Il sole brucia sulla pelle, il profumo di elicriso riempe l’aria, il sangue pulsa nelle orecchie. Manca il fiato per sostenere la salita. Nina e Nasim spuntano tra gli olivi in cima al sentiero, sono tornati a prendere chi è rimasto indietro. «Good job! – esclama sorridendo Nina – Ancora qualche metro e siamo in cima alla collina, poi è tutta discesa! Forza!». Le scarpe adesso sembrano più leggere, e i piedi danno una nuova spinta sulla strada accidentata, correndo insieme si trova un nuovo ritmo.

Qui non si è mai soli, neanche nella corsa. Tra le organizzazioni attive nella crisi umanitaria sull’isola di Lesbo, Yoga and Sport with Refugees è un progetto unico. In quasi quattro anni di attività ha coinvolto migliaia di atleti, principalmente rifugiati, in attività sportive gratuite, coprendo 25 diverse discipline dalla corsa al kung fu, dal nuoto allo yoga.

Molte attività si tengono nella palestra dell’associazione, a pochi chilometri dal centro di Mitilene, vicino al campo profughi dell’isola.

«All’inizio avevamo solo una tenda – racconta Estelle, francese di 29 anni, fondatrice di Yoga and Sport – poi abbiamo trovato questo magazzino, i muri erano completamente anneriti dal fumo, abbiamo lavorato duro per trasformarlo in una palestra». Adesso nella sala ci sono macchine per esercizi, materassi ginnici e una coloratissima parete da arrampicata.

Nabiullah stende al sole sul piazzale i kimono appena lavati «da qualche settimana sono volontario, oltre a gestire con gli altri la palestra faccio un po’ di boxe e di corsa, ma soprattutto amo l’arrampicata». Nabiullah è un rifugiato afghano di 20 anni, è arrivato un anno e otto mesi fa. Un anno passato nel famigerato campo di Moria, bruciato a settembre 2020, e otto mesi al campo Mavrovouni, chiamato Moria 2.0 per le sue condizioni disumane.

Dietro torrette e filo spinato, 6.500 persone vivono nelle tende, nelle strade del campo passa continuamente la polizia, mentre l’accesso all’acqua e ai servizi igienici è insufficiente.

Uscire fuori

«Spesso bisogna insistere per poter uscire dal campo, poi nel centro di Mitilene la polizia non fa che controllarti. Così alcuni restano sempre nella tenda, si muovono solo per i pasti e non escono mai fuori» è importante uscire dal campo, incontrare altre persone, spiega Nabiullah «per non diventare pazzi». La salute mentale e il benessere psico-fisico di coloro che vivono nei campi sono estremamente a rischio, lo segnala un rapporto di Medici senza frontiere pubblicato il 10 giugno scorso che rappresenta una situazione drammatica a cinque anni dagli accordi tra Unione europea e Turchia.

Yoga and Sport in questo contesto cerca di rompere l’isolamento. «Abbiamo scelto di non lavorare nel campo, fare attività all’esterno permette alle persone di uscire dal campo e dalle sue dinamiche» spiega Nina, olandese di 26 anni che affianca Estelle nella direzione dell’associazione. La mattina alle 8.30 la palestra è già aperta. Aziz, 24 anni, originario del Congo, è il coach di bodybuilding. Anziani afghani con giovani congolesi e camerunensi si danno il cambio ai bilancieri, sulle panche, alle macchine seguendo il programma di esercizi.

Aziz con calma osserva la sala, dà consigli, controlla che tutto vada bene. Vive a Mitilene in una casa nella parte alta della città, insieme ad altri istruttori dell’associazione, tra cui gli insegnanti di yoga Zakhi e Rohoolah, che hanno rispettivamente 20 e 23 anni, entrambi originari dell’Afghanistan.

«Adesso posso viaggiare – spiega Rohoolah – ho ottenuto i documenti, voglio andare in Iran a trovare la mia famiglia che è là, poi vedremo. Potrei andare in Germania, ma non vorrei andare da solo, qui ho una comunità».

All’ombra di un limone parlano del futuro con Mohammad e Masume, sono quasi coetanei, condividono la passione per il teatro e sono molto amici. «Quando sono arrivato al campo e stavo male – ricorda Zakhi – avevo perso ogni interesse e la voglia di fare qualsiasi cosa, poi andai ad una lezione di yoga, e ritrovai me stesso e la serenità. Per questo insegno yoga, perché penso possa fare bene a tutti, soprattutto qui». Nel piccolo porto di Skala Sikamineas, nel nord dell’isola, un pescatore ripara gli strappi nella rete. La costa turca dista 8,9 chilometri, ma questo braccio di mare può essere lungo un’intera vita. Lo raccontano i brandelli scoloriti dei giubbotti salvagente che le autorità locali hanno ammassato poco lontano da lì, in una conca alle spalle di Methimna.

