Chissà che un giorno non si possa parlare di pizza al taglio calabrese. Non è certo l’ambizione di Daniele Campana, pizzaiolo di Corigliano Calabro, in provincia di Cosenza, che si è specializzato negli anni nelle pizze in teglia, richiamando così la tradizione romana.

Ma qui non siamo nella capitale, ma lungo una via Nazionale di un paese cresciuto tanto - oltre 30mila abitanti, diventati oltre 70 mila con l’accorpamento di Rossano Calabro - in quei borghi diventati un po’ paesoni dove ci sono più sportelli bancari che botteghe. Eppure Daniele è tenace e la tradizione gastronomica delle sue origini la mette sulla pizza. 

Barba e capelli fluenti, un tempo biondi, oggi imbiancati, come se fosse colpa della farina che lo accompagna fin da ragazzino, da quando i genitori, tornati al paese dopo anni in giro per l’Italia - il padre era cuoco - decidono di aprire la Campana Pizza in teglia.

Papà Franco e Mamma Carmela sfornano duecento teglie al giorno, una quindicina di tipologie e poi anche rosticceria e primi piatti per le pause pranzo. Così tutti i giorni dalle 5 del mattino fino a mezzanotte. E fino al 2007 quando subentra Daniele ai genitori. 

In trenta metri quadrati appena l’allora trentenne pizzaiolo fa la sua rivoluzione: porta le teglie a trenta, elimina i fritti, i panini con wurstel e patatine, mette insieme i fichi con la nduja, delude i concittadini che volevano mangiare quello che tutti mangiano nelle grandi città: «Mi ritengono strano - spiega ridacchiando Daniele - per me gli strani sono gli altri. Ho sempre avuto un cruccio, il non capire perché la mia comunità, che ha basato tutta la sua ricchezza sull’agricoltura, non sia in grado di valorizzare la materia prima. Penso alla nostra clementina (è una Igp, ndr) che ha portato un enorme benessere economico, eppure nessun imprenditore ha lavorato sulla tutela e la qualità».

Corigliano-Rossano è in effetti l’epicentro economico della costa ionica ed è anche il secondo porto in Calabria per importanza. Un racconto di terra e di mare che torna sulle pizze di Daniele: «Mio padre era cuoco sulle navi - ricorda l’imprenditore - e quando si fermava la domenica in porto passavo del tempo con lui nelle grandi cucine. C’è il ricordo di nonna Maria e delle colazioni con i fichi fatte in campagna per andare a sistemare le vigne, oppure il fiore di sambuco che lei metteva nell’impasto delle pizze». 

Quelle di Daniele - affettuosamente parlando - potremmo chiamarle pizze evocative, dove la ricerca del prodotto locale non basta. Quest’ultimo deve avere un sapore preciso, quello della memoria: «Al posto dei fiori ho usato l’infuso di sambuco. Ho aggiunto le fragole, la mozzarella, la nduja e la ricotta grattugiata ed è nata la pizza Sole».

Calabria al 100% sulle pizze Campana. E c’è la wine list dei naturali 

Anche grazie alla Sole, Daniele Campana ha ricevuto le “tre rotelle” dal Gambero Rosso, entrando in guida per la prima volta dalla porta principale.

Ma anche la sua pizza al pomodoro ha qualcosa di “ancestrale” perché per farla è andato alla ricerca dei pomodori migliori, quelli di Francesco Migliarese, agricoltore di Soverato. In pratica l’80 per cento del fatturato della pizzeria va nell’acquisto delle materie prime, tutte cercate e trovate nel raggio di poche decine di chilometri, con la costruzione di un’economia circolare che ha coinvolto imprese dalla forte identità territoriale: «I wurstel li uso, ma li faccio preparare dalla macelleria di fiducia, compro le verdure e le cucino io, abbiamo undici oli calabresi, tra cui quello buonissimo dell’azienda Doria, perché ogni pizza vuole il suo, ho un pescatore da cui prendo i gamberi bianchi, i moscardini, la gallinella per fare una teglia in stile cacciucco. Ho fatto una carta dei vini naturali, quasi una trentina e alcuni di questi sono calabresi».

Rimane da trovare la farina made in Calabria. Per ora questa viene dal Torinese, perché se è vero che non mancano i molini in zona, la materia prima non soddisfa Campana: Uso la farina tipo 1 macinata a pietra e lavoro con una biga che matura diciotto ore e che non viene mai rinfrescata. Il risultato finale è una pasta un po’ più scura. Per spiegarlo mettiamo ogni pizza in un cartone che ha una prima etichetta che spiega come va riscaldata e una seconda che racconta come viene fatta e di chi sono i prodotti utilizzati. Mi piace pensare alle mie pizze come un dono che arriva nelle case”. Il prezzo di un pezzo di pizza al taglio? da 1 euro e 50 a 4 euro. Roma - e le altre grandi città - sono lontane anche per questo.


 

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