Dopo il ministero della Giustizia anche l’Associazione nazionale magistrati (Anm) ha espresso il proprio «disappunto» per le argomentazioni con cui il tribunale di Francoforte ha respinto il ricorso volto a inibire l’uso del nome 'Falcone&Borsellino' nell’insegna di un ristorante della città. Secondo i giudici tedeschi, il ricorso presentato da Maria Falcone, sorella del magistrato ucciso dalla mafia nel 1992, non può essere accettato perché la tutela della reputazione di Giovanni Falcone «a causa del passare del tempo e dello sbiadimento della memoria del defunto... non può più essere garantita» e inoltre bisogna «anche tener conto del fatto che l’opera di Giovanni Falcone si svolse principalmente in Italia». Un’altra motivazione utilizzata dai magistrati di Francoforte per giustificare la loro decisione è che Falcone e Borsellino sarebbero «noti solo ai criminologi».

L’Anm ha definito le affermazioni della sentenza tedesca «offensive per la memoria di Giovanni Falcone» accusandole di «svilire il senso esemplare di un impegno impareggiabile per l’affermazione dei valori fondamentali di ogni società democratica».

I magistrati italiani hanno voluto ricordare che «l’esperienza professionale di Giovanni Falcone, condivisa in unità di intenti e di azione da Paolo Borsellino, le loro brillanti intuizioni su nuovi metodi investigativi e la consapevolezza della dimensione globale del fenomeno mafioso hanno contribuito a formare parti importanti della normativa sovranazionale sul contrasto alle forme più gravi della criminalità che costituisce un tassello fondamentale della costruzione dello spazio giudiziario europeo» e che «Falcone e Borsellino sono un capitolo della storia comune del nostro tempo, che oltrepassa i confini nazionali e che non tollera considerazioni, specie di organi giudiziari, non sostenute da questa necessaria consapevolezza».

L’Anm ha infine ricordato che «la memoria è dovere civico e impegno culturale di tutte le istituzioni dell’Unione europea per l’affermazione, senza cedimenti, dei valori comuni in cui crediamo». Dopo la pubblicazione delle motivazioni della sentenza tedesca,  il ministro della Giustizia, Alfonso Bonafede, aveva detto che il suo ministero avrebbe «promosso azioni giudiziarie in Italia e in Germania» per ribaltarne l’esito.

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