“Accoglienza diffusa”. Sono le parole che vengono utilizzare per spiegare come l’Italia sta dando riparo ai profughi ucraini che scappano dall’invasione dell’esercito di Vladimir Putin. In queste prime settimane di arrivi l’Italia ha mostrato una grande solidarietà dal basso. Famiglie, coppie, ucraini che già risiedono qui da anni, decine di associazioni del terzo settore si sono attivati per accogliere i rifugiati. Il governo conta soprattutto su questa rete spontanea per poter gestire l’emergenza umanitaria. 

Il sistema di accoglienza statale, già frammentato prima dell’emergenza, non è in grado di dare risposte omogenee, anche per questo si fa affidamento principalmente sulla forza delle associazioni, del terzo settore e delle famiglie. Alcune associazioni, come il Centro immigrazione asilo e cooperazione (Ciac), lamentano uno «scarso coordinamento tra istituzioni e servizi». 

L’esecutivo di Mario Draghi ha risposto al flusso migratorio con tre decreti legge, mettendo in campo risorse e aumentato i posti delle strutture che già in passato accoglievano migranti. Ma gli alloggi non sono tantissimi e seguire passo passo la strada che compiono gli ucraini arrivati in Italia non è semplice. 

In linea generale, l’impostazione messa in campo è la seguente: i profughi, una volta superato il confine, devono rivolgersi alle prefetture o agli uffici comunali, che a loro volta gestiscono la rete di accoglienza con gli attori che si occupano del sociale e le singole famiglie. Alcuni vengono inviati ai centri, altri trovano ospitalità nelle famiglie italiane, altri ancora non passano per i canali ufficiali e vengono ospitati principalmente dagli ucraini che già vivono qui. In Italia c’è la più grande comunità ucraina d’Europa: 248mila persone.

Gli arrivi

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Secondo l’Unchr sono 55.711 i profughi arrivati in Italia dall’Ucraina. Più della metà sono donne, 21.658 i minori e solo 4.582 gli uomini. Questi ultimi sono i numeri del ministero dell’Interno aggiornati al 18 marzo ma, oltre a essere dati in continua evoluzione, continuano a non rappresentare a pieno la situazione reale, perché molte persone arrivano attraverso canali non ufficiali. 

«Praticamente tutte le persone presenti a Parma sono arrivate attraverso canali non ufficiali, ospitate in famiglia da italiani», spiega Marcello Volta, di Ciac, la onlus di Parma attiva nell’accoglienza a livello locale e presente nel Tavolo asilo e immigrazione nazionale. «Una signora di 80 anni ad esempio ha chiamato Ciac spiegando che ha ospitato la famiglia della sua badante. E ora si trovano in sette in un bilocale», racconta.

Quella degli ucraini è una situazione molto diversa rispetto a quelle osservate negli ultimi anni. Oltre a non aver bisogno del visto per una permanenza fino a tre mesi, i cittadini ucraini possono richiedere un permesso temporaneo di un anno (prorogabile fino a due, di sei mesi in sei mesi) e possono entrare nel sistema di accoglienza senza essere richiedenti asilo.

Il Tavolo immigrazione e asilo ha scritto diverse volte al governo chiedendo di «non lasciare sole le famiglie che in queste settimane si sono fatte carico dell’accoglienza in misura consistente, sia attraverso risorse specifiche che con i servizi erogati da soggetti del terzo settore competenti».

I territori stanno reagendo in modi molto diversi, anche in base alla situazione del sistema di accoglienza in cui vanno a inserirsi i profughi provenienti dall’Ucraina e alle realtà del terzo settore presenti sul territorio.

Accoglienza in famiglia

Refugees welcome è un’associazione che si occupa di accoglienza in famiglia, attraverso una piattaforma in cui raccoglie le adesioni per ospitare persone rifugiate. L’ong ha trovato una grande disponibilità da parte delle famiglie: in tutta Italia sono più di 3mila quelle che hanno offerto un alloggio, di cui 834 a Milano e provincia e 443 a Roma. 

A Milano, l’amministrazione comunale sta collaborando con l’associazione per raccogliere le disponibilità. Il capoluogo lombardo mette a disposizione anche altri canali: sul sito del comune, ad esempio, è disponibile un vademecum, scritto in italiano e tradotto in ucraino, con tutte le informazioni. 

Per chi arriva in stazione centrale la Protezione civile ha attivato un info point per le prime indicazioni utili. Le persone che hanno necessità di essere alloggiate devono contattare la centrale operativa regionale e fornire informazioni relative al nucleo familiare da accogliere. Fin dalla scorsa settimana nella struttura comunale di Casa Jannacci sono stati accolti i primi rifugiati.

