La sorpresa è che nella proposta di riforma della giustizia del Partito democratico c’è un po’ di Silvio Berlusconi. Meno sorprendente invece che ci siano tracce più distinte dello spirito berlusconiano nei quesiti del referendum sulla giustizia promosso dall’accoppiata inedita Radicali-Lega di Salvini. La giustizia non è più divisiva come lo è stata nel ventennio dominato dal Cavaliere. Ora nello stesso perimetro convivono chi manifestava nelle piazze contro le leggi di Silvio assieme a chi difendeva quelle norme.

Il pm veggente

Il Pd propone nuove modalità di elezione delle toghe al Consiglio superiore della magistratura, tuttavia non è tanto la riforma del Csm a distinguersi tra gli emendamenti presentati dai democratici in commissione alla Camera quanto alcuni vincoli previsti per le procure. Seppure con toni più morbidi, la sostanza ricalca il pensiero berlusconiano nell’assunto secondo cui procuratori e i loro sostituti sono professionisti in cerca di visibilità sui giornali. Da qui la proposta annunciata del «divieto di utilizzare conferenze stampa spettacolari», che ricorda l’ossessione di Forza Italia: «I giudici non devono andare in tv». Un altro emendamento vorrebbe introdurre paletti più stretti sui processi: un pubblico ministero potrà chiedere il processo al giudice solo se ha la ragionevole certezza di ottenere la condanna. Tradotto: l’accusatore dovrà prevedere il futuro e capire se gli conviene in termini di carriera rischiare di portare a giudizio l’indagato o lasciare perdere e archiviare. Anche perché se fallisce, sempre secondo la riforma proposta dal Pd, il flop peserà sulla carriera della toga. In questo c’è perfetta sintonia con il Berlusconi del 2001, all’epoca osteggiato da tanti, che in una visita a Firenze aveva annunciato la grande riforma della giustizia: «Il magistrato, sia che conduca indagini o emetta sentenze in tempi ragionevoli sia che faccia esattamente il contrario, nella sua progressione in carriera non cambia alcunché. Bisogna intervenire con nuovi criteri che premino la professionalità e la produttività».

Uniti nella lotta

Nel ventennio berlusconiano la giustizia divideva, agitava, creava conflitto. Il caso Palamara è stato l’occasione per frenare le inchieste sul potere, che svelano corruzione, finanziamenti illeciti, condizionamenti nelle nomine, voto di scambio, complicità con le mafie. Questioni etiche, supplizio di ogni partito, non c’è forza parlamentare che, sotto sotto, non desideri ciò che Berlusconi sognava fin dal 1994. Insomma, c’è finalmente armonia sulla giustizia. Dalla Lega, a Forza Italia al Pd persino ai Cinque stelle, meno riottosi di un tempo perché anche loro sono alle prese con casi mediatici che hanno tenuto banco in questi ultimi due anni. Berlusconi probabilmente sorride soddisfatto: gli è bastato ritirarsi dal centro della scena politica e frequentarla solo lateralmente per raccogliere i frutti della sua semina. E i quesiti del referendum proposto da Lega e Radicali sono vere primizie. Si va dal punto numero 2, cavallo di battaglia da sempre di Forza Italia sulla responsabilità diretta dei magistrati, al quesito numero 3 che prevede la partecipazione di avvocati e professori universitari nel processo di valutazione di professionalità dei magistrati. Al punto 4 del referendum il grande classico sul quale anche parte del Pd e Italia viva sarebbero disponibili a discutere: la separazione delle carriere tra giudici e pm. L’obiettivo, lo stesso degli anni d’oro del berlusconismo, è rompere lo spirito corporativo tra chi indaga e chi giudica. In continuità con il pensiero del leader di Forza Italia è il quesito numero 5, rivedere i limiti del carcere preventivo, anche se meno eclatante del decreto Biondi del 1994, che ha avuto vita breve ma ha permesso a moltissimi colletti bianchi di Tangentopoli di uscire dalla prigione. Ci furono proteste di piazza tali da portare la Lega e Alleanza nazionale, forze di maggioranza, a chiedere il ritiro del decreto. Ora Matteo Salvini ritorna sui passi di Umberto Bossi, ai tempi del primo governo Berlusconi funestato dalle indagini del pool Mani pulite di Milano. Anche l’ultimo punto del referendum è nel segno di Berlusconi. L’abolizione della legge Severino, la norma introdotta dal governo Monti sull’incandidabilità dei politici condannati che ha fatto decadere da senatore l’ex presidente del Consiglio. I promotori specificano che il referendum vuole abrogare l’automatismo e lasciare al giudice la decisione caso per caso. «La giustizia italiana sta faticosamente uscendo da una stagione dell’emergenza penale che ha consentito in alcuni casi di costruire indagini senza riscontri e di pronunciare condanne senza prove». Le parole pronunciate nel 2001 dall’allora presidente del Consiglio oggi non scandalizzano più.

 

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