evoluzione dei social network. Il primo tweet di un papa era stato condiviso solo pochi mesi prima, il 12 dicembre 2012, dal suo predecessore Benedetto XVI: “Vi benedico con il cuore”.

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Il 17 marzo Bergoglio ha twittato dall’account ufficiale @Pontifex: «Cari amici vi ringrazio di cuore e vi chiedo di continuare a pregare per me. Papa Francesco». Gli ultimi messaggi, appena 22 ore prima della morte, sono citazioni dal suo messaggio “Urbi et orbi” per la Pasqua, a favore della pace. Il profilo principale, in lingua inglese, ha oggi 18,3 milioni di follower.

L’intelligenza artificiale

Papa Francesco è stato dunque un papa sociale, ma anche un “papa social”, immerso nel dibattito – ancora apertissimo – sul doppio volto della tecnologia: da un lato, strumento per raggiungere le persone e diffondere il Vangelo; dall’altro, rischio sistemico se lasciata senza regole.

Un altro momento simbolico è stata la sua partecipazione al G7 di Borgo Egnazia, in Puglia, nell’estate 2024, durante la sessione dedicata proprio all’intelligenza artificiale. Francesco – invitato dalla presidente del Consiglio Giorgia Meloni – ha definito l’intelligenza artificiale uno «strumento affascinante e tremendo», capace di portare con sé benefici e minacce.

«Condanneremmo l’umanità a un futuro senza speranza, se sottraessimo alle persone la capacità di decidere su loro stesse e sulla loro vita condannandole a dipendere dalle scelte delle macchine», ha detto il papa. «Abbiamo bisogno di garantire e tutelare uno spazio di controllo significativo dell’essere umano sul processo di scelta dei programmi di intelligenza artificiale: ne va della stessa dignità umana».

Un prete artificiale

Tutto questo tocca ovviamente anche questioni molto profonde che riguardano la Chiesa, e che interesseranno anche il futuro pontefice. Anche perché gli algoritmi potrebbero innovare la liturgia.

Qualche mese fa si è molto parlato di un esperimento alla Peterskapelle di Lucerna, in Svizzera. L’installazione di “Deus in Machina” rappresentava un avatar digitale di Gesù all’interno di un confessionale, alimentato da un modello linguistico che era in grado di conversare con i fedeli in oltre 100 lingue, su temi come amore, sofferenza e fede.

L’esperimento non aveva valore sacramentale, ma c’è chi lo ha giudicato positivamente per il suo valore spirituale. Allo stesso tempo, c’è chi lo ha ritenuto un atto blasfemo, ispirato dal diavolo.

Pochi mesi prima, un altro esperimento, questa volta negli Stati Uniti, era finito male. Il chatbot “padre Justin”, sviluppato dal gruppo Catholic Answers per fornire consigli spirituali, è stato ritirato dopo polemiche per risposte considerate inappropriate.

Sono tentativi ancora marginali, non sempre riusciti, ma pongono una domanda aperta: quale spazio potrà avere l’intelligenza artificiale nella fede? Anche ChatGpt è oggi in grado di rispondere a domande teologiche. E se un giorno gli algoritmi guidassero una nuova religione, costruendo una spiritualità artificiale?

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L’umano oltre l’algoritmo

È forse proprio questo uno dei moniti più attuali che lascia in eredità papa Francesco. C’è chi lo ha definito come il “papa più mediatico di sempre”. Ribaltando il punto di vista, si può dire che abbia vissuto nei tempi in cui la comunicazione è diventata più invasiva. Tocca oggi ogni aspetto della nostra vita, religione compresa.

L’idea fondamentale di papa Francesco è che non si deve smettere di mettere sempre l’uomo al centro del progresso. Solo così l’evoluzione può essere etica e giusta. Nella lettera enciclica Dilexit Nos (fine 2024), scriveva così: «Nell’era dell’intelligenza artificiale, non possiamo dimenticare che per salvare l’umano sono necessari la poesia e l’amore. Ciò che nessun algoritmo potrà mai albergare sarà, ad esempio, quel momento dell’infanzia che si ricorda con tenerezza e che, malgrado il passare degli anni, continua a succedere in ogni angolo del pianeta».

«Penso all’uso della forchetta per sigillare i bordi di quei panzerotti fatti in casa con le nostre mamme o nonne. È quel momento di apprendistato culinario, a metà strada tra il gioco e l’età adulta, in cui si assume la responsabilità del lavoro per aiutare l’altro. Come questo della forchetta, potrei citare migliaia di piccoli dettagli che compongono le biografie di tutti: far sbocciare sorrisi con una battuta, tracciare un disegno al controluce di una finestra, giocare la prima partita di calcio con un pallone di pezza, conservare dei vermetti in una scatola di scarpe, seccare un fiore tra le pagine di un libro, prendersi cura di un uccellino caduto dal nido, esprimere un desiderio sfogliando una margherita».

«Tutti questi piccoli dettagli, l’ordinario-straordinario, non potranno mai stare tra gli algoritmi. Perché la forchetta, le battute, la finestra, la palla, la scatola di scarpe, il libro, l’uccellino, il fiore... si appoggiano sulla tenerezza che si conserva nei ricordi del cuore».

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