In piazza XX Settembre il comune di Bologna ha allestito un punto per offrire i servizi di prima accoglienza ai profughi ucraini in arrivo in città. Il comune ha messo a disposizione un canale email per i proprietari di casa che si dichiarano disponibili ad accogliere i profughi. L’accoglienza bolognese passa anche attraverso l’associazione Vesta

A Roma, al di là della crisi, è stato creato da poco un Albo delle famiglie accoglienti destinato a tutti i rifugiati, con gli strumenti di Refugees welcome. Così a Ravenna, dove un anno fa è stato creato l’Albo mutuato dal modello dell’associazione. 

Anche a Parma e provincia, dove le associazioni hanno lanciato un appello, la mobilitazione è stata enorme: già una settimana fa le segnalazioni di strutture a disposizione erano state 45 ma circa il 70 per cento di queste disponibilità erano stanze. E fare accoglienza in una casa di altri è molto complesso, riferiscono da Ciac.

Sono circa 40 le persone ad oggi accolte nelle case dei cittadini parmigiani. «Per una città come Parma sono numeri importanti ma insufficienti viste le richieste che continuano ad arrivare», dice Volta di Ciac.

I profughi registrati in Campania sono oltre 6.500, circa il 15 per cento del totale degli ingressi in Italia, di cui 5mila solo a Napoli e provincia. Ma fino ad ora hanno trovato tutti una soluzione alloggiativa autonoma, solo 400 sono stati ospitati dagli istituti religiosi. Le associazioni nella regione, come L.e.s.s, stanno lavorando sulle altre componenti dell’accoglienza: informazione, orientamento legale, generi di prima necessità e inserimento scolastico.

La sede di Trieste sta raccogliendo le disponibilità ad accogliere «per inserirle eventualmente in percorsi ministeriali o istituzionali coordinati e verificati», si legge nell’annuncio. Mentre il Consorzio italiano di solidarietà di Trieste ha pubblicato un comunicato con cui chiede «con la massima urgenza appartamenti di civile abitazione, piccoli e medi, da locare sul mercato locale a un prezzo equo o da prendere in comodato d’uso per ospitare le famiglie ucraine».

La rete Caritas

All’interno del terzo settore si colloca la grande rete della Caritas, l’ente della Chiesa cattolica italiana, che si dirama sui territori con oltre 200 Caritas diocesane. Alle sue spalle ha una grande storia di accoglienza e aiuto umanitario, così fin da subito si è mossa per accogliere i migranti che scappano dal conflitto. 

Marco Pagniello, direttore generale della Caritas italiana, riferisce che la rete è in grado di mettere a disposizione 10mila posti letto per gli ucraini.

Una parte grazie all’adesione delle famiglie che hanno dato disponibilità tramite le parrocchie, un’altra tramite le strutture religiose italiane gestite dalle diocesi o dagli ordini religiosi, appartamenti in affitto e una minima parte da strutture che fanno parte del sistema Cas e Sai, i centri di accoglienza per migranti finanziati dallo stato. 

L’accoglienza viene gestita in coordinamento con le prefetture, i comuni e i presidenti di regione tramite tavoli di confronto periodico e messa a disposizione delle disponibilità alloggiative. Oltre confine, invece, l’ente si interfaccia sia con la Caritas europea che con quella ucraina. «Tantissimi operatori e volontari sono rimasti nel paese per poter sostenere le persone che non riescono ad uscire», dice Pagniello. 

Da oggi fino a mercoledì partiranno voli organizzati da Caritas e l’ong Open arms per «andare a prendere» coloro che fuggono dal paese. A disposizione ci sono circa 650 posti, ma completare la capienza non è stato semplice, le richieste sono arrivate a singhiozzo. 

«Gli ucraini che arrivano in Italia sono legati alle persone che vivono già qui, tramite una rete di conoscenze, ma in molti preferiscono rimanere vicino al confine perché la speranza è quella di tornare presto a casa», spiega Pagniello, che pone anche un problema di merito in vista dell’arrivo della primavera: «Dobbiamo occuparci della migrazione solita, che con la crisi ucraina non si è di certo fermata, e con l’arrivo del caldo i flussi aumenteranno. Il rischio che questa emergenza molto presente faccia dimenticare che c’è un altro mondo di migranti». 

Il sistema di accoglienza

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Chi non è ospitato in famiglia viene inserito nel sistema di accoglienza, formato da Cas, i centri di accoglienza straordinaria, e dal Sai. I Cas, grandi centri gestiti dalla prefettura, che dovrebbero essere straordinari, sono diventati la misura ordinaria. 

Il Sai invece, il sistema di accoglienza diffusa sul territorio gestito dai comuni, ospita circa un terzo dei richiedenti asilo. Mentre i primi offrono pochi servizi oltre a vitto e alloggio, il Sai garantisce, tra gli altri, l’assistenza sanitaria, sociale, psicologica, la mediazione linguistico-culturale, l’insegnamento della lingua italiana, oltre a favorire la rete di relazioni sul territorio.

