Madre di Dio, vergine, caccia via Putin! Il capo del Kgb è il più santo dei santi. Manda chi protesta in prigione. Per non addolorare il santo dei santi le donne devono partorire e amare». Così recitavano le Pussy Riot nella cattedrale di Cristo salvatore a Mosca, con una preghiera punk passata alla storia. Era il 2012.

Un secolo prima le donne – almeno nel cosiddetto occidente – avevano iniziato a ottenere i loro primi diritti. Proprio le femministe russe 105 anni fa, l’8 marzo, avevano dato vita a uno sciopero generale per chiedere la fine della guerra. Oggi è ricordato come l’inizio della Rivoluzione russa di febbraio (per l’uso del calendario giuliano).

Femministe russe

Il rovesciamento dello zar, la fine dell’imperialismo e l’avvento del socialismo hanno determinato un’ondata di cambiamenti come mai prima. Le operaie russe si sono organizzate in sindacati di lotta e hanno ottenuto, per prime al mondo, diritti sino ad allora impediti: suffragio femminile, aborto, divorzio e parità salariale. La parità è stata sancita da Lenin attraverso il cosiddetto “bolscevismo femminista” che le vedeva come pari, come “compagne”. Stalin ha cancellato tutto, considerando le donne come fattrici e forza produttrice, così come ha fatto Putin secondo la preghiera delle Pussy Riot.

Il femminismo russo è rimasto silente per decenni, anche per una distinzione di base da quello statunitense, percepito come troppo concentrato sull’empowerment. Ci sono stati pochi segnali negli anni Settanta e Ottanta: «La vera svolta è stata negli ultimi dieci anni», racconta Ella Rossman, di Mosca. Attiva nel movimento femminista russo da otto anni, coordina le azioni di questi giorni. Ora vive a Londra, studia come storica: «Il mio nome puoi usarlo, perché ora sono una coordinatrice esterna e in Russia non posso tornare per i prossimi anni. Almeno fino a quando Putin non scomparirà».

In cerca di spazi

Le femministe sono una delle poche forze politiche di opposizione attive. Le autorità per molto tempo non le hanno percepite come un pericolo o fonte di potere: «Rispetto ad altri gruppi politici siamo state temporaneamente meno colpite dalla repressione statale», dice Rossman. Le idee femministe hanno trovato poco spazio sui media. Ancora oggi queste donne in Russia sono descritte per la maggior parte come “lesbiche strambe e da evitare”. Ma i media indipendenti, Novaja Gazeta in testa, negli ultimi anni hanno iniziato a sviluppare un’agenda femminista, ospitandone molte nelle loro colonne.

Intanto però la politica di Putin ha tolto diritti e riconoscimenti consolidati: è stata depenalizzata la violenza domestica, impedito l’accesso ai contraccettivi e si vuole rendere l’aborto un servizio a pagamento. Non c’è spazio politico per le femministe russe, l’opposizione di fatto non esiste, di conseguenza nessuna voce che si discosti dal volere di Putin. «Siamo pur sempre un’autocrazia, giusto?», dice Rossman. Per questo le femministe hanno iniziato a fare attivismo di comunità: organizzato festival ed eventi educativi per un pubblico ampio. Creato spazi per discutere di uguaglianza, diritti di genere e diritti delle donne.

Parlare della guerra

E ora con questa guerra, non sono da meno. «Le femministe sono diventate la prima potenza di opposizione che ha creato un movimento organizzato contro la guerra». Già dalle prime ore, racconta Rossman, si sono organizzate su Telegram per smontare le bugie del Cremlino: «È una resistenza femminista e civile che al momento coinvolge più di 20mila persone, molte ci appoggiano online da altri paesi europei». C’è un gruppo di coordinamento composto da dieci persone che lavorano in modo anonimo, dentro e fuori dalla Russia.

Vanno per le strade, fanno manifestazioni, picchetti, ogni tipo di azione per incontrare le persone. «All’inizio i media neanche usavano la parola guerra, l’hanno sempre negata, parlavano di operazione speciale. Quando abbiamo capito com’erano in realtà le cose, abbiamo subito iniziato a fare informazione online, ma anche offline, per le strade, a parlare con i cittadini».

Stanno lanciando campagne utilizzando hashtag (per seguirle: #FeministAntiWarResistance e #FeministsAgainstWar). Hanno stampato volantini, migliaia di adesivi che appiccicano per le città, «perché la maggior parte della gente non immagina neppure che ci siano civili uccisi dalle nostre bombe. Lo stesso ministero della Difesa russo ha negato i primi giorni che ci fossero soldati russi uccisi».

Nascoste ma attive

Queste donne così invisibili agli occhi del Cremlino, certo in minoranza, con il tempo si sono organizzate. Prima dell’inizio della guerra contro l’Ucraina, Rossman ha contato più di 45 gruppi femministi in Russia, molti collegati tra loro e partner nelle loro azioni. Non solo a Mosca o San Pietroburgo, ma in tutto il territorio: da Kaliningrad a Vladivostok, da Rostov-on-Don a Ulan-Ude e Murmansk, fino al Caucaso.

L’anonimato è la norma: già prima che la guerra, e ora con la scure della propaganda putiniana, rimanere nascoste, pur attive, è fondamentale. Con le recenti direttive che hanno modificato il codice penale, si passa per “traditori della patria” e si rischiano multe e fino a quindici anni di carcere. Se si porta “aiuto alla causa ucraina” o diffondono fake news, cioè le informazioni non gradite al governo centrale. Per le manifestazioni del 6 marzo scorso, le femministe si sono riunite in numerose piazze in tutta la Russia. Decine di attiviste, conferma Rossman e riporta Novaja Gazeta, sono state arrestate e torturate: picchiate e tirate per i capelli.

Resistenza femminista

In questi giorni hanno anche fatto uscire un manifesto delle femministe russe, sotto il nome di Feminist Anti-War Resistance, un invito a tutte le femministe del mondo a sostenerle: «A Putin non sono mai interessate le persone del Luhansk e Donetsk, usa la guerra solo per diffondere i suoi “valori tradizionali” che includono la disuguaglianza di genere, lo sfruttamento delle donne e la repressione statale contro coloro il cui stile di vita, tutto conforme alle ristrette norme del patriarcato», scrivono.

«Putin ha detto che l’idea è quella di smilitarizzazione e denazificazione dell’Ucraina. Ma cosa significa? È pieno di neo nazisti in Russia. Sono quelli che minacciano le femministe ogni giorno», aggiunge Rossman. In patria hanno diffuso online nomi, indirizzi e numeri di telefono delle femministe, che sono state minacciate anche di morte. La polizia in questi giorni si reca nei loro posti di lavoro, nelle case e controlla che non siano attive contro la propaganda di Putin. Le femministe russe si sentono sole, i gruppi di opposizione sono ancora sotto shock, ma iniziano a organizzarsi. Accanto a loro per ora ci sono socialisti e comunisti: «Non stanno liberando nessuno. Non stanno aiutando alcun movimento popolare ucraino», scrivono in un documento diffuso online.

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