Il 14 ottobre in Italia si sono verificati 40.580 nuovi casi di Covid, provocati in gran parte dalla variante Omicron 5, quella più diffusa ora, che aggiunti ai precedenti portano a 23.030.777 il numero degli italiani che hanno contratto il virus Sars-CoV-2 e che sono guariti o morti dall’inizio della pandemia.

In realtà, i casi sono assai più numerosi perché molti, specie a inizio pandemia, non venivano neppure segnalati. Nella stessa giornata a causa del Covid sono morte 98 persone, e così le vittime totali della malattia a partire da gennaio 2020 sono diventate 177.883. Una cifra spaventosa e sottostimata, perché ugualmente molti decessi, specie ad inizio pandemia, non sono stati attribuiti al Covid: molti esperti stimano che le vittime effettivamente causate dal Covid in Italia siano tra 200 e 250 mila.

A partire da circa metà settembre i casi di Covid in Italia sono costantemente in aumento, e ora ci stiamo avvicinando alla fatidica soglia delle cento vittime giornaliere. Perché sta accadendo? La risposta è facile: passata l’estate, con l’abbassarsi delle temperature, noi cominciamo a trascorrere più tempo al chiuso, dentro le nostre case, nei luoghi di lavoro, nei ristoranti, nei teatri, nei cinema, il che facilita la trasmissione della malattia. Accade ormai da tre anni. Soprattutto, da inizio settembre hanno riaperto le scuole, che sono un luogo perfetto per la diffusione del contagio.

La diffusione nelle scuole

LaPresse

I nostri figli si assembrano per ore dentro le aule piccole e mal ventilate delle vetuste scuole italiane, e così un giovane studente positivo può infettare tutti i suoi compagni, che a loro volta contagiano genitori, parenti, e amici. Risultato: da inizio settembre i contagi sono in crescita, e così pure i decessi.

Per più di un anno l’opinione pubblica italiana si è trascinata in un ridicolo dibattito chiedendosi se le scuole facilitassero il contagio oppure no. Ovviamente sì, e per motivi che capirebbe anche un bambino: se raduni 25 giovani in una stanza di 5 metri per 5, a una distanza di 50 centimetri l’uno dall’altro – giovani che parlano, si toccano, giocano – e ce li tieni per 6-8 ore, se anche solo uno di loro è positivo rischia di contagiare l’intera classe, e poi quelli tornano a casa e qui infettano genitori, nonni, parenti e amici.

Qualcuno potrebbe obiettare: gli ambienti dove noi ci contagiamo maggiormente sono i luoghi di lavoro, gli autobus, i treni, i supermercati, ma non le scuole. E invece no.

Le possibilità di essere contagiati dal Covid-19 sono determinate dalla probabilità del contatto con un individuo infetto moltiplicato per il tempo di esposizione. Ovviamente, il posto dove è più probabile che noi ci contagiamo sono le nostre case, dove rimaniamo per molte ore al giorno – e se un membro della famiglia è positivo spesso infetta tutti gli altri-, ma al secondo posto vengono le scuole.

Quando ceniamo in un ristorante affollato magari ci troviamo in una stanza con altre decine persone, ma non stiamo tutti a distanza ravvicinata come alunni sui banchi, non tocchiamo tutti gli altri clienti e non restiamo in quell’ambiente per sei ore come capita a scuola, ma meno, e perciò le nostre probabilità di contagiarci sono inferiori. Allo stesso modo, quando facciamo la spesa in un supermercato. Sui mezzi pubblici, invece, si rischia di più, ma proprio per questo fino a poco tempo fa era obbligatorio indossare le mascherine.

Se ciò non bastasse, pochi giorni fa un gruppo di scienziati italiani, guidati da Stefano Merler della fondazione Bruno Kessler di Trento, ha pubblicato un accuratissimo articolo, intitolato “Stima della trasmissione del SARS-CoV-2 in ambiente scolastico”, che dimostra in modo mirabile che le scuole facilitano la diffusione del Covid, e chiude definitivamente la questione.

Scrivono gli studiosi: «La quantificazione del contributo delle scuole alla trasmissione totale del SARS-CoV-2 rimane incerta. La maggior parte degli studi sono basati sull’analisi delle tendenze epidemiologiche osservate dopo la riapertura delle scuole, e perciò rischiano di confondere il ruolo di questa misura da quello ricoperto dal simultaneo allentamento di altri interventi non farmacologici».

In altre parole, in Italia, come nelle altre nazioni del mondo, quando si rendevano conto che i casi di Covid stavano esplodendo, i vari governi hanno deciso di introdurre nello stesso giorno un insieme di interventi di contenimento del virus – dal lockdown, alle quarantene, alla chiusura delle scuole; allo stesso modo, quando si rendevano conto che i casi di Covid erano in netta diminuzione, i vari governi hanno deciso di allentarli simultaneamente.

