Le mamme lavano i bambini nei catini sul ponte, le donne stanno lì appoggiate, oramai senza forze, in una piccola area container riservata a loro e ai bambini più piccoli. E poi arriva la notizia: la nave ha ottenuto un posto sicuro di sbarco, il porto di Augusta. Due donne si sono messe a improvvisare un ballo, mentre gli uomini a bordo cantano «Resq People Resq People».

La Resq People, dopo cinque giorni dal primo salvataggio effettuato, stava facendo avanti e indietro lungo le coste orientali della Sicilia per proteggersi dal vento e dal mare, ha 166 persone a bordo, oltre alle 20 dell’equipaggio.

Molte hanno delle fragilità, molte hanno i pregressi terribili di chi ha passato mesi e mesi nell’inferno della Libia, essendo stato venduto come schiavo, o stuprata, o torturato. Le nazionalità sono le più varie, Marocco, Tunisia Costa D’Avorio, Guinea Conacrì. Due dei salvataggi sono stati fatti a barchini che provenivano dalla Tunisia. Un’altro invece – quello più impegnativo – da una barca di legno che arrivava da Zuara, cittadina sulla costa libica dalla quale i migranti vengono fatti partire.

I salvataggi

I salvataggi sono stati fatti tutti grazie alle segnalazioni dell’aereo Colibrì della ong francese Pilotes Volontaires che pattuglia il mediterraneo centrale supplendo alle carenze delle autorità europee. Tutte tranne una, quella di un barchino segnalato sul canale 16, il canale di emergenza internazionale su cui vengono comunicate le situazione di pericolo e che ogni nave ha sempre aperto a bordo. A dare l’allarme un peschereccio tunisino. Ma a confermare alla Resq People le coordinate della posizione del barchino da recuperare è stata la Guardia Costiera italiana da Lampedusa.

«Domenica – racconta Cecilia Strada da bordo – abbiamo chiesto un posto sicuro. Finalmente ce lo hanno assegnato». La nave, seguendola sui siti di tracciamento del traffico marittimo, si è spostata in continuazione. «La situazione a bordo è di grande sollievo, direi di felicità. Ma è stata dura: abbiamo casi di scabbia anche gravi, scabbia, 2 donne incinte, 2 bambini di 8/9 mesi, tre con meno di cinque anni e 12 minori non accompagnati».

La situazione è sempre stata sotto controllo, ma la sera si vedevano le luci della costa. E come sa bene chi ha vissuto situazioni simili è difficile, molto difficile, spiegare a persone provate e spaventate che va tutto bene, che si tratta di pazientare, e soprattutto nessuno le riporterà in Libia. La costa è lì. E chi è stato giorni e giorni in mare in situazioni al limite del sostenibile scappando da situazioni del tutto insostenibili, rischiando la vita e la salute mentale, vuole semplicemente scendere a terra. Qualcuno, alla notizia della assegnazione del porto, si e messo a piangere dicendo «Pensavamo di morire, eravamo senza motore, senza acqua, senza cibo, nella notte, 3 giorni in mare, poi il giorno dopo siete arrivati voi.»

«Sulla nostra bacheca della sala mensa – racconta ancora Cecilia Strada – c’è una scritta in spagnolo che dice: Cada vita cuenta. Un’altra mano ha aggiunto, con un pennarello di un diverso colore, si sabes contar. Ogni vita conta, se sai contare».

I bambini sul ponte hanno avuto pennarelli, fogli, e adesivi che sono stati appiccicati ovunque dentro al container.

«Oggi – racconta ancora Cecilia – sono stata assaltata da due bambini che mi volevano fare il solletico. Non era nella mia to do list quello di essere assaltata da due bimbi. Peraltro noi non facciamo il solletico ai bambini né li pastrugnano perché le linee guida che abbiamo sono molto rigide nel disegnare il nostro rapporto con i minori. Ma sono loro che hanno pastrugnato me e io non sono riuscita a oppormi.

Gli ho insegnato il gioco dell’acchiappadito, che faccio sempre con mio figlio Leone, quello che si fa tenendosi la mano e cercando di schiacciare il pollice dell’avversario. E siccome quel nanetto stava vincendo troppo facile, per distrarlo gli ho detto: “Guarda là, c’è un un elefante! ”. Dopo due minuti anche lui mi ha detto “Regarde, il y a un éléphant”. Dopo poco un signore tunisino mi ha chiesto in arabo quanti figli avevo. Mi ha detto era sicuro che avessi dei figli, per come giocavo con quel bambino».

La situazione è sotto controllo, il porto finalmente assegnato, lo raggiungeranno circa alle 21 di questa sera. «Questa gente ha sofferto fin troppo, e anche una attesa che a voi può sembrare normale e banale, rischiava di diventare rapidamente problematica. Avevamo il dovere di sbarcare il prima possibile».

Magari anche per partecipare alle esequie del proprio padre. Ma questo Cecilia non lo dirà mai, perché i diritti o sono di tutti oppure si chiamano privilegi.

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