I nuovi contagi continuano a rimanere stabili e si conferma che l’Italia ha raggiunto il cosidetto “plateau” dell’epidemia. Ma la situazione rimane difficile, soprattutto nelle terapie intensive. Giovedì, sono stati registrati 36.176 nuovi casi, circa duemila in meno rispetto a giovedì scorso. I decessi continuano a rimanere molto alti: ieri ne sono stati notificati 653. Ci sono inoltre 42 posti in più occupati nelle terapie intensive. Il totale dei posti occupati dai malati Covid-19 sale così 3.721, molto oltre quella che viene ritenuta la soglia di allarme.

La polemica

Proprio le terapie intensive sono finite al centro del dibattito in questi giorni. Il commissario all’emergenza Covid-19, Domenico Arcuri, ha infatti detto che il sistema delle terapie intensive non si troverebbe affatto sotto pressione, poiché i ricoverati sarebbero molto inferiori agli oltre 11mila posti disponibili (il 16 novembre, quando Arcuri ha rilasciato la sua dichiarazione, i posti occupati erano circa 3.400).

La sua dichiarazione ha fatto molto discutere, poiché andava nella direzione opposta rispetto alle statistiche diffuse quotidianamente da regioni e protezione civile, e contraddiceva le testimonianze di direttori di ospedali, medici ed infermieri intensivisti che parlano quotidianamente di un sistema vicino al punto del collasso.

Terapie intensive, cosa sono

Le terapie intensive sono spesso definite “l’ultima linea di difesa contro il virus”. Questo perché quando un paziente si aggrava al punto da non essere più in grado di respirare in modo autonomo l’unico modo di salvarlo è intubarlo, come si dice in gergo. In concreto significa addormentarlo, infilargli un tubo dentro la trachea e collegarlo a un ventilatore che simula la normale respirazione. In questo modo, un paziente può sopravvivere per giorni o settimane, nella speranza che il suo sistema immunitario riesca a sconfiggere il virus.

Intubare una persona è una procedura complicata, di cui sono responsabili i medici anestesisti, e una volta intubato, un paziente deve essere sottoposto a sorveglianza costante da parte di altro personale medico specializzato. In altre parole, un letto di terapia intensiva è un’unità medica complessa,composta da apparecchiature meccaniche, come il ventilatore, ma anche da personale altamente specializzato.

La soglia del 30 per cento

Le terapie intensive sono utilizzate anche quando non sono in corso pandemie. Si calcola che tra il 60 e il 70 per cento di tutti i posti disponibili in Italia siano costantemente occupati da malati affetti da altre gravi patologie, come infarti, ictus o gravi traumi causati da incidenti.

Per questa ragione, la soglia di allarme sull’occupazione delle terapie intensive da parte di pazienti Covid-19 è stata fissata dal ministero della Salute al 30 per cento. Avere più di questa percentuale di pazienti Covid-19 ricoverati significa che non ci sono più posti disponibili e che è quindi necessario spostare i malati in altre strutture, attendere ore preziose prima di intubare un paziente o ricorrere ad altre soluzioni di emergenza. Questa soglia è considerata così importante che superarla costituisce uno dei principali segnali di allarme che possono portare allo spostamento di una regione dalla zona gialla a quella arancione o addirittura a quella rossa.

Non è chiaro quanti esattamente siano i posti di terapia intensiva disponibili: come abbiamo scritto più volte su Domani, la situazione dei dati sulla pandemia è spesso confusa e contraddittoria. I dati più utilizzati sono quelli dell’Agenzia nazionale per i servizi sanitari regionali (Agenas) che aggiorna quotidianamente il suo database con i dati inviati dalle regioni. Secondo l’Agenas, il 43 per cento dei posti disponibili a livello nazionale è occupato da pazienti Covid-19. Soltanto quattro regioni si trovano sotto la soglia: Basilicata, Friuli Venzia Giulia, Molise e Veneto. Tutte le altre sono l’hanno ampiamente superata. In Lombardia, il totale dei ricoveri Covid-19 è addirittura al 65 per cento della capacità regionale, in Piemonte al 62 per cento e in Umbria al 58 per cento.

Quanti sono i posti

Arcuri ha parlato di oltre 11 mila posti disponibili poiché nel suo conteggio ha incluso tutti i posti disponibili sulla carta. Si tratta di letti di ospedale e ventilatori che all’occorrenza possono essere dotati di personale proveniente da altre aree mediche e che hanno ricevuto un corso sommario su come far funzionare una terapia intensiva, ma anche di posti “in via di approntamento”, cioè ventilatori ancora “impacchettati”, che ancora non si sa dove mettere o quale personale assegnargli. Il principale sindacato dei medici italiani, Anaoo Assomed, ha ricordato invece che in base alla definizione più ristretta, posti dotati di personale specializzato, sono soltanto 7.500.

Il numero delle terapie intensive realmente in funzione è probabilmente vicino a quello diffuso dall’Agenas, secondo cui le terapie intensive attualmente attivate sono poco più di 8.500 (ce ne sono quindi almeno un migliaio a cui lavora personale non specializzato). Mentre soltanto un altro migliaio è attivabile in poco tempo. Cifre molto lontane da quelle del commissario Arcuri.

 

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