Nel Piano nazionale ripresa e resilienza sono stanziati 8,6 miliardi per l’innovazione, la ricerca e la digitalizzazione del Servizio sanitario nazionale, con un focus particolare sul Fascicolo sanitario elettronico (Fse). Di queste risorse, 1,6 miliardi, sono dedicate al rafforzamento dell’infrastruttura tecnologica e degli strumenti per la raccolta, elaborazione e analisi dei dati, per rendere la sanità più digitale impiegando i nuovi strumenti anche per fronteggiare la pandemia, come nel caso dei richiami per la terza dose di vaccino. Fin qui la teoria, poi arriva la pratica.

Perché le regioni che si sono messe in moto per dare attuazione al Pnrr hanno ricevuto un richiamo dal Garante della privacy. Non un vero e proprio niet, ma una richiesta di informazioni che ha finito per frenare gli enti territoriali ancor prima di mettersi all’opera.

La terza dose

A portare il tema all’attenzione è stato l’assessore alla Salute della regione Lazio, Alessio D’Amato che ha spiegato la situazione. «Oggi il Lazio ha un dettaglio della stratificazione del rischio della sua popolazione molto avanzato ed è un problema grande quello rappresentato dal divieto imposto dal garante della privacy che ha aperto una procedura nei confronti di Lazio, Puglia, Emilia Romagna, Lombardia, Piemonte, Toscana, Veneto e la provincia di Bolzano, nell’ambito dell’elaborazione di metodologie predittive dell’evoluzione del fabbisogno di salute».

Sulla stessa linea d’onda anche Guido Bertolaso, attuale commissario all'emergenza Covid della regione Lombardia, che in un convegno organizzato dall’ambasciata di Israele si è scagliato contro il garante così: «Veniamo ascoltati e chiamati per qualsiasi pubblicità e poi non possiamo neanche chiamare direttamente le persone per sollecitarle a fare la terza dose perché violiamo la privacy».

La richiesta del Garante

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Posizione subito smentita dall’autorità che richiama l’attenzione sui soggetti che possono essere autorizzati alla gestione del dato sanitario. Infatti, la posizione del garante prevede che la chiamata diretta possa essere fatta «dagli operatori del Servizio sanitario nazionale, coinvolgendo, auspicabilmente, i medici di medicina generale, a cui è nota la situazione sanitaria degli assistiti, anche riguardo ad aspetti che sconsigliano la vaccinazione in assoluto o temporaneamente» e precisa che «a tutela della riservatezza degli assistiti, le iniziative per promuovere e sollecitare la terza dose di vaccino, non possono avvenire attraverso altri organi o uffici amministrativi regionali o comunali».

Risultato? Negli ultimi giorni, migliaia di cittadini stanno ricevendo messaggi dal tono «Gentile assistito le ricordiamo che per i soggetti con più di 60 anni è raccomandata la somministrazione della terza dose di vaccino. Può vaccinarsi dal suo medico di famiglia, in farmacia e nei punti vaccinali».

Si tratta quindi di un generico invito alla terza dose, molto meno efficace della chiamata diretta auspicata dalle regioni per convincere chi ancora non l'ha fatto. Ma l'authority dal suo canto si difende dicendo che sta facendo solo il proprio lavoro e quella avviata verso le regioni richiamate da D’Amato non è altro che un’indagine, una semplice richiesta di informazioni sulla modalità di trattamento dei dati, soprattutto in un momento in cui le informazioni sanitarie sono diventate un tesoro per case farmaceutiche e assicurazioni.

A dimostrarlo l’aumento degli attacchi hacker che negli ultimi mesi hanno mandato in tilt i sistemi della regione Lazio, della regione Toscana e da ultimo i sistemi dell'ospedale San Giovanni addolorata di Roma che non aveva neppure un referente per la sicurezza informatica.

Non passa giorno che un’amministrazione non sia oggetto di un attacco informatico o di una richiesta di riscatto in bitcoin. Una situazione che fotografa una debolezza infrastrutturale che mette sempre più a rischio la sicurezza dei nostri dati.

Le preoccupazioni del garante in un quadro generale sembrano meno infondate, anche di fronte all’accelerazione imposta da questa pioggia di risorse europee e a quest’ondata di euforia che ha colpito la politica.

Le critiche degli scienziati

Ma la questione non nasce con il Pnrr. Nella gestione della pandemia quello della privacy ha costituito un tema importante. Così oltre alle regioni a criticare l’attuale assetto sono spesso anche quelle personalità scientifiche che abbiamo imparato ad ascoltare negli ultimi mesi.

Tra questi, Walter Ricciardi, consigliere del ministro della Salute, Roberto Speranza, che spesso porta ad esempio il caso della Corea dove un tracciamento efficace e la geolocalizzazione hanno permesso un contenimento dei contagi. Tutti i paesi democratici sono in difficoltà nel trovare una conciliazione tra il diritto alla privacy e quello della gestione dei dati durante un'emergenza sanitaria.

«L’Europa sta cercando di recuperare, ma parte indietro su questo discorso perché ha privilegiato il concetto della privacy, della protezione ottusa dell'identità personale al concetto della protezione della vita stessa», ha detto.

E anche il direttore della prevenzione sanitaria del ministero della Salute, Giovanni Rezza, più di una volta ha confermato che in tempo di pandemia «la sanità pubblica non dovrebbe trovare ostacoli insormontabili a causa di leggi come quella sulla privacy. È chiaro che l’intento di chi opera nella sanità pubblica è quello di tutelare innanzitutto la salute di tutti, pur nel rispetto dei diritti inalienabili dei singoli».

Secondo D’Amato, che si è fatto portavoce di questa problematica, «o c’è un salto di qualità alla ricerca di un nuovo equilibrio, oppure la digitalizzazione del Servizio sanitario non farà passi in avanti verso quella medicina di iniziativa e la presa in carico dei cronici, che rappresenta oltre la metà dei costi della sanità».

Senza contare che senza una riforma della legge sulla tutela della privacy, una parte dei fondi del Pnrr della missione 6 (quella che riguarda la salute) rischiano di saltare a causa dei moniti del Garante, che sia chiaro fa solo il suo lavoro.

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