A Parma e provincia la rete di associazioni Civiltà dell’accoglienza a tre giorni dallo scoppio della guerra era riuscita a creare 70 nuovi posti nel sistema Sai. Ma non sono sufficienti e si attende un incremento dei posti da parte dei comuni. Intanto la rete ha risposto al bando della prefettura mettendo a disposizione 162 nuovi posti in appartamenti  

A Bologna, il comune ha creato un tavolo con la prefettura e riceve direttamente le disponibilità dei privati ad affittare o dare in comodato d’uso le proprie case. Gli enti del terzo settore possono anche trovare autonomamente case da affittare. L’accoglienza è poi gestita dagli enti del terzo settore già convenzionati con il comune all’interno del sistema Sai, come ad esempio l’Antoniano.

L’obiettivo è evitare che le persone vengano ospitate nei Cas, considerato anche l’ultimo bando indetto dalla prefettura per l’apertura di centri di prima accoglienza.

Le associazioni infatti fanno notare come la prefettura, con una rettifica, abbia depennato alcuni servizi dal bando: il servizio di mediazione linguistico culturale, il servizio di orientamento sul territorio, il servizio di assistenza sociale, il servizio di assistenza psicologica e il servizio di somministrazione di corsi in lingua italiana.

A Trieste invece la tradizione della città, praticata dal Consorzio italiano di solidarietà e poi istituzionalizzata, vuole che i Cas siano equiparati al Sai. I migranti vengono quindi accolti in piccoli appartamenti e il servizio è equiparato al sistema diffuso già nel bando prefettizio, ma negli ultimi anni il sostegno economico pro capite pro die è diminuito molto.

A Napoli continua a esserci una cabina di regia poco chiara, un’accoglienza poco strutturata e su base volontaria. E la prefettura non ha ancora indetto nessun bando per l’aumento dei posti nei Cas. Mentre il presidente della regione Vincenzo De Luca ha firmato un’ordinanza lo scorso 16 marzo, con cui ha sancito una convenzione con le associazioni di categoria degli albergatori per mettere a disposizione strutture ricettive per l’accoglienza, qualora mancassero le strutture ordinarie, Cas e Sai.

Cosa fa il governo

LaPresse

Se i centri di accoglienza si riempono con gli ucraini, dove verranno collocati i migranti provenienti in particolare dall’Africa e dal medio oriente? Al momento le risposte del governo sono scarne. 

Il 28 febbraio è entrato in vigore il secondo decreto legge Ucraina. È stato deciso di semplificare le norme di permanenza nei Cas, i centri di accoglienza straordinari, in cui i rifugiati potranno accedervi indipendentemente dal fatto che abbiano presentato domanda di protezione internazionale.

Al termine del Consiglio dei ministri che ha esaminato e approvato il decreto legge, la comunicazione di palazzo Chigi aveva fatto sapere alla stampa che il provvedimento prevedeva la creazione di 16mila nuovi posti tra Cas (13mila) e Sai (3mila), il sistema di accoglienza e integrazione. In realtà non è così, la legge ne prevede solo 8mila, la metà di quelli dichiarati. Lo stesso ministero dell’Interno, che ha competenza in materia, confermava che i posti aggiuntivi al momento sono ottomila, di cui cinquemila posti nei Cas e tremila nel Sai.

I profughi vengono ospitati anche nei Covid hotel, utilizzati durante la prima fase della pandemia per chi si trovava fuori regione. La ministra Luciana Lamorgese ha detto che l’Agenzia nazionale che si occupa dei beni sequestrati alla criminalità organizzata ha avviato il censimento dei beni confiscati che possono essere destinati per accogliere i profughi.

Venerdì il governo ha approvato un nuovo decreto in cui si occupa anche della crisi umanitaria ucraina. Le risorse messe a disposizione sono 428 milioni di euro per il 2022, che vanno ad aggiungersi ai 12 milioni già stanziati in precedenza.

La Protezione civile è stata formalmente incaricata di occuparsi dell’accoglienza “diffusa” tramite i comuni, gli enti del terzo settore, i centri di servizio per il volontariato, le associazioni e gli enti religiosi (per un massimo di 15mila persone), e di definire in che modo riceveranno sostegno, anche economico, le persone rifugiate e che hanno trovato una sistemazione autonoma tra famiglie e amici ucraini residenti in Italia (per un massimo di 60mila persone). 

Da dove entrano

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Di questa umanità in fuga, fatta soprattutto di donne e bambini, è entrata in Italia principalmente dalle frontiere stradali di Tarvisio, Trieste e Gorizia, attraverso passaggi privati, la rete delle associazioni e pullman noleggiati privatamente, come quello che si è ribaltato tragicamente qualche giorno fa sulla A14. Le prefetture italiane hanno predisposto un piano di accoglienza straordinaria e si moltiplicano gli avvisi per il reperimento di nuovi posti.

