In Europa, in Italia e in molti parti del mondo i contagi da Covid-19 sono di nuovo in rapida crescita, proprio mentre i paesi stanno allentando le restrizioni. Questa nuova ondata epidemica è alimentata dalla nuova subvariante di Omicron denominata BA.2, che sembra più trasmissibile del ceppo originario di Omicron, chiamato BA.1.

In Germania, che ha 83 milioni di abitanti, si verificano circa 250.000 nuovi casi e circa 200 decessi al giorno, tanto che il ministro della Sanità Karl Lauterbach ha affermato che «la situazione è critica». Tuttavia il suo governo ha deciso di sospendere ugualmente la maggior parte delle restrizioni anti Covid.

In Gran Bretagna si contano oltre 90.000 nuovi casi e più di 100 decessi giornalieri. In Olanda, che ha meno di 18 milioni di abitanti, i contagi sono più di 60.000. Da noi in Italia, i nuovi casi di Covid sono oltre 75.000 e i decessi oltre 150 al giorno, in netto calo rispetto agli oltre 200.000 casi e agli oltre 400 decessi quotidiani di fine gennaio. Circa il 40 per cento dei nostri nuovi contagi sono dovuti a BA.2. 

In totale, una ventina di nazioni del mondo stanno assistendo a un nuovo picco di infezioni causato da BA.2, cugino del ceppo originario Omicron BA.1 che ha tormentato il mondo da dicembre in poi. La situazione è seria ma non deve preoccupare più di tanto. O meglio, non deve preoccupare noi che viviamo in Italia, perché la maggior parte della popolazione – oltre l’80 per cento –  è vaccinata: difatti a un aumento dei casi non sta corrispondendo un analogo aumento delle ospedalizzazioni e dei decessi.

Hong Kong

In altre nazioni del mondo sono messi peggio di noi. Per esempio, a Hong Kong, un paese che fino a metà gennaio aveva visto al massimo una decina di nuovi casi e raramente un solo decesso al giorno, si è verificato uno spaventoso picco epidemico, con oltre 60.000 casi a inizio marzo e, ancora oggi, più di 250 morti quotidiani. Come mai?

Per due motivi. Il primo motivo è il tasso di vaccinazione di Hong Kong, molto più basso di quello italiano: a fine gennaio poco più del 60 per cento della popolazione aveva un ciclo vaccinale completo, e soprattutto non era ancora vaccinato quasi il 70 per cento dei loro ultraottantenni.

Il secondo motivo è quasi paradossale. A Hong Kong erano stati brevissimi a contenere l’epidemia perché, come nel resto della Cina, avevano adottato strettissime misure di tolleranza zero contro il coronavirus: tutti cittadini indossavano le mascherine, il distanziamento sociale era rigorosissimo, quando era identificato un focolaio di Covid venivano immediatamente testati tutti i sospetti, e poi tracciati e isolati i positivi, i lockdown erano frequenti.

In questo modo, i casi erano stati pochissimi, però buona parte della popolazione non era stata infettata dal virus e non aveva sviluppato una immunità contro di esso. A fine febbraio, quando gli abitanti di Hong Kong stavano cominciando a rilassarsi, è arrivata l’ondata di virus che s’è trovata di fronte tutti quegli individui suscettibili, non immunizzati da un vaccino oppure da un’infezione naturale, li ha contagiati in massa e così ha scatenato i numeri di questi giorni.

Italia

In Italia questo non accadrà, per due motivi. Da noi, oltre l’80 per cento della popolazione ha fatto il vaccino, che garantisce una protezione valida sia contro la precedente sia contro la nuova variante di Omicron, con un’efficacia superiore all’85 per cento.

Inoltre, visto che noi finora non siamo stati bravi come i cinesi a contenere il virus, anzi abbiamo permesso che si diffondesse con relativo agio, molti di noi sono stati già infettati dalle varianti passate del coronavirus e hanno sviluppato in un’immunità naturale che li protegge a sufficienza anche contro BA.2.

In particolare, chi è stato infettato dalla variante Delta del coronavirus ha un rischio basso di essere reinfettato da BA.2, e se lo sarà molto probabilmente svilupperà solo una malattia lieve, mentre chi è stato infettato dalla variante BA.1 di Omicron ha un rischio di reinfettarsi con BA.2 vicino allo zero.

