Nei primissimi giorni del nuovo pontificato appaiono indizi di cambiamenti rilevanti. Sono numerosi, ma non troppo visibili né facili da decodificare. Il primo si potrebbe riassumere così: Leone sarà il papa del testo e quindi di una comunicazione chiara.

Non è una novità da poco, se si ricordano le tante volte in cui papa Francesco ha dovuto fare i conti perché le sue parole sono state malintese o snaturate. Come quelle ricordate tra le dieci frasi più famose dell’epoca contemporanea: «Chi sono io per giudicare una persona gay?» (28 luglio 2013). Da quest’affermazione è nata la percezione che Francesco stava cambiando la dottrina sull’omosessualità della chiesa. Ma in dodici anni non è mai accaduto.

È stata una finta riforma, inflazionata mediaticamente. Per capirla fino in fondo si deve confrontarla con la vera riforma della inammissibilità della pena di morte: grazie a un cambiamento del testo del catechismo e a una solenne dichiarazione (1° agosto 2018) che impegna la chiesa cattolica a lottare per l’abolizione della pena di morte in tutto il mondo.

Disciplina del testo

Fino a oggi Leone XIV nei suoi discorsi ha aggiunto a braccio due o tre parole, non più di mezza riga. Questo stile, rimasto fra parentesi per oltre un decennio, non solo lo rende autorevole nell’immediato grazie al testo, ma aiuta il lavoro dei giornalisti e riduce al massimo la dominante libertà di interpretazione e di lettura che si era diffusa da anni nei confronti del vescovo di Roma. Ognuno si sentiva autorizzato a dire con parole sue ciò che il papa aveva detto, garantendo che la propria lettura era quella corretta.

I testi poi venivano diffusi con lentezza e scorciatoie farraginose al punto che, nel frattempo, i media più veloci – le agenzie – condizionavano subito, in un senso o nell’altro, il magistero papale. I giornalisti spesso si accodavano, ma se prendeva corpo una lettura imprecisa, errata o insufficiente delle parole del pontefice, non c’era nulla da fare. Nell’entourage di papa Francesco si riconosceva che in rete vince chi arriva primo, poi si vedrà. Ma errori ed esagerazioni, persino le manipolazioni o i falsi, non venivano quasi mai riconosciuti o corretti.

Lavoro collettivo

Alla disciplina del testo il pontefice sembra aggiungere un altro indizio: il rispetto del lavoro collettivo. A parte il saluto letto dalla loggia centrale di San Pietro il giorno dell’elezione, scritto dal papa dalla prima all’ultima parola, nel caso di altri testi finora pronunciati Leone XIV sa apprezzare e valorizzare il lavoro anonimo e silenzioso dei curiali. Senza mitizzare, è una realtà – con tutti i suoi difetti (da papa Francesco criticati duramente a più riprese) – che, messa alla prova, si è rivelata solida: armatura poliglotta del papato, invidiata da altri governi.

La curia romana e il suo cuore, costituito dalla Segreteria di stato, non erano ben visti da Bergoglio arcivescovo di Buenos Aires, ma sono le strutture del governo centrale della chiesa cattolica alle quali probabilmente Leone XIV dedicherà particolare attenzione e cura.

Altri indizi riguardano le formalità del protocollo, la temporanea abitazione nel palazzo del Sant’Uffizio (dove è vicino di casa del cardinale Angelo Becciu), le disposizioni per il riordino della funzionalità logistica e alberghiera di Santa Marta, i progetti in atto per il ritorno al Palazzo apostolico.

Il rapporto con la gente

Sereno e sorridente, il papa sembra trovarsi a suo agio fra la gente e in questo senso comunica come faceva papa Francesco. Da più parti si fa notare che Robert Francis Prevost sembra di aver imparato presto il difficile “mestiere” di fare il papa. Si muove con sicurezza, come a casa sua e nel comunicare con le persone che vengono a «vedere Pietro» il suo linguaggio è semplice.

In un dibattito su Radio Nuevo Tiempo – una delle ventuno emittenti che si trovano nella diocesi peruviana di Chiclayo, dove vive un milione e mezzo di abitanti e della quale il papa è stato vescovo – si diceva giorni fa: «A lui piace tirare su impalcature per rimodellare e ristrutturare. Nulla deve andare a male, ci diceva».

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