Prato, la rivolta degli sfruttati: novanta lavoratori denunciano i padroni

Novanta è il numero che segna la paura, ma in provincia di Prato racconta anche il coraggio contro soprusi e speculazioni. Per la precisione, infatti, sono 91 i lavoratori che nell’ultimo anno hanno denunciato situazioni di sfruttamento. Il distretto è quello del tessile, dove i padroni arrivano fino alle mani e alle aggressioni fisiche come accaduto, lo scorso 16 settembre, all’esterno della ditta Alba di Montemurlo. Quel giorno i lavoratori erano in presidio davanti all’azienda per chiedere salari giusti, il pagamento degli straordinari e condizioni di lavoro rispettose. L’azienda è impegnata nella confezione di abiti per grandi marchi, al centro di un sistema di scatole cinesi per massimizzare i profitti e ridurre i costi, come denuncia il sindacato Sudd Cobas. Durante il picchetto di metà settembre gli operai sono stati inseguiti e aggrediti da titolare e sodali con calci e pugni. Una protesta per denunciare orari di lavoro massacranti, fino a 12 ore al giorno, assunzioni con contratti che prevedono salari da fame a fronte del lavoro svolto. Per andare in bagno, addirittura, dovevano allungare ulteriormente la loro permanenza in azienda. Una moderna schiavitù. Grazie anche al lavoro del sindacato i picchetti non si sono fermati, la procura non è rimasta a guardare, così sono state disposte perquisizioni ed è stata aperta un’inchiesta per violenza privata e lesioni personali, reati che hanno come lesa il trentenne del Bangladesh e gli altri lavoratori che protestavano. Ipotizzati inoltre i reati di intermediazione illecita e lo sfruttamento del lavoro. I pm, guidati dal procuratore capo Luca Tescaroli, però hanno anche chiesto e ottenuto da prefettura e questura una misura di protezione per il lavoratore aggredito, che ha raccontato tutto agli inquirenti. Il secondo Remigration summit a Livorno, l’alleanza nera tra Lega e l’estrema destra di AfD La svolta Una decisione importante che serve a garantire protezione, ma anche a mandare un messaggio chiaro a chi denuncia e si fida delle istituzioni. Dal luglio del 2024 la procura della repubblica ha richiesto il rilascio di oltre 20 permessi di soggiorno chiedendo e ottenendo per un gruppo di loro l’applicazione di misure di protezione disposte dalle autorità di pubblica sicurezza. Le indagini proseguono con la visione dei filmati delle telecamere di sorveglianza che hanno ripreso l'area dove si è verificata l’aggressione. La procura ha fatto sapere che i fatti del 16 settembre si inseriscono «in una serie preoccupante di atti di violenza compiuti nel territorio del circondario pratese nei confronti dei lavoratori». Sono bengalesi, cinesi, pachistani, senegalesi e nordafricani i lavoratori che, in questi mesi, sono andati in procura per raccontare quanto le condizioni e le aggressioni subite dai padroni. Novantuno persone che hanno vinto la paura e dimostrato coraggio in un territorio dove lo sfruttamento è diffuso e articolato. Un numero che può creare una breccia e allargarsi in modo da poter mettere in crisi un sistema che è votato unicamente al profitto. Proprio in questa direzione, lo scorso maggio, la procura aveva fornito un numero di cellulare al quale inviare un sms in lingua italiana o in lingua madre per allargare il fronte delle denunce e far emergere nuovi casi di sfruttamento. Un quadro che racconta di un sistema di controlli inefficace e inadeguato, come già era emerso in un’altra inchiesta che aveva portato al coinvolgimento di quattro persone. In quel caso i soggetti raggiunti dalle misure cautelari, due pakistani e due cinesi, sarebbero stati il braccio operativo di una rete più ampia, riconducibile a una struttura societaria di proprietà di capitali cinesi. Una situazione che incrociava violenza, minacce e paura. I dipendenti avevano, infatti, fornito «versioni reticenti per timore di perdere il lavoro o subire ritorsioni», aveva denunciato la procura. Sullo sfondo si muovono anche le organizzazioni criminali: in basso lo sfruttamento, in alto lo scontro per il controllo del settore. L’indagine in questione riguardava, infatti, una delle tre aziende bersaglio dei plichi esplosivi recapitati e fatti scoppiare lo scorso febbraio in uno scontro tra imprenditori cinesi - la cosiddetta 'guerra delle grucce' - che ha una portata internazionale. Anche in questo caso grazie alle proteste erano arrivati i primi risultati. Ma poi gli operai sono diventati bersaglio di aggressioni. Le violenze sono state compiute per inibire altre rivendicazioni sindacali. Da allora a oggi non è cambiato nulla, ma c’è chi denuncia e viene protetto. A Prato la paura non fa 90. Il governo non ha aumentato la spesa sanitaria, le conseguenze del sottofinanziamento