Si è svolta questa mattina un’operazione della Guardia di finanza di Reggio Calabria estesa poi ad altri finanzieri sul territorio nazionale e supportara dal Centro operativo della Direzione investigativa antimafia di Reggio Calabria e dai militari dello S.C.I.C.O. di Roma che ha portato al sequestro di compendi societari, beni mobili e immobili, nonché rapporti finanziari per un valore complessivo stimato di circa 50 milioni di euro riconducibili agli imprenditori Antonino Scimone, Antonino Mordà e Pietro Canale indiziati di appartenenza/contiguità a note cosche reggine.

L’operazione “Martingala”

La figura criminale degli imprenditori era emersa nel corso dell’operazione “Martingala”, condotta da personale della DIA e della Guardia di Finanza di Reggio Calabria, conclusa nel mese di febbraio 2018 con l’esecuzione di un provvedimento di fermo emesso nei confronti di 27 persone, ritenute responsabili a vario titolo dei reati di associazione mafiosa, riciclaggio, autoriciclaggio, reimpiego di denaro, di beni, di utilità di provenienza illecita, usura, esercizio abusivo dell’attività finanziaria, trasferimento fraudolento di valori, frode fiscale nonché associazione a delinquere finalizzata all’emissione di false fatturazioni e reati fallimentari. L’operazione aveva inoltre portato al sequestro di 51 società, 19 immobili e disponibilità finanziarie per un ammontare complessivo di circa 100 milioni di euro. In particolare, le indagini hanno consentito di accertare l’esistenza di un articolato sodalizio criminale dedito alla commissione di gravi delitti, con base a Bianco (RC) e proiezioni operative non solo in tutta la provincia reggina, ma anche in altre regioni italiane e persino all’estero, i cui elementi di vertice erano stati identificati in membri delle famiglie Barbaro “I Nigri” di Platì, Nirta “Scalzone” di San Luca e in Scimone Antonio. Quest’ultimo è considerato il principale artefice del meccanismo delle false fatturazioni e il vero “regista” delle movimentazioni finanziarie dissimulate dietro apparenti attività commerciali ed è per questo stato rinviato a giudizio per svariate ipotesi di reato, tra cui concorso esterno in associazione mafiosa, dirigenza di un’associazione finalizzata al riciclaggio e al reimpiego, nonché all’intestazione fittizia di beni, all’emissione ed utilizzo di fatture false, che servivano ad agevolare l’attività di infiltrazione occulta negli appalti pubblici della ‘ndrangheta, verso la quale erano drenate imponenti risorse.

Come funzionava l’organizzazione

L’organizzazione poteva contare su un gruppo di società di comodo, comunemente definite “cartiere”, che venivano sistematicamente coinvolte in operazioni commerciali inesistenti, caratterizzate dalla formale regolarità attestata da documenti fiscali e operazioni di pagamento rivelatesi tuttavia, all’esito delle indagini, anch’esse fittizie e che hanno consentito al sodalizio di mascherare innumerevoli trasferimenti di denaro da e verso l’estero, funzionali alla realizzazione di diversi reati fra cui, “in primis”, il riciclaggio e il reimpiego dei relativi proventi. Questo meccanismo fraudolento, mediante la predisposizione di false transazioni commerciali, ha costituito il volano per l’instaurazione di flussi finanziari tra le aziende degli indagati e le società di numerosi “clienti” che di volta in volta si rivolgevano agli stessi per il soddisfacimento di varie illecite finalità, tra cui la frode fiscale. L’attività investigativa ha interessato, tra l’altro, dinamiche criminali svoltesi nella città di Reggio Calabria, svelando l’esistenza di una folta schiera di imprenditori che hanno fruito dei servigi offerti dall’associazione promossa e capeggiata da Scimone e, tra questi, era emersa la posizione di Pietro Canale, indagato per le ipotesi di reato di intestazione fittizia di beni, per emissione ed utilizzo di fatture false e per reimpiego di denaro di provenienza illecita in attività economiche e finanziarie, e quella dell’imprenditore Antonino Mordà, rinviato a giudizio per le ipotesi di reato di associazione di stampo mafioso (per cui è ancora oggi cautelato), trasferimento fraudolento di valori, estorsione, bancarotta, usura e reimpiego di denaro di provenienza illecita in attività economiche e finanziarie. Tutti reati in diversi casi aggravati dall’aver agevolato gli interessi della ‘ndrangheta. In relazione alle risultanze dell’attività di cui sopra, la Direzione Nazionale Antimafia e locale Direzione Alla luce delle indagini, il tribunale di Reggio Calabria gli odierni provvedimenti – ritenuta sussistente la pericolosità qualificata dei citati proposti, ha disposto l’applicazione della misura di prevenzione sia personale sia quella patrimoniale del sequestro dell’intero patrimonio riconducibile ai tre imprenditori e ai loro rispettivi nuclei familiari. Il patrimonio è costituito dall’intero compendio aziendale di 18 imprese/società commerciali con sede sia in Italia sia all’estero, 18 immobili, sette automezzi, un’imbarcazione da diporto, 10 orologi di pregio (Rolex, Paul Picot, Baume & Mercier), disponibilità finanziarie e rapporti bancari/assicurativi, per un valore complessivo stimato in circa 50 milioni di euro. Tra le numerose società, è stata sottoposta a vincolo la Canale Srl, comprensiva di 15 unità locali presenti oltre che nella provincia reggina, nelle provincie di Milano, Brescia, Mantova, Varese, Pavia, La Spezia, Vicenza e Lecce, attiva nel settore della metanizzazione e la Pivem srl, che opera nel comparto della grande distribuzione gestendo un supermercato nel rione Pellaro di Reggio Calabria.

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