I dubbi sulla società israeliana che produce lo spyware usato contro i giornalisti. A Palazzo Chigi domina l’idea di una vendetta ordita dal deep state vicino a Biden
Palazzo Chigi non ha ancora dato una risposta ufficiale, ma la domanda continua a circolare nella sede del governo: perché Paragon Solutions, una società informatica israeliana, tutto sommato piccola, con soli cinque anni di storia alle spalle, ha fatto una cosa del genere? Perché accusare direttamente l’esecutivo di Giorgia Meloni di non aver voluto scoprire la verità sul caso che da cinque mesi non trova risposte?
Se lo chiede la premier, e se lo chiedono i suoi collaboratori più fidati dopo la nota che la società ha fatto uscire lunedì mattina, attraverso il quotidiano Haaretz. Poche righe per ricordare di aver «offerto al governo e al parlamento italiano un modo per determinare se il suo sistema fosse stato usato contro i giornalisti in violazione della legge e dei termini contrattuali», ma «le autorità italiane hanno scelto di non procedere con questa soluzione».
La versione non combacia con quella del Copasir, secondo cui la stessa Paragon aveva detto in audizione che esistevano due modi equivalenti per scoprire la verità, e uno dei due era quello poi usato dal Comitato parlamentare, cioè la verifica nei registri di audit dell’Aise e dell’Aisi. Quindi, si chiedono a Chigi, perché Paragon ha avuto l’ardire di fare un comunicato del genere?
La domanda più importante a cui rispondere in realtà sarebbe un’altra, sta lì da cinque mesi, ma finora né il Copasir né le procure (che stanno indagando) né il governo sono riusciti a spiegare chi ha tentato di spiare i giornalisti di Fanpage, Francesco Cancellato e Ciro Pellegrino, e il sacerdote don Mattia Ferrari, cappellano di bordo della ong Mediterranea Saving Humas.
Forse anche per questa spiegazione mancante a Palazzo Chigi sono più concentrati a capire cosa c’è dietro l’annuncio a sorpresa di Paragon. E al momento le risposte sul tavolo sono due: una mossa puramente difensiva, oppure una vendetta per procura nei confronti del governo meloniano.
Reputazione a rischio
La spiegazione più semplice che circola a Palazzo Chigi è che la versione fatta circolare da Paragon Solutions, e cioè quella di un’Italia in cui sia il governo che il Copasir non vogliono davvero scoprire chi abbia intercettato i due giornalisti, sia un modo grezzo per occultare un fatto molto più imbarazzante per l’azienda informatica. Il suo software di punta, Graphite, la cui licenza d’uso è stata finora venduta per milioni di euro a diversi clienti pubblici occidentali, è stato infatti individuato sia da Meta che da Apple, le quali hanno avvisato le vittime dell’attacco facendo scoppiare il caso.
È andata così sia per Cancellato che per gli altri obiettivi dello spionaggio. Anche per chi, come gli attivisti di Mediterranea Saving Humas, Luca Casarini e Beppe Caccia, era sottoposto a intercettazione preventiva effettuata dai servizi segreti italiani e regolarmente autorizzata dal procuratore presso la corte d’appello di Roma, così ha stabilito il Copasir.
Insomma, il ragionamento del governo italiano è che Paragon si trovi in imbarazzo dopo la scoperta che il suo spyware può essere rintracciato in modo tutto sommato semplice. Come dire: chi mai vorrà spendere milioni di euro per uno spyware così facilmente identificabile?
La seconda spiegazione deriva dalla prima, ma va molto oltre. A fianco alla tesi puramente economica, secondo il governo italiano potrebbe infatti esserci una motivazione più politica. Qualcuno si è infatti convinto che questa mossa a sorpresa di Paragon sia in realtà una vendetta dell’amministrazione Biden contro il governo Meloni per la gestione del caso Abedini. Normale non capire immediatamente, perché la teoria si basa su parecchi salti logici. In sostanza, il governo italiano parte da questo presupposto.
Ricordate Mohammad Abedini Najafabadi, l’ingegnere iraniano bloccato a Malpensa lo scorso 16 dicembre su richiesta delle autorità Usa e liberato un mese dopo durante la trattativa per il rilascio della giornalista italiana Cecilia Sala?
Il dipartimento di Giustizia americano, all’epoca ancora rappresentato da uomini di Biden, fece in effetti filtrare sui media italiani la sua «delusione» nei confronti del governo Meloni per quella decisione. Palazzo Chigi è convinto che il caso Paragon sia il modo trovato dall’establishment americano pro Biden per vendicarsi di quello sfregio.
La vendetta del deep state
Per capire se la teoria ha senso bisogna scomporre il sillogismo messo insieme dal governo. Il punto di partenza del ragionamento è Paragon. Basata a Giaffa, fuori Tel Aviv, la società è stata creata nel 2019 dall’ex premier laburista Ehud Barak e da Ehud Schneerson, già capo dell’Unità 8200 delle forze armate israeliane, gli 007 telematici. Insomma, ragionano a Palazzo Chigi, una società politicamente schierata a sinistra.
Ciò che però la collegherebbe a Biden è il fondo di private equity statunitense AE Industrial Partners, creato nel 1998 dall’ex capo di General Electric Aviation, Brian Rowe, e dal figlio David. Specializzato in investimenti nel settore della difesa, con un portafoglio dichiarato di 6,2 miliardi di dollari asset in gestione, a Palazzo Chigi il fondo è considerato vicino all’intelligence Usa fedele a Biden. Su questo Domani non ha trovato riscontri, ma il fatto che mette maggiormente in dubbio la tesi del governo è un altro.
L’ipotesi di una vendetta americana si basa su alcune notizie di stampa internazionale che a fine dicembre dell’anno scorso davano AE Industrial Partners a un passo dall’acquisto, per 900 milioni di dollari, dell’intero capitale di Paragon. Se così fosse, Paragon sarebbe oggi controllata dal fondo americano, il quale avrebbe dunque messo la sua firma sulla nota con cui l’altro giorno Paragon attribuiva al governo italiano la colpa di non aver voluto scoprire i mandanti del tentativo di spionaggio realizzato verso tutte le vittime italiane.
Ecco quindi la tesi della vendetta del Deep State americano: un’accusa non verificabile, per mettere in difficoltà il governo Meloni. Tesi affascinante, ma al momento non supportata da un dato fondamentale. AE Industrial non sembra infatti aver ottenuto il controllo di Paragon. Il fondo americano non ha risposto alle domande di Domani, ma nei più recenti documenti societari pubblicati non menziona la società israeliana tra quelle in cui ha investito.
© Riproduzione riservata