Otto morti ammazzati, gambizzazioni, sequestri di persona e una vittima che vola dal balcone perché indebitato fino al collo. Roma è senza prefetto da tre settimane, da quando il governo ha spostato Bruno Frattasi alla cybersicurezza. Da allora il ministro dell'Interno, Matteo Piantedosi, non ha ancora nominato il suo successore (il suo preferito è Claudio Palomba, attuale prefetto a Napoli). Intanto in città si spara e si ammazza come non accadeva da anni. I delitti non sono collegati tra di loro, tranne due, ma hanno come comune denominatore il vero business di Roma: la droga. La capitale è snodo del narcotraffico, grazie ai porti, agli aeroporti e non solo. «Questi la droga la portano come vogliono, anche con gli autobus di linea dalla Calabria, la nascondono dentro valigioni, borse, così facevano quando gli 'ndranghetisti che conoscevo dovevano trasportare chili di cocaina», racconta un ex boss, oggi collaboratore di giustizia.

I quartieri spaccio

Sono venti i quartieri fortini della droga in città dove ci sono piazze di spaccio organizzate che garantiscono un solido e redditizio welfare criminale. Si uccide per un debito, per una partita di droga non pagata, per il controllo di un canale di approvvigionamento o di smercio, ma soprattutto si uccide perché il tessuto criminale si è polverizzato.

Sotto le grandi famiglia di camorra e mafie autoctone, in primis i Casamonica, colpite da centinaia di arresti, si muovono bande pulviscolari che si contendono i servizi illegali alzando il prezzo e la posta in gioco. I servizi illegali sono quelli di sempre, la droga che rende complici e schiavi, e l’usura che trasforma la vittima in un bancomat a vita. Il lavoro di contrasto di magistratura e forze dell’ordine nei confronti di gruppi criminali mafiosi ha determinato il disgregamento di clan organizzati come i Fasciani, i Triassi, gruppi legati ai Casamonica, i Senese e ha generato vuoti di potere che, come accade in terra di mafia, vengono colmati con il ricorso alla violenza. Purtroppo c’è una scarsa coscienza della gravità di questo fenomeno, c’è una grave sottovalutazione, ad esempio, delle piazze di spaccio che sono organizzate e sottraggono pezzi di territorio allo stato.

La risposta repressiva che viene messa in atto non è in grado di azzerare il fenomeno, bisogna agire in prevenzione con il contributo di tutti, il negazionismo è pericoloso e non consente alla città di creare i necessari anticorpi», dice Alfonso Sabella, giudice a Roma e in passato cacciatore di latitanti in terra siciliana.

La demenza criminale

Tra chi spara c’è anche chi mostra i segni della disorganizzazione e questo trasforma la città in un far west, in un caos, dove anche la rete criminale è sfaldata e incontrollabile.

Il 13 marzo è stato ucciso Luigi Finizio, cugino di Girolamo, cognato di Angelo Senese, fratello del superboss Michele, detto 'o pazzo. Dopo di lui è stato ucciso un suo conoscente, Andrea Fiore, ammazzato da due criminali fintisi carabinieri su ordine di un soggetto ancora sconosciuto, un mandante con il quale parlavano via Telegram.

Prima di capire le dinamiche, il collegamento e se una guerra tra bande di rilievo potrebbe aprirsi, bisogna osservare il tasso di inadeguatezza dei due killer. Emerge dal fermo disposto dal pubblico ministero, Eleonora Fini, nei confronti di Daniele Viti e Danilo Rondoni.

In pratica i due, prima di bussare alla porta di Fiore, hanno prelevato un innocente, L.M.,che avrebbe dovuto fornire informazioni sul conto di Fiore. Lo hanno picchiato e poi gli hanno rubato telefonino e portafoglio. Quando lo hanno riportato a casa, alla fine del sequestro lampo, L.M. si è ritrovato con il portafoglio addosso di uno dei criminali. Un’informazione utilissima per gli inquirenti che, qualche ora dopo, si sono messi sulle tracce degli assassini di Fiore.

«Siamo andati là, lui (riferito al Fiore) sempre con l'accetta, Rondoni mi ha messo la pistola in mano e mi è partito il colpo», racconta Viti, uno dei killer.

