Patrick Zaki sarà trasferito in un nuovo penitenziario. La notizia arriva dagli account social della campagna «Patrick Libero». E la fonte è lo stesso Patrick che oggi, durante la consueta visita dei genitori, ha detto di essere stato informato dell'imminente chiusura del carcere di Tora e, quindi, del suo spostamento in un'altra struttura.

Al momento non c'è alcuna comunicazione ufficiale ma - come capita spesso per i detenuti politici - il trasferimento potrebbe avvenire da un giorno all'altro e senza preavviso. Del resto non sarebbe la prima volta che accade da quando, ormai 19 mesi fa, il giovane ricercatore egiziano che frequentava l'università di Bologna è detenuto nel suo paese natale.

Le restrizioni

Nel primo suo mese di carcere, Zaki era stato trasferito dal commissariato di Mansoura a quello di Talkha e poi, di nuovo, nel penitenziario della sua città natale. I genitori scoprirono di quest'ultimo spostamento per caso: erano andati a trovare Patrick a Talkha e non lo avevano trovato.

Dopo l'arrivo a Tora, avvenuto a marzo del 2020 nella sezione dei detenuti politici, Zaki ha proseguito la sua detenzione al Cairo. Anche dopo il rinvio a giudizio dello scorso settembre che ha stabilito la sede del processo a Mansoura.

Al momento non è chiaro nemmeno a quale struttura il giovane ricercatore verrà destinato. «Tutto quello che sappiamo è che non sarà trasferito nel nuovo complesso carcerario di Wadi El Natroun, perché la struttura non prevede la presenza di detenuti politici», scrivono gli attivisti. «Temiamo anche che le visite in carcere non saranno permesse per il periodo iniziale di detenzione, come avviene di solito. E questo significa che Patrick sarà lasciato senza rassicurazioni, forse cibo, vestiti o necessità di base, fino a quando la sua famiglia sarà autorizzata a visitarlo di nuovo».

Al di là delle peripezie logistiche, sono anche le dure condizioni di detenzione a preoccupare gli amici e i parenti di Zaki. Negli scorsi mesi c'era già stato un peggioramento: dopo la seconda udienza del processo, tenutasi il 28 settembre, Patrick non ha più avuto il permesso di inviare corrispondenza. Un approccio non nuovo da parte degli agenti carcerari egiziani, che spesso con la loro azione quotidiana restringono le già minime libertà dei prigionieri di coscienza.

Una nuova strategia

Il trasferimento di Patrick invece sembra far parte della nuova strategia politica del presidente Abdel Fattah el Sisi, che da tempo sta lavorando alla riorganizzazione del sistema carcerario egiziano. Lo stesso mese in cui Zaki veniva rinviato a giudizio, infatti, il governo del Cairo ha intrapreso diverse iniziative sui diritti umani spinta da pressioni internazionali, in particolare dalla nuova amministrazione americana.

La più importante, fra tutte, è stata il lancio della «Nuova iniziativa per i diritti umani». Un piano di 78 pagine presentato in pompa magna dallo stesso presidente Abdel Fattah el-Sisi che punta a riformare il codice penale e a intervenire anche sulle condizioni di vita all'interno degli istituti penitenziari. Insieme a questo piano el-Sisi ha annunciato anche la costruzione di nuovo carcere «in stile americano», qualunque cosa significhi.

Il mese successivo, inoltre, la presidenza egiziana ha deciso di sospendere lo stato di emergenza che nel paese andava avanti ininterrottamente dal 2017. Senza lo stato di emergenza, in futuro, non ci potranno essere più rinvii a processi inappellabili. Ma la misura non è retroattiva, dunque la situazione giudiziaria di Patrick, così come quella di altre centinaia di detenuti di coscienza, non cambierà. Non in conseguenza di queste riforme, almeno.

Pochi appigli per la cittadinanza

Anche dal mondo politico italiano sono arrivate dichiarazioni di condanna per l'ennesimo procedimento che avvicina sempre più la vicenda giudiziaria di Zaki a un percorso kafkiano.

«Si tratta dell'ennesimo grave abuso sulla vita di un giovane uomo, studente brillante, che il regime di el-Sisi punisce per soffocare il suo impegno in tema di diritti civili», ha scritto su Facebook il deputato di LeU Erasmo Palazzotto. «Serve un'accelerazione per il riconoscimento della cittadinanza italiana di Patrick. Non lasciamolo solo».

Ma sulla concessione della cittadinanza per meriti speciali invocata da Palazzotto per il ricercatore ormai sembra non esserci più speranza. Nonostante la mozione sia stata approvata diversi mesi fa sia dal Senato sia dalla Camera, l'iter legislativo, che sarebbe dovuto partire su iniziativa dei ministeri degli Esteri e dell'Interno, non è mai cominciato.

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