Dopo anni di battaglia dei suoi genitori, Marina e Valerio, è finalmente stata fatta giustizia per Marco Vannini. La Cassazione ha emesso la sentenza sull’omicidio del giovane, confermando tutte le condanne contro la famiglia Ciontoli.

In particolare, Antonio Ciontoli, accusato dell’omicidio volontario del giovane ventunenne, dovrà scontare 14 anni di carcere. Confermate anche le condanne a nove anni e quattro mesi per la moglie di Ciontoli, Maria Pizzillo e i due figli Federico e Martina Ciontoli. Rigettati tutti i ricorsi delle difese. La sentenza, accolta da un lungo applauso, arriva, dopo quasi quattro ore di camera di consiglio, dalla quinta sezione penale della Suprema Corte, presieduta da Paolo Antonio Bruno. 

Fuori la Corte si sono riuniti decine di giornalisti e i genitori Marina Conte e Valerio Vannini, che hanno detto: «I Ciontoli sono stati in silenzio sei anni e a ridosso della Cassazione si mettono a parlare sui social – aggiungono – Forse sperano di incidere sulla decisione ma crediamo che i giudici ormai abbiano ben chiaro tutto quello che è successo, anche perché parlano le carte». Marina Conte ha aggiunto: «Oggi l’ultima battaglia, la più importante: sono tesa. Ci aspettiamo una sentenza che dia dignità e giustizia a Marco».

Gli altri giudizi

In primo grado Antonio Ciontoli era stato condannato a 14 anni per omicidio volontario e i figli e la moglie a tre anni per omicidio colposo. In appello la condanna a Ciontoli padre è stata ridotta a cinque anni e il reato è stato derubricato a omicidio colposo. Dopo la sentenza, però, la Cassazione è intervenuta per la prima volta richiedendo che si ripeta il processo d’appello per riconoscere l’accusa più grave di omicidio volontario. Alla fine per Antonio Ciontoli è stata comminata una pena di 14 anni, mentre alla moglie e ai due figli 9 anni e 4 mesi per omicidio volontario anomalo.

La storia

Marco Vannini è stato ucciso nella notte tra il 17 e 18 maggio 2015 da un colpo d’arma da fuoco mentre si trovava nella casa della sua fidanzata, a Ladispoli, insieme alla famiglia di lei (Ciontoli).

Fin da subito gli inquirenti hanno avuto dubbi sulle dichiarazioni degli imputati. Secondo una prima ricostruzione fornita dalla famiglia accusata della morte del ragazzo, Marco era nel bagno intento a farsi la doccia quando entra Antonio Ciontoli, ex sottoufficiale della Marina militare, per fargli vedere le armi che deteneva in casa e sarebbe partito accidentalmente il colpo di pistola. Poi la chiamata ai soccorsi in cui si sente Marco ansimare dal dolore. Una chiamata che viene interrotta quasi nell’immediato prima di farne un’altra in cui Ciontoli dice all’operatrice che Marco si è ferito con la punta di un pettine. Quando arrivano gli infermieri non c’è quasi più nulla da fare. Una volta in ospedale Antonio Ciontoli riferirà al medico del proiettile, ma gli dirà anche di non dirlo a nessuno perché altrimenti perderebbe il lavoro.

La famiglia è stata anche condannata a pagare 200mila euro di risarcimento, ha venduto tutte le proprietà e chiuso i conti in banca. Una situazione per cui l’allora ministro della Giustizia Alfonso Bonafede ha aperto un’azione disciplinare nei confronti del pm Alessandra D’Amore, responsabile delle indagini del caso Vannini, sospettata di aver violato i doveri di diligenza ed efficienza.

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