Il ministero per la Transizione ecologica ha varato il “Pitesai”, il piano per la transizione energetica sostenibile della aree idonee, un titolo dietro il quale si cela la mappa della aree dove da adesso sarà possibile riprendere la ricerca e l’estrazione di idrocarburi in nuovi siti. Il via libera definitivo arriva dopo l’ok delle Regioni lo scorso dicembre, che aveva posto come condizione che si rivolgesse solo al gas e non al petrolio.

Il ministro della Transizione ecologica Roberto Cingolani lo ha firmato il 28 dicembre ma lo ha reso pubblico solo l’11 febbraio. I comuni delle regioni interessate sono pronti a fare ricorso, anche perché non sono chiari i vantaggi di questa operazione che, nelle intenzioni del governo, dovrebbe aiutare a raddoppiare la produzione di metano nazionale e abbassare i prezzi dell’energia che stanno mettendo in difficoltà famiglie e imprese, ma in realtà presenta problemi di tempi e di adeguatezza.

Concessioni e permessi di estrazione

Attualmente in Italia si estraggono idrocarburi, dunque ci sono concessioni attive, in un centinaio di siti, sia su terra sia in mare, non stupisce che i nuovi via libera dovrebbero arrivare nelle stesse aree. Si va dall’alto Adriatico alle coste della Sicilia. 

Nel 2019 un emendamento a un decreto del governo Conte I ha bloccato i permessi di ricerca in attesa che venissero individuate le aree idonee. Il che vuol dire che nei giacimenti esistenti si è continuato a estrarre ma è stata introdotta una moratoria per i permessi di ricerca che avrebbero potuto portare a nuove estrazioni, e che adesso stati sbloccati. Dai dati Mite risultano 63 istanze attive, di cui 34 sospese per volere delle aziende.

La produzione nazionale di metano copre intorno al 5 per cento del fabbisogno nazionale, 3,5 miliardi di metri cubi. Il governo secondo quanto anticipato dal ministro Cingolani ha intenzione di raddoppiare la quota nazionale, a suo dire incrementando l’estrazione dai siti già esistenti e puntando sul Pitesai. Nel caso in cui l’operazione andasse a buon fine si tratterebbe al massimo di andare a coprire 10 per cento delle necessità italiane.

Draghi ha confermato di recente (senza però dire esplicitamente che il piano si rivolge al metano) che l’esecutivo punta a sfruttare la quota extra di produzione per arrivare a degli accordi a prezzi calmierati in modo da rendere più competitivi i prezzi dell’energia per le industrie.

Il metano italiano

I prezzi del gas hanno subito un’impennata a seguito delle tensioni tra Russia e Ucraina, paese di transito del metano, un doppio rischio, sia economico sia di approvvigionamento. In Italia si consumano ogni anno 71 miliardi di metri cubi di gas. Il mix energetico italiano, ovvero l’insieme delle fonti che concorrono a soddisfare i bisogni energetici del paese, vede questa fonte pesare per il 42,8 per cento.

Il Comitato parlamentare per la sicurezza della Repubblica ha seguito il tema degli approvvigionamenti di gas e alla fine dell’anno scorso ha ribadito che l’approvvigionamento è prevalentemente estero e si origina per il 42 per cento dalla Russia, seguono Algeria (14 per cento), Qatar (11 per cento), Norvegia (9 per cento), Libia (8 per cento) e Olanda (2 per cento).

Sul fronte geopolitico, anche ammesso che l’incremento della produzione nazionale andasse a erodere interamente solo la quota russa, più di un terzo degli approvvigionamenti nazionali continuerebbe a dipendere da Mosca.

Lo stoccaggio

Un altro dei punti in sospeso è il sistema di stoccaggio, recentemente menzionato dal presidente del consiglio Mario Draghi. Lo stoccaggio garantisce il bilanciamento giornaliero assicurando la copertura nella stagione invernale e comunque continuità e sicurezza delle forniture.

La capacità di stoccaggio è attualmente al 75 per cento, la media europea è del 65 per cento, ed è inferiore alla media degli anni precedenti a causa dell’aumento dei prezzi di questa risorsa. L’esecutivo avrebbe intenzione di intervenire, ma ancora non è chiaro in che modo.

Eni rigrazia

Assorisorse, l’associazione che in passato si chiamava Assomineraria e raggruppa le aziende minerarie e presieduta dal dirigente Eni, Luigi Ciarrocchi, subito dopo l’approvazione del piano ha ringraziato il governo e ha aggiunto: «Occorrerà analizzare se e in che modo il piano consenta di far fronte all’aumento dei prezzi dell’energia».

Davide Tabarelli, presidente della società di consulenza Nomisma energia, ha segnalato che tecnicamente un raddoppio della produzione sarebbe possibile in un anno, dunque in un lasso di tempo che non permette di immaginare un calo dei costi a breve termine. L’aggiornamento dei prezzi dell’energia – già cresciuti a dismisura – invece è previsto già per il prossimo aprile e le tensioni tra Russia e Ucraina non fanno sperare in un calo dei prezzi.

Problemi legislativi

Come ha rilevato su Domani Enzo Di Salvatore, il costituzionalista tra i fondatori del Coordinamento No Triv, la condizione che i permessi di ricerca di idrocarburi riguardino solo il metano è priva di senso: non è possibile distinguere la ricerca del gas da quella del petrolio.

Di Salvatore obietta che se il sottosuolo o i fondali marini siano ricchi di idrocarburi solo liquidi o solo gassosi «è questione che può emergere solo dopo aver effettuato la ricerca e non prima».

In secondo luogo, anche se ciò fosse possibile, la legge non consente di accordare il permesso di ricerca solo per l’un tipo o per l’altro: il permesso è unitario; il che comporta che si debba modificare prima la legge per creare un discrimine altrimenti via libera per tutti. A tutto questo si aggiunge che la Sicilia ha competenze autonome in materia di ricerca e produzione di idrocarburi in terraferma, e l’attuazione del Pitesai sarà demandata a valutazioni e provvedimenti adottati dalla stessa regione.

I comuni pronti a dire no

Di fronte a tutti questi problemi, i comuni che si potrebbero ritrovare ad affrontare gli impatti ambientali di questa decisione a breve non hanno intenzione di accettare questa decisione. Il Coordinamento No Triv subito dopo il via libera delle regioni ha deciso di chiedere ai comuni potenzialmente interessati dalle estrazioni di studiare il caso e adesso sono pronti a fare ricorso. 

Sono rappresentate quasi tutte le regioni interessate da attività di ricerca: Sicilia, Basilicata, Campania, Abruzzo, Emilia Romagna e Lombardia. I numeri, specifica il Coordinamento, sono destinati a crescere man mano che l'iniziativa andrà avanti anche in Puglia, Marche e Calabria.

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