«Negli incontri pre conclave che precedettero l’elezione di papa Francesco ci fu un quasi unanime consenso fra i cardinali sulla necessità di riformare la e regolarizzare i mondi bancari della curia e del Vaticano».

È quanto osservava il cardinale George Pell nel 2015 in una pubblicazione della Pontificia università urbaniana, descrivendo il clima nel quale avvenne l’elezione di Francesco.

Il porporato australiano era, in quel momento, prefetto della segreteria per l’Economia, il nuovo dicastero creato dal papa argentino per mettere in ordine le finanze vaticane e avviare la chiusura della lunga stagione degli scandali.

Pell è morto nella serata del 10 gennaio all’età di 81 anni, a causa di «alcune complicazioni cardiache sopraggiunte dopo una operazione all’anca, programmata da tempo. Pochi giorni fa aveva concelebrato le esequie in piazza San Pietro di Benedetto XVI», ricordano i media vaticani.

In un telegramma di condoglianze, il papa ha espresso la sua gratitudine per la «testimonianza coerente e impegnata» e per «la solerte collaborazione prestata alla Santa sede nell’ambito della sua recente riforma, della quale egli ha posto le basi con determinazione e saggezza».

Opacità finanziarie

La storia del cardinale australiano è legata, dunque, a quella dell’emersione dall’opacità e dalla gestione priva di regole, clientelare, delle risorse economiche della Santa sede in un ruolo di primo piano che gli è stato più volte riconosciuto dal papa.

Ma parallelamente la sua è anche la storia della più alta carica della chiesa cattolica sottoposta a processo per abusi sessuali.

Il cardinale venne infatti condannato a 6 anni di carcere nel 2019 in Australia per il terribile reato di stupro di un minore; la sentenza venne confermata in appello e infine completamente rovesciata nel terzo grado di giudizio dall’Alta corte australiana, che non ritenne fondato il castello probatorio e rilevò diversi errori procedurali.

La vicenda giudiziaria, del resto, risultava incerta e fragile fin dal principio, la stessa opinione pubblica australiana si divise fra innocentisti e colpevolisti. Sta di fatto che Pell ha trascorso più di 400 giorni in carcere in attesa di una sentenza di assoluzione, essendosi sempre dichiarato innocente.

L’ex arcivescovo di Melbourne e Sydney si è insomma trovato all’incrocio delle due grandi crisi che hanno attraversato la chiesa negli ultimi decenni, quella dovuta agli scandali sessuali e quella scaturita da una gestione opaca quando non predatoria delle risorse finanziarie.

Ascesa e caduta

Pell, che fu per larga parte della sua vita uomo di chiesa potente, sempre vicino alle posizioni più conservatrici, amico dell’Opus Dei, sostenitore della destra liberista in politica e in economia, assertore convinto delle virtù salvifiche del mercato, a lungo negazionista del cambiamento climatico, nella parte finale della vita, quando Francesco lo chiamò a Roma per dare vita a una nuova organizzazione finanziaria della Santa sede fondata su criteri di efficienza, di adeguamento alle regole internazionali in materia di trasparenza (era il 2014), divenne vittima in primo luogo di un sistema curiale romano che respingeva la cultura economica anglosassone, poi di un processo per abusi sessuali che si concluse con la sua assoluzione.

D’altro canto, già in precedenza Pell era stato accusato da una commissione d’inchiesta australiana di aver insabbiato diversi casi di abuso sessuale commessi da altri preti già quando era sacerdote e poi successivamente da vescovo.

Storica è rimasta la sua testimonianza data per 4 giorni a Roma, nel marzo 2016, in videoconferenza dall’hotel Quirinale, dove rispose alle domande della commissione d’inchiesta australiana, alla presenza di giornalisti e vittime; ammettendo le mancanze della chiesa di fronte allo scandalo abusi, il porporato spiegò di fatto che vi era stato un sistema di copertura dei preti colpevoli da parte delle gerarchie ecclesiali.

Le accuse

Altra storia il processo per gli abusi sessuali che sarebbero stati commessi da Pell nel 1996 su due ragazzi di 12 e 13 anni all’interno della cattedrale di Melbourne durante una processione.

D’altro canto non va dimenticato il clima che accompagnò il processo: in Australia una commissione governativa sugli abusi sui minori aveva portato alla luce migliaia di casi di pedofilia commessi dal 1950 al 2010 da preti e religiosi, il 7 per cento del clero risultò coinvolto.

Ad accusare il cardinale fu solo una delle due ex vittime (l’altra era morta per overdose nel 2014) la cui testimonianza venne ritenuta attendibile dalla giuria.

Tuttavia l’insieme delle circostanze in cui sarebbero avvenuti i fatti, poco credibili e rocamboleschi almeno in alcuni aspetti, hanno lasciato la porta aperta a una revisione del processo.  

L’arcivescovo di Sydney, Anthony Fisher, commentando la notizia della morte del cardinale, ha detto: «I suoi ultimi anni sono stati segnati dall’ingiusta condanna e dalla carcerazione, ma egli l’ha sopportata con grazia e buona volontà e ha dato a tutti noi un esempio di come accettare la sofferenza con dignità e pace. Le sue parole di riconciliazione con i suoi detrattori e la preoccupazione per i sopravvissuti aumentarono in autenticità mentre sosteneva fermamente e con successo la sua innocenza».

Sul fronte opposto, Donald McLeish rappresentante australiano del Survivors Network of those Abused by Priests  – storica associazione americana che si batte per denunciare gli abusi da parte del clero – in una dichiarazione rilasciata all’agenzia francese Afp, ha detto che Pell incarna «la negligenza della chiesa nei confronti delle vittime di abusi sessuali».

«Il suo nome è conosciuto dai sopravvissuti di tutto il mondo non solo per la sua inerzia, ma per la freddezza che ha mostrato nei confronti delle vittime e dei sopravvissuti. Se n’è andato ma la battaglia continua».

Becciu e Pell

Imputato fin troppo perfetto per alcuni, quasi un capro espiatorio, cinico insabbiatore di abusi per altri, Pell continua a dividere anche da morto e non solo nella lontana Australia.

Interessante, in tal senso, la reazione del cardinale Angelo Becciu: «La morte del cardinale Pell ha colto anche me di sorpresa», ha detto Becciu, che poi ha aggiunto: «Era stato con noi cardinali a celebrare i funerali del Papa emerito Benedetto XVI. Di fronte alla morte sempre ci inchiniamo e raccomandiamo l’anima del confratello alla misericordia del Signore. Come è noto alle cronache, tra me e il cardinale Pell vi sono stati dei contrasti professionali. Ma ora egli sta nella Verità: sono certo che ha preso conoscenza del reale svolgimento dei fatti. Prego il Signore che lo perdoni per aver alimentato il calunnioso sospetto che fossi stato io a congiurare contro di lui addirittura finanziando i suoi accusatori nel processo per pedofilia in Australia. Sono umanamente dispiaciuto della sua morte, riposi in pace».  

Si ricorderà che il cardinale di origine sarda è tuttora imputato nel processo per la confusa e opaca compravendita di un immobile di lusso a Londra con fondi riservati della segreteria di Stato; Becciu, tuttavia, ha anche lui sempre rivendicato la propria innocenza.

Dei fondi segreti conservati in vari dicasteri vaticani e in buona parte nella segreteria di Stato ed esclusi dai bilanci della Santa Sede, si era reso conto lo stesso Pell mentre era al vertice della segreteria per l’Economia: decise allora di rendere pubblica la notizia suscitando non poco scompiglio e sconcerto Oltretevere.

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