Imparare a nuotare

Mahdi guarda l’acqua cristallina in cui i suoi amici si tuffano «ho rischiato due volte di affogare – racconta – ho paura quando metto la testa sott’acqua, ma voglio imparare a nuotare». Ha 27 anni, è afghano ed è il carismatico allenatore del Team Energy a Lesbo, la squadra di kick boxing che è presente sia sull’isola sia ad Atene, dove l’associazione ha esteso dal settembre 2020 le proprie attività.

Stasera Mahdi e i suoi ragazzi saranno tutti a casa di Nina ed Estelle, attaccati alla televisione per seguire gli incontri di muay thai di due atleti di Yoga and Sport, Majid e Hamid, che combattono per il Gran Prix di Atene.

Ogni pomeriggio ad Atene Hamid riunisce una trentina di ragazze e ragazzi nel parco dedicato al dio Ares.

Come allenatore è duro e rigoroso, ma trasmette un’enorme energia. Ha trent’anni, ha origini afghane ma è nato e cresciuto in Iran, dove a dieci anni ha iniziato a fare kick boxing, da allora non ha più smesso di lottare e ha partecipato a competizioni internazionali. «Ho sempre continuato ad allenarmi e a insegnare. Abbiamo creato una squadra: il Team Energy. Sono venuto in Europa per combattere a livello professionista. Lo sport – aggiunge Hamid – è la mia vita»

All’ombra degli alberi della piazza di Exarchia, sorseggiando un caffè, Estelle spiega: «Chi otteneva i documenti e si trasferiva qui ad Atene, spesso voleva continuare a fare sport. Non appena si è presentata l’occasione abbiamo iniziato».

Nina sottolinea quanto sia importante aver lanciato le attività a Atene perché «mentre Lesbo è solo un luogo di passaggio, qui le persone iniziano a costruirsi una nuova vita».

Le due giovani vengono periodicamente ad Atene per fare riunioni di programmazione con i tre coordinatori dell’associazione ad Atene, tutti rifugiati afghani, che gestiscono ogni attività nella capitale.

Lottatori

Tra loro c’è Sohaila che ha solo 16 anni. Come coordinatrice si occupa di comunicazione. La sua passione è il muay thai, sta lavorando duro per partecipare a degli incontri ufficiali e «appena potrò – dice – andrò in Thailandia». Ma è già una lottatrice. Dopo aver tentato otto volte di passare il confine tra Turchia e Grecia, è sbarcata a Lesbo nel 2019 con la madre e la sorella. Sohaila riesce a pagarsi una stanza ad Atene grazie a quanto le corrisponde Yoga and Sport per le attività che svolge.

Ma la sua famiglia è costretta a vivere al campo di Malakasa, a 40 km da Atene, dove si arriva in treno. Adesso il governo greco sta pure costruendo un alto muro in cemento lungo il perimetro del campo. «È una situazione terribile» dice la madre di Sohaila mentre versa l’acqua nel bollitore, preparando il tè per gli ospiti. La loro tenda è montata dentro quella che prima era la palestra del campo, ora ci sono decine e decine di tende, non c’è più spazio.

Nel parco sotto le larghe fronde di un carrubo si tengono gli allenamenti di Kung Fu di Ehsan. Tra gli allievi c’è Aaresh, afghano di 17 anni, di cui cinque passati in Grecia aspettando di poter raggiungere il resto della famiglia in Germania.

«Quando ho del tempo libero faccio Kung Fu, Eshan è un grande insegnante e soprattutto un grande amico» Aaresh intanto si sistema i bendaggi alle mani e indossa i guantoni gialli «non esistono i rifugiati e le altre persone, siamo tutti la stessa gente» dice stringendo la chiusura del guantone sinistro. È il suo turno per lo sparring con l’allenatore, e al centro del piazzale schiva e colpisce con forza e precisione. Allo stadio di atletica Zografon si tengono gli allenamenti di corsa, l’istruttore è Morteza, ha 19 anni e viene dall’Afghanistan.

È diventato un corridore a Lesbo. «Ho già vinto delle competizioni in Grecia» dice, e punta in alto, i suoi allenamenti sono impegnativi ma bilanciati. Dopo più di 20 chilometri di corsa sulla pista, tornano verso casa correndo insieme a Nina, scendono lungo viale Alexandros mentre tramonta il sole.


(Tutte le foto sono di Giacomo Sini)

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