Quell’alleanza con la destra estrema. Ma i servizi sono pure Calipari e Ciampi

La «strategia della tensione» in Italia mosse da due punti temporali precisi: il convegno ”La guerra rivoluzionaria” del maggio 1965, finanziato dal ministero della Difesa e con la consistente partecipazione di relatori di estrema destra come Pino Rauti e Guido Giannettini; il viaggio dell’aprile 1968 dei neofascisti italiani (da Rauti a Giulio Maceratini fino a Stefano Delle Chiaie) nella Grecia post colpo di Stato del 21 aprile 1967. La spedizione fu preparata su indicazione del direttore dell’Ufficio «D» del Sid Enzo Viola con il concorso dell’ufficiale superiore dell’Ufficio «R», distaccato ad Atene, Augusto Pièche ovvero il figlio di Giuseppe Pièche. Queste iniziative si mostrarono in linea tanto con la logica della «guerra non ortodossa» contro il comunismo quanto con il rapporto che dalla metà degli anni Sessanta collegò il generale Giuseppe Aloia, capo di stato maggiore della Difesa, a Pino Rauti, fondatore di Ordine nuovo, determinando l’unità operativa di ambienti di estrema destra e servizi segreti. «Noi sapevamo dal Sifar – dichiarerà il generale Borsi di Parma – dell’esistenza di un’organizzazione paramilitare di estrema destra, probabilmente chiamata Ordine nuovo, sorretta dai servizi di sicurezza della Nato e che aveva compiti di guerriglia e di informazione». Saranno le inchieste sulla strage di Piazza Fontana a svelare una fitta rete di relazioni tra Sid e terroristi, portando il generale Gianadelio Maletti, capo del reparto «D» e iscritto alla P2 di Licio Gelli, alla definitiva condanna a quattro anni di reclusione per favoreggiamento del neofascista Marco Pozzan, uomo di quella cellula veneta di Ordine nuovo che eseguì la strage. Dal Sim del Duce alle stragi nere. Cent’anni di deviazioni e segreti Il regime come orizzonte Siamo all’alba della stagione degli attentati di matrice neofascista che proprio per il ruolo dei servizi segreti diventano, nell’immaginario collettivo, «stragi di Stato» finalizzate al rovesciamento della Costituzione. Proprio a questo obiettivo tese il movimento eversivo «Rosa dei Venti» scoperto a Padova dal giudice Giovanni Tamburino che portò, nell’ottobre 1974, all’arresto del generale Vito Miceli (poi assolto), direttore del Sid dal 1970 al 1974, iscritto alla P2 e infine deputato del Msi. Nel frattempo le stragi avevano esteso una linea di continuità che dall’attentato di Gioia Tauro del 22 luglio 1970 fino alla strage del treno Italicus del 4 agosto 1974 era passata attraverso la bomba alla questura di Milano il 17 maggio 1973 e l’eccidio di Brescia del 28 maggio 1974. In molti casi emerse la responsabilità diretta o l’azione di inserimento di uomini del Sid come Maurizio Tramonte (la fonte «Tritone», condannato per Brescia); il colonnello Dino Mingarelli (condannato per il depistaggio della strage di Peteano del 31 maggio 1972 e già braccio destro di De Lorenzo all’epoca del Piano Solo); Guido Giannettini, già militante del Msi, agente «Z» del Sid poi assolto nell’inchiesta su Piazza Fontana. Finita la prima fase della tensione, fu l’intellettuale Pier Paolo Pasolini a evocare un «processo» alla Dc, accusata, tra l’altro, di «uso illecito di enti come il Sid, responsabilità nelle stragi di Milano, Brescia e Bologna, almeno in quanto colpevole incapacità di punirne gli esecutori». Ddl sicurezza, divieto di Sim per chi non ha il permesso di soggiorno: «Norma di pura cattiveria» Sismi, Sisde e Cesis Dopo gli scandali del 1974 con l’arresto di Miceli e la soppressione (all’indomani della strage di Brescia) dell’Ufficio affari riservati del ministero dell’Interno del prefetto Federico Umberto D’Amato, i servizi vennero riformati nell’ottobre 1977 assumendo una struttura tricefala con Sismi (militare), Sisde (civile) e Cesis (coordinamento dei servizi). Dopo meno di tre anni, con la scoperta della P2 del marzo 1981, tutti e tre i capi dei neonati organismi furono costretti alle dimissioni perché iscritti alla loggia massonica di Licio Gelli. Fino al 2 agosto 1980, la dicitura «strage di Bologna» indicava l’attentato al