I livornesi hanno un rapporto di amore-odio con la “Stanic”, come viene ancora comunemente chiamato il polo petrolchimico che con i suoi miasmi acidi fa da bastione nord all’ingresso in città, direzione Pisa. Più amore che odio. Perché insieme al porto industriale la raffineria dell’Eni, dal dopoguerra in poi, ha dato lavoro e rappresenta ora l’ultimo baluardo di un territorio in lenta e inesorabile deindustrializzazione.

Non a caso il film Ovosodo di Paolo Virzì, pellicola di trent’anni fa che ha celebrato Livorno e la sua cultura proletaria, si chiude proprio alla ex Stanic, con un amaro “happy end” che risolve l’intreccio della trama e stempera il dramma. Amore dunque. Anche se la raffineria Eni, dove ieri è esploso un incendio che non ha prodotto feriti ma un’allarmante nube nera, da decenni preoccupa parte della cittadinanza.

La ricerca

Soltanto di recente la regione Toscana, insieme al Cnr di Pisa, all’Agenzia regionale di sanità e all’Istituto di prevenzione oncologico, hanno avviato una ricerca sull’area nord di Livorno e su Stagno, la frazione del comune di Collesalvetti dove sorgono i cancelli del polo petrolchimico, per stabilire l’impatto degli inquinanti nell’aria e nell’acqua del vicino Calambrone.

Perché come per l’ex Ilva a Taranto, anche a Livorno, attorno al colosso petrolchimico, abitano decine di migliaia di famiglie. E anche qui le emissioni di inquinanti, tramite la ventilazione costiera, possono ricadere su un territorio ben più vasto dell’abitato di Stagno, fino alle zone centrali della città.

A spiegarlo è Fabrizio Bianchi, epidemiologo del Cnr che lavora allo studio: «L’ipotesi da testare, ciò che si teme, è che la zona sotto la pressione degli inquinanti sia ben più vasta delle aree limitrofe al sito, per questo applichiamo modelli di diffusione e ricaduta al suolo di polveri e ossidi di azoto, principalmente, mettendoli in rapporto al meteo e ai livelli di esposizione individuale degli abitanti. Purtroppo lo studio non è concluso, anzi a causa del Covid ha subito rallentamenti e ora con questo incidente che è successo si spera che almeno i test verranno ripresi con celerità».

Finora di spinte a sveltire l’analisi del rischio, ne sono venute poche anche dalla società civile locale. In ballo c’è il destino prossimo della raffineria Eni, inserita nell’elenco delle 42 aree più contaminate d’Italia, i cosiddetti Siti di interesse nazionale, dove già era stato notato una anomala incidenza di malattie cardiovascolari e mesoteliomi.

Secondo Maurizio Marchi di Medicina Democratica, intervistato per l’ultimo rapporto di Greenpeace su Livorno, «il dato di malformazione sui nuovi nati è più alto che a Taranto, in particolare della spina bifida, patologia associata anche al benzene», prodotto cancerogeno della lavorazione degli idrocarburi.

Il mare non bagna l’ex Stanic

L’impianto di Stagno, con la sua propaggine in direzione del porto e quella che si allunga verso la ferrovia, è vecchio e da decenni attende una ridefinizione più compatibile con l’ambiente. Nel 2019 un accordo tra l’Eni e la regione Toscana ne ha ipotizzato la trasformazione in bioraffineria prevedendo un investimento di 250 milioni di euro.

In prefisso “bio” è rassicurante ma si tratterebbe di trasformarlo in un enorme inceneritore di plastiche non riciclabili da convertire in metanolo utilizzabile poi come combustibile, in gergo si tratterebbe di un nuovo impianto “waste to fuel”, che fa molto transizione energetica.

In pratica le ciminiere ammodernate dovrebbero bruciare qualcosa come 200mila tonnellate di plastiche all’anno. «L’incredibile – continua l’epidemiologo Bianchi – è che si parli di nuovi impianti e non di bonifica e soprattutto che non si parli di una valutazione preventiva dell’impatto di questo nuovo impianto, sempre a ridosso dei centri abitati».

È dal 2003 che il ministero dell’Ambiente ha inserito il sito di Stagno tra quelli da bonificare ma di questo intervento finora non si è visto neanche un accenno. Anche gli enti locali non sembrano molto allarmati della situazione ambientale di Livorno nord.

Nel 2014, quando il progetto regionale di ristrutturazione prevedeva un ridimensionamento della raffineria e in parte una sua trasformazione in deposito, agli operai che hanno manifestato per il timore di perdire di posti di lavoro, si sono uniti anche l’allora sindaco pentastellato Filippo Nogarin e gli altri amministratori della zona. La vecchia Stanic dà ancora lavoro a oltre mille addetti, tra diretti e indiretti. E Livorno, stando alle rilevazioni periodiche dell’Irpet, l’Istituto regionale programmazione economica della Toscana, è stabilmente tra le aree meno floride, con meno posti di lavoro stabili e più disoccupazione e precariato. E poi c’è il mare, che naturalmente non bagna la Stanic.

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