Perché se al momento, sono una minima parte di profughi che si sono rivolti alla rete ufficiale dell’accoglienza sfruttando quella rete di 248mila ucraini già residenti nel nostro paese, il timore è che con il tempo e con il prolungarsi del conflitto i posti possano non bastare e che la rete ucraina non sia più in grado di sostenere da sola l’accoglienza. Le città che hanno avuto un maggiore afflusso di arrivi sono Milano, Bologna, Roma e Napoli. 

Attenzione ai minori

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Uno dei problemi dell’accoglienza riguarda i minori non accompagnati, bambini e ragazzi che arrivano da soli, una delle questioni che senz’altro è la più delicata in ogni guerra. Se non presi in carico dalle istituzioni rischiano di finire in mano a trafficanti di organi, vittime di tratta o entrare nel business degli affidi e delle adozioni.

Le associazioni, il garante dell’Infanzia e dell’adolescenza e le istituzioni comunicato di fare sempre riferimento ai comuni e alle prefetture quando si vuole chiedere in affidamento un minore e rispettare tutte le procedure della legge.  

Sono però già molte le finte associazioni che, cavalcando l’onda emotiva, si propongono come intermediari per l’affido dei bambini in fuga dalla guerra e che spesso erano già ospitati in orfanotrofi in Ucraina.

Dall’Anci assicurano che quasi tutti quelli che sono giunti in Italia finora hanno un adulto di riferimento, talvolta sono nonne o zie, perché i genitori erano già fuori dal paese per lavoro, ma questi ragazzi anche se in un primo momento vengono calcolati come “non accompagnati”, poi vengono riaffidati ai propri parenti. Tra i migranti entrati in Italia, riferisce un funzionario del Viminale, al momento solo il 2-3 per cento sono minorenni non accompagnati, circa 170.

Una procedura consentirà a questi ragazzi l’ingresso a scuola, con l’aiuto di mediatori culturali. Alcuni sono già stati inseriti.

L’assistenza sanitaria e anti Covid

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Nell’ultimo decreto approvato venerdì il governo ha riconosciuto un contributo economico alle regioni, che gestiscono il sistema sanitario, per l’assistenza ai nuovi arrivati, titolari della protezione temporanea. Il budget copre le spese per circa 100mila persone. Al 17 marzo in Lombardia erano state rilasciate già oltre 5mila tessere sanitarie temporanee, ha riferito il prefetto di Milano Renato Saccone.

Tra le particolarità di questo flusso di profughi, c’è anche la necessità di adottare le misure di contenimento della pandemia.  «Sfatiamo il mito che nessuno si vuole vaccinare», dice Giancarlo Santone, direttore del centro SaMiFo, Salute migranti forzati, una struttura sanitaria dell’Asl Roma 1 che lavora in coordinamento con la prefettura e con il terzo settore.

Molti hanno già ricevuto il vaccino anti Covid. Il ministro della Salute Roberto Speranza, dall’inizio del conflitto, ha diffuso una circolare in cui ha stabilito alcune regole per chi entra. Entro 48 ore gli ucraini devono sottoporsi a un tampone molecolare o antigenico. Nei cinque giorni successivi devono osservare l’auto sorveglianza con obbligo di indossare la mascherina Ffp2.

Al punto di ingresso in Italia, o comunque entro i cinque giorni successivi dall’arrivo, il servizio sanitario garantisce la somministrazione dei vaccini anti Covid-19, difterite, tetano, pertosse, poliomielite. Viene anche offerto, quindi non in forma obbligatoria, il vaccino anti morbillo, parotite, rosolia e del test di screening per la tubercolosi.

Per quanto riguarda i vaccini anti Covid, a Roma ad esempio le dosi vengono somministrate all’hub di Termini o all’hub Acea/ostiense, creati dal centro prima dell’arrivo degli ucraini. Nell’hub, le persone vengono sottoposte a tampone per l’ingresso nell’accoglienza e viene fatta loro un’anamnesi. 

«Una cosa importante che abbiamo attivato immediatamente è il servizio di mediazione, perché la comprensione è fondamentale», dice Santone, spiegando che oltre ai servizi garantiti al SaMiFo, dove si lavora in equipe, verranno aggiunte due psicologhe all’interno degli hub senza toglierle al servizio. 

Dal 2 al 18 marzo nelle strutture dell’Asl Roma 1 sono stati effettuati tamponi a 4.350 persone, di cui sono risultate positive solo 43, pari all’un per cento, ma nessuno è stato ricoverato. Novecento invece le persone a cui è stato somministrato il vaccino, circa il 20 per cento, mentre sono 15 le vaccinazioni pediatriche.

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