Nessun paese del mondo ha deciso di riaprire le scuole senza alleggerire contemporaneamente le altre misure contro la propagazione del virus, ma in questo modo è stato difficile se non impossibile valutare quale fosse l’effettivo peso delle scuole nella diffusione del contagio.

Il caso di Mede

Gli scienziati italiani hanno adottato uno stratagemma: hanno deciso di analizzare in maniera dettagliata quello che è accaduto a Mede, un piccolo comune lombardo in provincia di Pavia.

Scrivono: «In questo studio noi analizziamo i casi dei 460 individui positivi al SARS-CoV-2 e dei loro 976 contatti identificati durante una sorveglianza di routine e attraverso uno screening estensivo della popolazione studentesca e delle loro famiglie durante il focolaio epidemico scoppiato a Mede, in Italia, all’inizio del 2021. Questa analisi ci ha permesso di ricostruire le catene di trasmissione del contagio, e ci ha fornito le stime quantitative del ruolo degli studenti nella diffusione dell’infezione».

A febbraio del 2021, nella cittadina di Mede, 6.326 abitanti, si verificò un repentino aumento di casi di Covid. Un numero non trascurabile di casi fu identificato fra gli studenti del paese, così molti cittadini cominciarono a preoccuparsi del fatto che il virus circolasse soprattutto nelle scuole.

Il focolaio coinvolgeva un nido, un asilo, e la scuola locale, che comprendeva una scuola elementare con 259 alunni e una scuola media con 155 studenti. Il 5 febbraio 2021 tutti gli studenti di tre classi – due dell’asilo, una della scuola elementare – furono costretti all’isolamento a casa, sulla base dei protocolli introdotti dal governo per prevenire i focolai scolastici.

Il progressivo aumento dei casi provocò la chiusura dell’asilo il 7 febbraio, la chiusura successiva del nido, della scuola elementare e di quella media il 16 febbraio, e l’applicazione del più alto livello di restrizioni all’intero municipio il 17 febbraio. Tra il 17 febbraio e il 23 marzo le locali autorità sanitarie hanno condotto un’estensiva campagna di screening basata su test pcr effettuati su tutti gli individui legati in qualche modo alle scuole: studenti, personale scolastico e membri delle loro rispettive famiglie.

Gli scienziati, inoltre, hanno studiato in maniera approfondita tutti i tamponi prelevati dai cittadini in Mede dal 7 gennaio 2021, prima dello scoppio del focolaio, fino al 10 marzo 2021, cioè fino a tre settimane dopo l’applicazione delle misure restrittive. In questo modo, sono stati in grado di ricostruire una mappa dettagliatissima delle catene di contagio epidemico: in pratica sono riusciti a capire chi ha infettato chi, a Mede.

E cosa hanno scoperto? Lo raccontano così: «Dall’analisi delle catene di trasmissione, abbiamo identificato 144 cluster di contagio (cioè gruppi di persone contagiate legati tra loro da un contatto). I cluster che hanno avuto origine da studenti o da membri del personale scolastico in media hanno una dimensione maggiore (3,32 contro 1,15), un numero più elevato di generazioni nella catena di trasmissione (1,56 contro 1,17) e un numero più elevato di contatti stretti associati (11,3 contro 3,15, in media). Una percentuale più alta di individui infetti che causavano la trasmissione del contagio ad altri è stata riscontrata tra gli studenti (48,8 per cento contro 29,9 per cento, in media), che provocava un numero marcatamente più alto di casi secondari».

Tradotto in parole povere, chi frequentava le scuole aveva più probabilità di contagiarsi, visto che le scuole sono un luogo perfetto per la diffusione del virus, ma anche di trasmettere il virus ad altri, e con una catena di contagi più lunga, visto che chi frequentava le scuole poi tornava a casa e infettava gli altri membri della famiglia. Infine, gli studenti erano quelli che con maggiore probabilità davano inizio alle catene di contagio, che cioè prendevano il virus a scuola e poi lo trasmettevano ad altri.

E gli scienziati concludono scrivendo: «La trasmissione incontrollata del virus nelle scuole potrebbe interrompere la conduzione regolare delle attività di insegnamento e con ogni probabilità diffondere la trasmissione del virus».

Quindi: i casi stanno aumentando? La colpa è soprattutto delle scuole. Naturalmente bisogna contemperare due verità: È vero che le scuole sono un luogo perfetto per la diffusione del contagio, ed è anche vero che bisogna fare di tutto per tenere le scuole il più aperte possibile. Cosa fare? L’unica cosa che ci salva sono i vaccini: quindi, fatevi tutti la quarta dose, il prima possibile.

© Riproduzione riservata