Numerosi studi dimostrano che la subvariante BA.2. è più trasmissibile rispetto a Omicron originario, con una contagiosità maggiore del 30 per cento. I dati devono ancora essere confermati ma pare che BA.2 possieda un indice di riproduzione – l’ormai famoso R0 – compreso tra il 15 e il 18: il che significa che una persona infettata da BA.2, in assenza di contromisure, ne contagia in media altre 15-18. Per fare un paragone, il ceppo originario cinese del coronavirus aveva un R0 pari a 3.

La gravità della malattia

Alcuni studi preliminari condotti su animali paiono suggerire che la subvariante BA.2. provochi una malattia leggermente più grave rispetto a BA.1. Uno studio condotto in Danimarca, invece, non ha mostrato differenze nel rischio di ricovero tra persone infette con BA.1 o BA.2. Anche ricercatori britannici hanno trovato che l’infezione da BA.2 non comporta un rischio di ricovero più elevato rispetto a BA.1. Ma dobbiamo sempre ricordare che Omicron, anche se provoca una malattia più lieve di Delta, in realtà è aggressivo e letale quanto il ceppo originario cinese del virus scoperto a Wuhan.

Perciò, dobbiamo sempre ricordare che nella stragrande maggioranza dei casi i vaccinati infettati da BA.2 accusano sintomi lievi come mal di testa, mal di gola o raffreddore, ma solo grazie al vaccino, che protegge dalla malattia grave. Senza la vaccinazione, come dimostra il caso di Hong Kong, avremmo il doppio o il triplo di casi, anche gravi, e molti ricoveri e molti morti in più.

Il virus “ricombinante”

Pochi giorni fa, è stata fatta un’altra scoperta degna di rilievo. A fine febbraio, il dottor Scott Nguyen, scienziato che lavora al Public Health Laboratory di Washington, negli Usa, stava ispezionando Gisaid, un database internazionale ove sono depositati i genomi dei coronavirus isolati dai pazienti Covid di tutto il mondo, quando ha notato qualcosa di strano.

Ha trovato campioni prelevati a gennaio da pazienti in Francia, che i ricercatori avevano identificato come un mix di varianti Delta e Omicron. Effettivamente, in rari casi un individuo può essere infettato contemporaneamente da coronavirus di due varianti diverse. Ma quando Nguyen ha esaminato meglio i dati ha capito che non era così: quei pazienti erano infettati da un solo tipo di coronavirus che però aveva un genoma composto da geni provenienti da due varianti diverse.

Un virus del genere viene detto “ricombinante” perché il suo genoma è frutto della ricombinazione dei genomi di due virus distinti. Studiosi francesi lo hanno chiamato “Deltamicron” perché è composto dai genomi di Delta e di Omicron. Il gene che codifica per la proteina di superficie del virus, nota come spike, proviene quasi interamente da Omicron, il resto del genoma è di Delta.

La proteina spike è quella che permette al coronavirus di infettare e di invadere le nostre cellule, ed è anche il principale bersaglio degli anticorpi indotti dalle infezioni e dai vaccini. Quindi, le difese che le persone hanno acquisito contro Omicron – attraverso infezioni, vaccini o entrambi – dovrebbero funzionare altrettanto bene contro il nuovo virus ricombinante. La superficie dei virus è molto simile a quella di Omicron, perciò l’organismo che lo ospita lo riconoscerà e lo attaccherà così come riconosce e attacca Omicron.

Ma come nascono i virus ricombinanti? A volte le persone vengono infettate contemporaneamente da due tipi di coronavirus. Ad esempio, se entriamo in un ristorante affollato in cui si trovano diversi individui infetti, potremmo inalare il virus da più di uno di loro, e così infettarci con due tipi di virus diversi, che potrebbero invadere la stessa cellula contemporaneamente. Quando quella cellula inizia a produrre nuovi virus, il loro materiale genetico potrebbe mischiarsi, generando un nuovo virus nato dalla combinazione dei primi due.

Per fortuna, Deltamicron sembra innocuo, e se finora non ha provocato una nuova ondata della pandemia, anche se è in giro da metà gennaio, non lo farà neanche in futuro. Però, una nuova variante letale del virus potrebbe nascere da un momento all’altro.

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