L’attivista di Mediterranea Luca Casarini: «Attacchi iniziati a febbraio 2024 su Fb». Il ministro: «La polizia penitenziaria non ha in uso lo spyware Graphite»
Non solo Graphite. Nove mesi prima che il suo telefono fosse infettato dallo spyware prodotto dalla società israeliana Paragon Solutions, Luca Casarini è stato vittima di un altro attacco informatico. Un tentativo di hackerare i suoi profili social, avvenuto l'8 febbraio del 2024. È quanto ha rivelato mercoledì 19 Mediterranea Saving Humans, l'ong fondata da Casarini, spiegando di aver deciso di pubblicare queste informazioni poiché «il governo italiano ha opposto il segreto di stato alle legittime domande che il Parlamento in primis, ma anche tutti noi e l’opinione pubblica, rivolge per sapere chi ha autorizzato una simile attività lesiva dei diritti e delle libertà costituzionali, e in violazione alle Convenzioni internazionali, spiando giornalisti, attivisti, rifugiati e soprattutto con quali motivazioni».
Le informazioni divulgate da Mediterranea Saving Humans provengono dal Citizenlab, il laboratorio dell'Università di Toronto specializzato nelle ricerche sui fenomeni di hackeraggio, cui si è affidato Casarini per analizzare il telefono.
Secondo Mediterranea, a febbraio «una entità non ancora identificata ha operato un attacco software di tipo “sofisticato”, con tentativo di forzatura degli account di Luca Casarini». In sostanza il fondatore dell'ong aveva ricevuto un alert da Meta, cui non aveva dato peso: secondo la società americana, qualcuno aveva cercato di violare i suoi account Facebook e Instagram. Citando gli esperti di Citizenlab, Mediterranea ha fatto sapere che «la presenza di questo tipo di attacchi segnala in genere che un governo vi sta monitorando e vuole estendere il controllo anche alle persone a voi vicine. Possiamo dire che abbiamo in mano due pezzi di un puzzle che si rivelerà molto più grande di quello che pensiamo».
La speranza della ong è che, analizzando i fatti del febbraio 2024, sia possibile arrivare «all’individuazione della società privata alla quale questo tipo di operazione è stata affidata e, dunque, anche all’eventuale committente». La notizia agita l’opposizione a tal punto che Nicola Fratoianni e Angelo Bonelli chiedono: «Spiati anche noi?»
Reticenza governativa
Dal governo italiano intanto non sono arrivate notizie sui mandanti dello spionaggio. «Nessuna persona è stata mai intercettata da strutture finanziate dal Ministero della giustizia nel 2024. Nessuna persona è stata mai intercettata dalla polizia penitenziaria». Così, durante il question time di mercoledì 19 alla Camera, Carlo Nordio ha risposto all'interrogazione presentata da Italia Viva. Che non fosse in uso alla penitenziaria è un fatto che Domani aveva anticipato nei giorni scorsi citando fonti ufficiali del ministero.
Il partito guidato da Matteo Renzi aveva chiesto al ministro della giustizia di fare chiarezza sul possibile uso di Graphite da parte delle guardie carcerarie. Un dubbio nato dal fatto che, come hanno ripetuto diversi deputati dell'opposizione, la penitenziaria è stato finora l'unico organo di polizia giudiziaria (gli altri sono i carabinieri, la polizia di stato e la guardia di finanza) a non aver smentito l'uso del software nei confronti di giornalisti e attivisti.
La spiegazione di Nordio, che ha dunque finalmente chiarito l'estraneità della penitenziaria, è stata per molti sorprendente. Martedì tutto faceva pensare che il ministro non avrebbe risposto all'interrogazione. Italia Viva e Pd, che pure ha presentato un'interrogazione sul tema diretta a Giorgia Meloni, avevano infatti fatto sapere che, in una lettera inviata al presidente della Camera, l'esecutivo si era appellato alla possibilità, prevista dal regolamento parlamentare, di non rispondere alle interrogazioni indicandone però il motivo.
Ci si attendeva dunque una non risposta da parte di Nordio. Il Guardasigilli avrebbe potuto chiarire il motivo del silenzio appellandosi al segreto, come già fatto da Alfredo Mantovano. Il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio ha infatti comunicato che, ad eccezione delle informazioni divulgate davanti al Copasir e a quelle già rese note al Parlamento dal ministro Luca Ciriani, «ogni altro aspetto delle vicende di cui trattasi deve intendersi classificato».
Insomma, anche Nordio avrebbe potuto fare appello al segreto, invece il ministro ha risposto negando qualsiasi responsabilità da parte della penitenziaria. Forse proprio per evitare di alimentare il sospetto che dietro questa storia ci sia qualche segreto indicibile.
Chi lo ha usato
La scelta del Guardasigilli non risolve però il giallo. Anzi, per certi versi lo alimenta. Perché al momento il quadro è questo: tutti hanno negato di aver usato Graphite per spiare giornalisti e attivisti. Lo hanno fatto carabinieri, polizia, guardia di finanza e adesso anche la penitenziaria. Se davvero le intercettazioni sono state eseguite da un’entità statale italiana, resterebbero solo i servizi segreti. Ed ecco il punto. Le due agenzie, Aisi e Aise, nei giorni scorsi hanno ammesso al Copasir (Comitato parlamentare che vigila sulla nostra intelligence) di averlo in dotazione, cioè di avere utilizzato lo spyware Graphite, ma mai contro giornalisti e attivisti. Quindi, delle due l'una: o le vittime non sono state spiate da soggetti pubblici italiani, oppure qualcuno che ha ammesso di averlo in uso ha mentito. Non ci sono altre strade.
L’Ordine dei giornalisti e la Federazione nazionale della stampa italiana hanno spiegato i motivi per cui hanno presentato una denuncia contro ignoti alla Procura di Roma sul caso Paragon. «Se il governo non chiarisce, a questo punto non possiamo che rivolgerci alla magistratura», ha detto il presidente dell'Odg, Carlo Bartoli, secondo cui «dopo 20 giorni di attesa, 20 giorni di incoerenze, di incomprensioni, di versioni contrastanti, non è più possibile attendere». Per il presidente della Fnsi, Vittorio di Trapani, «qui si sta giocando una partita a tutela di valori costituzionali, cioè del diritto dei cittadini ad essere informati».
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