Più di 7mila nuovi casi e più di 152mila nuovi tamponi. Nemmeno una settimana fa, i nuovi casi giornalieri erano poco più di 2mila a fronte di nemmeno 100mila tamponi. I dati di ieri confermano che il nostro paese è dentro la seconda ondata di coronavirus.

In assenza di vaccino e vere cure, dopo un’onda, e la prima è arrivata a inizio 2020, ce ne sono di successive: quella attuale è partita negli altri paesi europei e ora è arrivata da noi. A differenza della prima ondata, però, siamo (o almeno dovremmo) essere più preparati.

Prima e seconda ondata sono diverse rispetto a due punti. Primo: abbiamo più informazioni sul virus e su cosa fare per proteggerci e contenere il contagio. Secondo: i dati a disposizione sono più accurati rispetto a quelli che avevamo all’inizio della pandemia. Ma questo, per paradosso, rende più difficile comparare le due fasi. Il confronto tra i numeri dei nuovi contagiati durante le due ondate porta a risultati fuorvianti: il numero di tamponi che si faceva nei primi mesi della pandemia è nettamente inferiore a quello attuale. A marzo 2020 sono stati fatti poco più di 450mila tamponi, mentre nel solo mese di settembre ne sono stati somministrati 2,6 milioni. La differenza dei tamponi influenza il numero di persone positive al virus individuate.

Il numero che conta

Esiste però un dato utile che possiamo usare per confrontare l’evoluzione delle due ondate dalla pandemia: il numero di persone in terapia intensiva, che abbiamo isolato in uno dei grafici presenti in questa pagina, dividendoli per prima e seconda ondata. Il grafico mostra l’andamento dei ricoveri in terapia intensiva. La pendenza delle curve rappresenta la velocità con cui il numero di pazienti in terapia intensiva aumenta o diminuisce.

Il concetto è semplice: più ripida è la curva, più il numero delle persone in terapia intensiva aumenta a una velocità elevata.

All’inizio della prima ondata, il numero di ricoverati in terapia intensiva raddoppiava ogni due giorni. È quello il momento in cui le strutture degli ospedali per offrire cure a chi rischiava di più sono arrivate al collasso.

Una volta passato il picco dei contagi, a inizio aprile, grazie al lockdown il numero dei ricoveri (e di conseguenza la velocità della loro variazione) è diminuito. All’inizio della seconda ondata, invece, il tasso di crescita dei ricoverati in terapia intensiva è stato molto minore.

Nelle scorse settimane, l’evoluzione era “sotto controllo” e il numero di pazienti aumentava in modo molto graduale. Poi qualcosa è cambiato, il contagio ha iniziato a correre e la curva delle terapie intensive è diventata più ripida. Il dato di ieri segnava poco più di 500 persone, ma la velocità con cui possono aumentare è da tenere sotto controllo.

Allarme rosso

I livelli di crescita del numero dei pazienti in terapia intensiva non sono ancora come quelli riscontrati a marzo-aprile, ma l’evoluzione degli ultimi giorni sottolinea un peggioramento della situazione. Più persone in terapia intensiva significa sovraccaricare le aziende ospedaliere e i loro dipartimenti di emergenza. E il numero di posti a disposizione in terapia intensiva è fisso (almeno nel breve periodo).

I prossimi giorni saranno fondamentali per capire meglio l’evoluzione dell’attuale ondata. Una cosa è certa: il numero di test aumenta di giorno in giorno e questo aiuta ad avere una fotografia più veritiera sullo stato dell’arte del contagio.

Ma sono ancora troppo pochi rispetto a quelli fatti dagli altri paesi europei. Se la situazione della seconda ondata peggiorerà, sarà necessario attuare misure drastiche. Lo ha chiarito ieri anche il presidente del Consiglio Giuseppe Conte: «Non faccio previsioni per Natale, ma solo sulle misure più adeguate per prevenire un lockdown. Dipenderà molto da come sarà il comportamento di tutta la comunità nazionale. È una partita in cui vinciamo o perdiamo tutti».

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