La leader di Fratelli d’Italia Giorgia Meloni reagisce sempre allo stesso modo quando un’inchiesta coinvolge un esponente del suo partito. E negli ultimi anni le è capitato di frequente, considerando la folta schiera di indagati e arrestati. «Siamo rigidissimi nella selezione e nelle candidature e facciamo tutto quello che è nelle nostre possibilità per proporre agli italiani persone senza macchia», ripete come un disco rotto.

In alcuni casi però, c’erano già stati dei segnali, sentenze di primo grado, condanne della Corte dei conti. E Meloni, invece di escludere, ha preferito accogliere. In Sicilia, ad esempio, uno dei possibili candidati nelle liste di Fratelli d’Italia per le elezioni del 25 settembre, quasi sicuramente in un posto blindato, è Salvatore, detto Salvo, Pogliese, che è anche coordinatore regionale del partito nella Sicilia orientale.

Secondo le cronache locali qualche settimana fa si è dimesso da sindaco di Catania proprio per prepararsi al grande salto. In realtà era stato già sospeso da primo cittadino come previsto dalla legge Severino, la norma che le destre volevano cancellare con un referendum e che congela i vertici degli enti locali condannati anche senza sentenze definitive.

Condanna di primo grado

Cosa ha fatto Salvo Pogliese? Secondo il tribunale di Palermo che lo ha condannato, in primo grado, a quattro anni e tre mesi, è colpevole di peculato. A ottobre riprenderà il processo d’appello, ma a quel punto Polese potrebbe essere in Senato a sostenere un governo guidato da Meloni, la sua leader.

L’ex primo cittadino di Catania è stato condannato per aver utilizzato il denaro dei cittadini, in particolare dei gruppi regionali all’assemblea siciliana, in modo distorto rispetto a quanto previsto dalla legge.

All’epoca dei fatti, dal 2008 al 2012, Polese era consigliere regionale e vicepresidente del Pdl, il partito che temporaneamente aveva messo insieme Forza Italia e Alleanza nazionale.

La condanna è arrivata nel luglio 2020, le opposizioni hanno chiesto inutilmente le sue dimissioni, il sindaco è rimasto al suo posto. Il prefetto di Catania lo ha sospeso da primo cittadino ma nel dicembre 2020 è tornato in carica grazie a un ricorso dei suoi legali accolto dal tribunale. Nel gennaio 2022 è stato nuovamente sospeso dopo un pronunciamento anche della corte Costituzionale.

Tra le spese contestate dall’accusa ci sono circa mille euro per lavori nello studio professionale del padre, uno dei più noti commercialisti della città etnea; il pagamento, anche ai familiari, di soggiorni in albergo a Palermo; regali per il Natale 2010; carburante e cene. In totale le contestazioni riguardavano l’uso improprio di 70mila euro. Secondo i giudici che lo hanno condannato, le motivazioni sono state depositate nel gennaio 2021, si tratta di spese non giustificate.

Nel frattempo Antonio Pogliese, il padre di Salvo, nel febbraio 2019 è finito ai domiciliari in un’inchiesta della procura di Catania, condotta dalla Guardia di finanza e ribattezzata “Pupi di pezza”. Oggi è a processo accusato di operazioni fraudolente per milioni di euro. È sicuro di dimostrare la sua estraneità mentre il figlio, totalmente estraneo alla vicenda, è impegnato nella campagna elettorale.

La difesa

Anche lui ha sempre contestato le sentenze che lo riguardano. «Ho lasciato un comodo seggio a Bruxelles, ho rinunciato a uno stipendio più alto (11mila euro al mese in più) e all’immunità parlamentare che mi avrebbe tutelato dall’applicazione della Severino, per servire la mia città», dice Pogliese. Un servizio a tempo visto che nel luglio scorso si è dimesso e ora potrebbe trasferirsi in Senato. «Una scelta sofferta e a lungo ponderata ben prima della crisi, imprevedibile, del governo Draghi», assicura l’ex sindaco.

«La mia candidatura? È tutto da definire», dice Pogliese. Ma lei è stato condannato, non è un problema questo? «Io sono certo del mio comportamento, non accetto lezioni sulla moralità». Nella sentenza le contestano l’uso di soldi pubblici per regali, alberghi e lavori nello studio di suo padre, come spiega tutto questo

«Quando il mio gruppo era in deficit, le spese erano superiori ai fondi ricevuti, io ho anticipato 78mila di euro. Ho recuperato successivamente una parte di quel denaro con il meccanismo della compensazione che, in quei tempi, era legittimo. Il capogruppo del Pd usò lo stesso sistema e fu archiviato. In appello sarò assolto», dice. Ma nella sentenza i giudici respingono questa tesi difensiva. È stato anche condannato al risarcimento di 9mila euro dalla Corte dei conti per consulenze ritenute illegittime, ha pagato? «Certo», assicura Pogliese.

Ora è pronto, in attesa del processo d’appello, per le elezioni sotto la bandiera di Fratelli d’Italia e della sua leader Giorgia Meloni.  

(ha collaborato Simone Olivelli)

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