L’ex mafioso

«Ci sono dei delitti minori, uno che nasce per pochi soldi, un altro tra due balordi, quello di Fiore racconta inesperienza e di due che volevano fare il salto di qualità agli ordini di qualcuno, al quale tenevano anche la droga. È l’omicidio di Finizio che non bisogna trascurare, potrebbe nascondere una possibile sfida lanciata al clan Senese. Bisogna ricordare che quando si fa una guerra si colpisce chi tiene i soldi, chi ha la cassa e Finizio un ruolo lo aveva», racconta un ex mafioso siciliano da anni a Roma, oggi collaboratore di giustizia. «Quando, in passato, Senese è stato in difficoltà sono venuti ad aiutarlo da giù sparando se necessario», aggiunge.

La città degli impuniti

Senese è un boss dei boss, da quattro decenni a Roma, dove è diventato signore della droga, emissario della nuova famiglia, organizzazione uscita vincente dalla guerra di camorra negli anni ottanta, e in ottimi rapporti con la dinastia criminale del clan Moccia.Per anni è stato inquisito e assolto per vizio di mente anche con la compiacenza di colletti bianchi prezzolati. Si fa chiamare “il Pazzo”, ha fatto il matto per evitare la galera e ci è sempre riuscito fino al 2013 quando è entrato in carcere per omicidio.

Ma di condanne per mafie neanche a parlarne, l’ultima assoluzione è arrivata a febbraio quando è stata ribaltata la sentenza di primo grado che lo aveva condannato a 15 anni di carcere, per tutti gli altri imputati è caduta l’aggravante per mafia.

Ma chi farebbe la guerra ai Senese? Si parte da un dato di cronaca. Il cugino di Luigi Finizio si chiama Girolamo. È stato condannato, in primo grado, a 11 anni di carcere perché ha tentato di uccidere, nell’aprile 2020, Paolo Ascani, cognato di Roberto Spada, sottoposto a sorveglianza speciale, e a capo del clan omonimo.

«Questa visione che vorrebbe gli Spada schierati contro i Senese è troppo semplicistica, al netto di Roberto Spada, seguito e controllato in ogni movimento dagli inquirenti, sono rimasti pochi uomini di quel clan in giro», dice un investigatore.

Da Piscitelli a oggi

L’ex mafioso fornisce una lettura differente che parte dall’omicidio di Fabrizio Piscitelli, ultrà di giorno e trafficante di droga di notte, ucciso il 7 agosto 2019. Piscitelli è stato un altro allievo dei Senese, ma proprio il clan originario della provincia di Napoli avrebbero benedetto la sua morte.

A processo per quel delitto c’è solo un uomo, ma erano stati inizialmente coinvolti come mandanti anche tre uomini vicini al clan Senese, poi archiviati. Soggetti interessati anche all’omicidio di Selavdi Shehaj, l’albanese ucciso sulla spiaggia di Torvajanica. La richiesta di archiviazione per i tre vicini al clan Senese arriva pochi giorni prima dell’agguato mortale a Finizio, sodale del gruppo criminale.

«In questo momento in città gli albanesi hanno un ruolo importante, hanno iniziato con la prostituzione e oggi con le droghe sono i numeri uno. Se questo omicidio, quello di Finizio, ha una impronta criminale bisogna cercarla nella convergenza d’interessi di varie famiglie che vogliono azzoppare i Senese, famiglie che hanno subito l’onta dell’omicidio di Piscitelli e Shehaj. La mafia albanese potrebbe essere coinvolta nel disegno di azzeramento dei Senese. Ho incontrato alcuni loro capi, in passato, hanno una capacità di riciclaggio notevole, sono amici di alcuni titolari di agenzie immobiliari, nella Roma bene sono inseriti da tempo», dice l’ex mafioso.

I sequestri lampo

C’è un’altra morte che racconta la Roma criminale degli ultimi mesi. Il 22 febbraio arriva la tragica fine di Francesco Vitale, un pr barese che è stato segregato in un appartamento alla Magliana e precipitato in circostanze misteriose dal quinto piano.Qualche ora prima di saltare nel vuoto, Vitale ha chiamato sua moglie e le ha detto: «È finita pensa tu al bimbo», ormai aveva capito che non sarebbe riuscito a pagare i 500 mila euro che chiedevano i suoi aguzzini, legati alle bande criminali romane, con un ruolo degli immancabili albanesi.Vitale non ci pensa neanche di chiamare le forze dell’ordine, a Roma l’omertà e l’impunità raccontano il radicamento delle mafie. Per la morte di Vitale sono state arrestate due persone per sequestro di persona a scopo estorsivo con l’aggravante della morte. I sequestri, cosiddetti lampo, sono una caratteristica della città, ogni anno se ne contano più di dieci, e raccontano Roma, la città che aspetta il prefetto e fa i conti con i morti ammazzati. 

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