L’avvocata, portavoce e attivista del Movimento identità trans: «Ci troviamo nel periodo più buio per le persone non conformi. Noi siamo bersagliate perché rappresentiamo un concetto di liberazione, libertà e autodeterminazione, quello che facciamo è costruire alleanze intersezionali per resistere»
Roberta Parigiani è un’avvocata di trentasei anni, portavoce e attivista del Movimento identità trans (Mit). La più antica associazione in Europa, nata in maniera informale nel 1976. È brava a parlare, la cadenza senese e la battuta pronta l’aiutano, e dunque a stare in tv. A scontrarsi con detrattori, politici e transfobici dichiarati, negli studi televisivi più ostili. È diventato popolare un suo scontro con una pioniera del movimento transfobico che l’accusava di dire banalità («Lei è la campionessa dell’acqua calda, dottoressa». «Ci si faccia un te’ con la mia acqua calda». Risate nello studio Mediaset. Video virale). «Ci troviamo forse nel periodo più buio per le persone non conformi», racconta a Resistenze. Disegnando la resistenza della comunità trans fatto di percorsi di affermazione di genere oggi rallentati e attacchi costanti dal governo Meloni.
Che sensazione ha dalle ultime notizie che arrivano dal Governo: soprattutto di questo tavolo tecnico fortemente voluto dalla ministra Eugenia Roccella e dal ministro Orazio Schillaci che potrebbe riscrivere il diritto di salute delle persone trans?
Penso si stia andando verso qualcosa di inevitabile. Che il governo con l’istituzione di un tavolo da parte di Roccella e Schillaci sui protocolli di affermazione di genere non voleva andare verso la direzione di percorsi autodeterminati, lo sapevamo già. Quello che possiamo fare è raccontare quello che avviene ed esternare le nostre preoccupazioni. Ma tutto è prevedibile. Terribile e prevedibile, mi stupisce lo stupore di fronte a queste notizie.
Può raccontarci come è nata questa commissione?
È nata insieme a quella che è stata la risoluzione in commissione Affari sociali della Camera per la definizione di linee guida ministeriali sui percorsi di affermazione di genere delle persone transgender, con particolare attenzione ai trattamenti medici sui minori. Era stata presentata dall’esponente di Europa Verde Luana Zanella. E nasceva da fatti di cronaca, come il caso del ragazzo transgender che ha scoperto di essere al quinto mese di gravidanza e dalle ispezioni del governo al Centro per l’incongruenza di genere Careggi di Firenze. Non erano fatti preoccupanti di per sé, ma se alla luce di fatti che raccontano solo l’autodeterminazione delle persone trans il governo si muove e apre un tavolo di discussione, cosa ci potevamo aspettare?
Sembra che nel mirino della destra ci siano soprattutto i minori con varianza di genere
Sì parte quasi sempre da qui negli ultimi anni. Ora vediamo la triptorelina ma anche le carriere alias, tutto racconta di un attacco ai danni dei minorenni. Perché lì si riesce a introdurre una questione retorica che arriva meglio alla massa. Quello che è l’attacco alla comunità trans è certamente un attacco all’autodeterminazione ma anche all’incapacità politica di dare queste risposte. È una costruzione fatta per andare a comunicare alla pancia delle persone. In questa costruzione patriarcale e paternalistica non è l’anello debole ma il più sensibile. La transfobia viene usata come grande distrattore. E in tutto questo le persone trans più piccole sono le vittime sacrificali certe.
Per la sua esperienza da avvocata e attivista: quali sono gli effetti concreti oltre seminare paura e insicurezza?
Seminare paura e insicurezza mina la certezza giuridica in uno stato di diritto. Qualcosa che è davvero un valore concreto. Le persone sono fatte anche di emotività quindi nei tribunali si crea così un contesto di incertezza giuridica. La magistratura è assoggettata e lo vediamo dal fatto che i procedimenti di affermazione di genere nell’ultimo anno e mezzo si sono ulteriormente complicati. L’elasticità con cui molti tribunali accoglievano il percorso di affermazione di genere delle persone transgender non c’è più. È una forma di attacco indiretto che ferisce quel diritto alla certezza e si traduce in qualcosa di concreto.
In politica, come nella vita, quando qualcosa accade è perché è già successo. A memoria di cronista non ricordo nessuno che abbia parlato di autodeterminazione delle persone transgender, nessuno fino all’altro giorno. Neppure i partiti che oggi la invocano.
Purtroppo dice bene. Se ci troviamo a patire le retoriche oscurantiste di un governo come questo è perché quei pochi diritti che c’erano non sono stati messi in sicurezza. Siamo stati molto pavidi. C’era la stagione in cui eravamo in grado di approvare il ddl Zan ma la politica non l’ha fatto. Oggi assistiamo a un clima discriminatorio che sarebbe stato arginato. Sono 30 anni che chiediamo la revisione della legge 164 del 1982. L’autodeterminazione è a rischio perché a oggi non si è fatto niente. Quando a Malta hanno puntato molto sull’autodeterminazione di genere che è la più sviluppata d’Europa, la prima ministra dell’epoca disse: la nostra missione è fare dieci passi avanti così, se dovessero arrivare le destre e fare quattro passi indietro, almeno un po’ di strada l’abbiamo fatta. Noi neanche un passo avanti. Oggi è bastato un clima ostile per farci tornare indietro.
Solo la comunità Lgbtq+ sta tentando di fare da argine a questo clima esercitando resistenza, in che modo?
Noi siamo bersagliate da un certo tipo di attacco perché rappresentiamo un concetto di liberazione, libertà e autodeterminazione e non riguarda solo noi ma l’intera comunità, quello che facciamo è costruire alleanze intersezionali. Nella consapevolezza che certe strade se non le costruiamo insieme per noi non lo farà nessuno. Piazze, cortei, momenti di lavorazione comune rispetto a una comunità che è estesa. Si è capito che colpire le persone trans vuol dire colpire tutte. Così come scendere in piazza contro i provvedimenti securitari di questo governo. Il corpo femminile in senso esteso è non conforme a determinate dinamiche di potere. Non è un caso che la comunità Lgbtq+ e quella transfemminista scenda in piazza insieme, perché lo abbiamo capito. Poi ci sono corpi più in vista e meno in vista.
Lei è molto esposta. Come resiste agli attacchi che riceve quotidianamente.
Sa, lei ha detto una cosa molto saggia. Non ha detto che sono visibile, ma esposta. L’esposizione vuol dire essere in balia di una serie di eventi, le persone trans sono esposte. Chi si batte per le nostre libertà è esposto, il nostro corpo è diventato qualcosa che polarizza. Questo certo ci crea un minority stress, questa cosa sta erodendo molte delle mie energie. Rivendicare l’esistenza di persone che esistono è faticoso. Purtroppo stiamo attraversando una delle fasi più buie di questo percorso democratico italiano e occidentale e siamo costrette a scendere a fare patti che esistere, vuol dire esporsi. È faticoso ma questa è resistenza. Nei periodi così bui la resistenza è un atto doveroso, di tutela della nostra comunità. Me lo risparmierei volentieri. Ma non ci è concesso fermarci.
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