treno Italicus del 1974 colpito nella provincia della città. Da quel giorno tale espressione individua il più grave eccidio terroristico in Italia ma anche un magma multiforme da cui sono emerse tanto le responsabilità degli esecutori (i neofascisti dei Nar) quanto le azioni di intervento depistante e organizzativo-finanziario della loggia P2 e dei vertici dei servizi segreti militari e civili. Grazie alle inchieste giudiziarie sono state individuate le responsabilità di uomini del Sismi nel depistaggio delle indagini. Nel 1984 furono condannati per questo il generale Pietro Musumeci, vice capo del servizio e iscritto alla P2, l’ufficiale Giuseppe Belmonte e Francesco Pazienza, agente del Sismi, consulente di Santovito e iscritto alla P2. Agli stessi anni Ottanta rimontano le mai chiarite vicende legate al capo-centro del Sid/Sismi a Beirut, Stefano Giovannone. Perno della «diplomazia parallela» dell’Italia in Medio Oriente e uomo di fiducia di Aldo Moro, finì i suoi giorni (malato, morì nel luglio 1985) agli arresti domiciliari a seguito di due inchieste che lo videro coinvolto in ordine alla morte dei giornalisti Italo Toni e Graziella De Paolo e a un traffico d’armi provenienti dalla Palestina e destinate alle Brigate rosse. In circostanze dubbie morì dieci anni dopo, impiccato nel bagno di casa, Mario Ferraro, tenente colonnello del Sismi la cui attività si era incrociata con diverse vicende controverse della storia d’Italia. Prima della nuova riforma del 2007, il Sismi verrà investito dallo scandalo «Nigergate» del 2002 quando uomini legati al servizio divennero radice d’origine di un falso dossier che accusava Saddam Hussein di aver acquistato dal Niger polvere di uranio al fine di costruire armi di distruzione di massa. Fu questo il menzognero motivo con cui Usa e Gran Bretagna scatenarono la guerra in Iraq nel 2003. Nello stesso anno il «caso Abu Omar» (il sequestro e la tortura operati dalla Cia con il sostegno del Sismi nei confronti dell’imam di Milano) determinerà una clamorosa crisi coinvolgendo il capo del Sismi Niccolò Pollari e il suo vice Marco Mancini, che usciranno dal processo per intervenuta apposizione del segreto di Stato. È lo stesso Mancini che nel marzo 2005 viene immortalato da una foto che lo ritrae mentre aiuta a scendere dall’aereo di Stato la giornalista Giuliana Sgrena, liberata dopo il suo rapimento in Iraq al termine di un’operazione tragicamente conclusasi con la morte, per mano di un militare statunitense, di Nicola Calipari. Dalla lotta alla mafia alla liberazione di Giuliana Sgrena: vent’anni senza Calipari La nuova legge Meloni Proprio quest’ultimo è uno dei tanti nomi legati a un nobile operato all’interno del Sismi, e la sua Medaglia d’oro al valor militare si affianca a quelle di cui sono insignite altre alte figure del servizio come Manfredi Talamo, Filippo De Grenet e Giuseppe Cordero Lanza di Montezemolo (fucilati dai nazisti alle Fosse Ardeatine il 24 marzo 1944) o come Giovanni Duca (morto per mano fascista il 28 agosto 1944 dopo aver guidato la Resistenza nell’Appenino modenese). Senza dimenticare che anche il futuro presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi fece parte, dopo l’8 settembre 1943 al fianco degli Alleati, della sezione «Zuretti» del Sim. È con il peso di questa storia, nel frattempo attraversata anche dallo scandalo «Telecom-Sismi» del 2006 (che riproporrà l’eterno tema delle schedature illecite e su cui di nuovo interverrà il segreto di Stato), che è calata sul Paese la legge del governo Meloni del 4 giugno scorso che amplia la casistica dei reati «scriminati» (non punibili) compiuti da agenti autorizzati nell’ambito di operazioni di intelligence. Tra questi, «la direzione e l’organizzazione di associazioni con finalità di terrorismo anche internazionale o di eversione dell’ordine democratico». Una norma fortemente criticata dalle associazioni dei familiari delle vittime delle stragi in Italia. Perché, anche tra altri cento anni, la memoria della nostra storia resterà la pietra angolare del futuro. (fine) Dossieraggi, tutti i legami tra la Fiore e il “vecchio” Dis