Se c’è un candidato espresso dal fronte conservatore, minoritario almeno sulla carta nel prossimo conclave, ha di eleggere il successore di papa Francesco, quello è il cardinale Peter Erdő 72 anni, arcivescovo di Budapest che ha ricevuto la porpora da Giovanni Paolo II nel 2003. Erdő, rispetto ad altri esponenti dell’ala tradizionalista, pur non condividendo diverse posizioni espresse dal pontefice argentino sia sul piano sociale che su quello della riforma interna della chiesa, ha evitato sempre di alzare i toni della polemica, di creare cioè artificiose contrapposizioni personali, una cosa che è stata apprezzata dallo stesso Bergoglio.

L’attuale arcivescovo di Budapest, è attentissimo alle dinamiche dell’Europa e sostiene che il continente abbia urgente bisogno di ritrovare le sue radici cristiane. Le sue posizioni più tradizionaliste emergono nel sinodo del 2015 quando si esprime contro l’accesso all’eucarestia per i divorziati risposati. Le unioni civili tra omosessuali – chiarisce – non possono in alcun modo essere assimilate alla famiglia. Sul tema della contraccezione viene considerato vicino ai pro vita, e anche sui rifugiati ha un approccio diverso da quello di Francesco.

L’Ungheria e il comunismo

Forte è il suo legame con la sua terra d’origine, l’Ungheria, come emergeva da un’intervista concessa ai media vaticani nell’agosto del 2024. «Per noi (ungheresi, ndr) rimane fondamentale l’enciclica Mit brennender Sorge che papa Pio XI in 1937 ha pubblicato prima della Seconda guerra mondiale, in cui viene precisato che le nazioni come comunità culturali con la propria lingua, la propria memoria, le proprie strutture e la propria cultura, rappresentano un vero valore, appartengono alla ricchezza della creazione, quindi sono care al Creatore».

Poi aggiunse: «In diversi brani della Bibbia troviamo che anche nell’ultimo giudizio, il Signore giudicherà i popoli. Anche i popoli, non soltanto le singole persone. Quindi i popoli hanno un certo ruolo nel grande progetto di Dio. Eppure le nazioni non rappresentano il supremo valore. Guardando le nazioni così, sarebbe una idolatria, per cui cerchiamo sempre questo equilibrio indicato dall’insegnamento pontificio. E questo insegnamento sembra essere attuale anche ai nostri giorni».

Insomma, la chiesa è certamente attenta a tutta la famiglia umana, tuttavia le singole nazioni giocano un ruolo all’interno di essa che ha il suo peso e il suo valore. D’altro canto, lo spazio pubblico dedicato alla fede, in un paese che ha vissuto per lunghi decenni sotto la dittatura comunista, per il cardinale Erdő, è una questione che non può essere sottovalutata: «Pubblico e privato non sono separabili nella vita umana, nella vita delle società», spiegava il porporato, «perché le decisioni, anche private, possono avere una ripercussione alla società e viceversa. E poi lo spazio pubblico, le strade, le piazze, non rimangono mai vuote. Cioè non è possibile che non vi siano dei simboli che esprimono qualche visione del mondo».

«Anche durante il comunismo», proseguiva, «c’erano tante statue, tante cose che esprimevano la visione del mondo comunista. In Albania, ad esempio, il dittatore Enver Hoxha aveva fatto costruire nel centro di Tirana per sé stesso una piramide. Quindi lo spazio pubblico non rimane completamente vuoto. E i simboli cristiani? Le chiese, per esempio, indicano che lunghe generazioni hanno riconosciuto che la vita quotidiana non è l’orizzonte supremo, ma c’è un orizzonte più alto che dà senso e valore alle piccole cose della nostra vita. Per cui è importante pensare ogni tanto almeno alle grandi feste, a questa realtà».

Da Wojtyla a Francesco

Nella sua formazione, ha contato molto il fatto che i genitori, entrambi ferventi cattolici, intellettuali, dediti all’insegnamento, sono stati limitati nelle loro attività dal regime; anche per questo si è dedicato ad importanti studi universitari. Péter Erdő, è infatti nato a Budapest il 25 giugno 1952 in una famiglia cattolica, è il primo di sei figli. A quattro anni ha vissuto l’invasione dell’Ungheria da parte dell’Armata rossa, che gli ha bruciato la casa. È stato ordinato sacerdote il 18 giugno 1975, a quasi 23 anni, a Budapest. Dal 1977 al 1980, ha svolto studi a Roma, presso l’Institutum Utriusque Iuris della Pontificia Università Lateranense, a conclusione dei quali ha conseguito il dottorato in diritto canonico nel 1980. Negli anni 1980-1986 è stato professore di Teologia in Esztergom.

Dal 1986 al 1988 è stato professore incaricato e dal 1988 al 2002 professore invitato della Pontificia Università Gregoriana; quindi dal 1988 al 2002 è stato professore di diritto canonico e dal 1998 al 2003 Rettore dell’Università Cattolica Péter Pázmány. Ma è grazie a Giovanni Paolo II che la sua carriera ecclesiastica prende il volo: Il 5 novembre 1999, infatti, Wojtyla lo ha nominato vescovo titolare di Puppi e ausiliare della diocesi di Székesfehérvár, ed il 6 gennaio 2000 gli conferisce l’ordinazione nella Basilica di San Pietro. Ancora, è sempre Giovanni Paolo II, a nominarlo il 7 dicembre 2002, Arcivescovo Metropolita di Esztergom-Budapest e primate d’Ungheria.

È cardinale dal 21 ottobre 2003. Dal 2005 al 2015 è stato presidente della Conferenza episcopale ungherese, per due mandati. Nel 2006 è stato eletto presidente del Consiglio delle conferenze episcopali d’Europa e, rieletto nel 2011, ha ricoperto tale carica fino al 7 ottobre 2016. È stato anche relatore generale nei due sinodi sulla famiglia indetti da Francesco nel 2014 e nel 2015.


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