Matteo Piantedosi, oltre al nome, condivide con Salvini anche la strategia da ministro dell’Interno fondata sulla linea dura dei porti chiusi. Piantedosi è stato il capo di gabinetto del leader della Lega ai tempi del Viminale.  All’epoca del governo giallo-verde l’attuale ministro era il tecnico che ha permesso Salvini di applicare il metodo “tolleranza zero” contro le navi delle organizzazioni non governative attive nel Mediterraneo con lo scopo di salvare le vite dei migranti in partenza dalla Libia. 

Da neo ministro del governo di Giorgia Meloni, Piantedosi, ha subito applicato lo stesso metodo, identico nel lasciare in agonia le navi umanitarie senza un porto sicuro nel quale attraccare, ma modificandolo in parte e caratterizzandolo con un cinico sbarco selettivo: dopo giorni di attesa giù dalle imbarcazioni solo chi è in gravi condizioni sanitarie o di fragilità.

Nel caso della nave Humanity 1, sono sbarcati in 144 e rimasti a bordo 34, mentre in quello della Geo Barents di Medici senza frontiere, sono scesi in 357, 215 ancora bloccati a bordo. Secondo Piantedosi le navi delle ong con i “non selezionati” dovrebbero ripartire e uscire dalle acque territoriali. Per portarli dove? In Libia? Le ong non lo farebbero mai, si tratterebbe di pratica un respingimento illegale in uno stato che rinchiude i migranti nelle prigioni.

Per questo le imbarcazioni sono ferme nel porto di Catania nonostante il decreto firmato da Piantedosi insieme al ministro delle Infrastrutture (Salvini) e della Difesa (Guido Crosetto).  Sarà una battaglia legale durissima. E non è scontato che il ministero abbia la meglio. 

Piantedosi non è nuovo a situazioni di questo tipo. Da capo di gabinetto di Salvini è stato ascoltato come testimone nell’indagine sul blocco della nave Open Arms, caso per il quale l’ex ministro è tuttora sotto processo a Palermo con l’accusa di sequestro di persona, aveva impedito lo sbarco di 140 immigrati a bordo dell’imbarcazione umanitaria spagnola nell’agosto del 2019. Piantedosi fu pure indagato, ma poi archiviato: non erano emersi elementi per accusarlo di collaborazione attiva nel sequestro, era solo un tecnico al servizio di scelte politiche del ministro. 

L’interrogatorio

Il 2 ottobre 2019 la procura di Agrigento ha convocato l’allora capo di gabinetto di Salvini in qualità di persona informata dei fatti, un testimone in pratica, il braccio operativo del ministro. Per questo i magistrati gli chiedono di ripercorrere quei giorni di agosto con la nave in acque italiane carica di migranti ostaggio del ministro.  

«Una volta che la Open Arms è entrata in acque territoriali e sono state accertate situazioni igienico-sanitarie precarie e atti di autolesionismo, cosa avete ritenuto di fare?», è una delle prime domande dei pubblici ministeri rivolta a Piantedosi.

«È necessario che queste valutazioni vengano certificate dalle Autorità marittime preposte per tali accertamenti. Nessuno ci ha certificato queste situazioni. Inoltre, nel frattempo stava intervenendo la Spagna. In virtù dell'emissione del divieto di ingresso nel territorio dello stato, emesso dai tre ministri competenti noi abbiamo ritenuto non si trattasse di evento Sar (ricerca e soccorso) e che pertanto non vi fossero i presupposti per la valutazione circa la concessione del Pos (porto sicuro)», è stata la risposta del capo di gabinetto oggi ministro dell’Interno.

Nella risposta ai pm, Piantedosi in pratica ammette che secondo il ministero l’attività della nave umanitaria non era inquadrabile nel servizio di ricerca e soccorso, bensì «come episodi rientranti nel fenomeno di favoreggiamento dell'immigrazione clandestina, come indicato nelle comunicazioni provenienti da Imrcc (Il centro di coordinamento e soccorso della guardia costiera italiana)». Lo pensava all’epoca da capo di gabinetto e continua a ritenerlo adesso che è ministro.

«Abbiamo ritenuto che non vi fosse alcun provvedimento da adottare, poiché ritenevamo che non si trattasse di ipotesi che richiedeva assegnazione del porto sicuro», aveva aggiunto Piantedosi. Una considerazione errata, visto la presenza a bordo di persone fragili rese ancor più vulnerabili dal pregresso in Libia, fatto di violenze e umiliazioni.

«Avevate contezza dei soggetti che si trovavano a bordo della Open Arms, della composizione dei migranti (minorenni, richiedenti asilo, donne vittime di violenza sessuale, etc.)? Avete fatto un'istruttoria?», avevano domandato i pm.

La risposta del neo ministro: «No, non ne avevamo conoscenza. Ritenevamo che fossero comunque valutazioni di competenza dello stato di bandiera, ossia la Spagna».

A bordo c’erano 27 minorenni, un migrante aveva ferite da arma da fuoco ai piedi risalenti, ricordo delle torture subite in Libia. Piantedosi era a conoscenza di tutto questo?

La linea dura ideata da Salvini e messa in pratica dal “tecnico” Piantedosi s è dovuta ammorbidire quando dopo numerose pressioni anche internazionali hanno dovuto concedere lo sbarco dei migranti minorenni. Dopo sedici giorni di blocco forzato in mare. A distanza di tre anni la storia si ripete. 

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