Uno dei più grandi campioni del basket contemporaneo è stato trasferito nel giro di una notte da Dallas a Los Angeles: non ne sapeva niente. L’attaccante del Torino ha invece potuto rifiutare il trasferimento al Cagliari. L’analisi dei meccanismi che regolano i trasferimenti nei due sport iper-professionistici
C’è chi dice no, beato lui. Lo ha fatto l’attaccante del Torino Antonio Sanabria, 28 anni, paraguaiano, rifiutando nell’ultima sessione di mercato un trasferimento al Cagliari. Scegliere: un lusso che non tutti possono permettersi. Vale anche nello sport. Ne è prova Luka Doncic, 25 anni, sloveno, uno dei più grandi campioni del basket, dirottato (senza scelta ma in business class) da Dallas a Los Angeles, dai Mavericks ai Lakers in Nba. Un caso che farà letteratura (forse).
A Luka poteva andare peggio, ma non è questo il punto. Tra la normalità di Sanabria e la straordinarietà di Doncic si pongono questioni sociali, metodi e modi diversi di guardare lo sport professionistico, le sue regole, la sua gestione, gli atleti che ne fanno parte.
Da una parte l’America che ha messo al centro il sistema, l’organizzazione, la comunità. Dall’altra l’Europa (soprattutto quella del calcio) che al centro invece ha tenuto l’uomo, il lavoratore, l’individuo.
Lo stupore per lo scambio
Con la solita precisione, il Post ha rimesso insieme i pezzi di un evento definito da molti commentatori tv americani (e non solo) «sconvolgente». Com’è venuto in mente ai Mavericks di cedere Luka Doncic?, titola il sito di informazione. Non è solo una domanda lecita e puntuale, ma è il quesito che più di tutti scoperchia i metodi dell’Nba. Rob Mahoney su The Ringer si è chiesto «perché diavolo i Mavericks lo avrebbero fatto».
La risposta è desolante: «Non lo so, nessuno lo sa». E il Guardian ha scritto che «a meno che Doncic non abbia qualche segreto oscuro e profondo di cui non siamo a conoscenza, scambiarlo in questo momento della sua carriera è una mossa molto bizzarra da parte dei Mavericks, e non c’è davvero altro modo per inquadrarla».
Lo stesso Doncic, già operativo nella sua nuova squadra, ha rilasciato dichiarazioni inconsuete: «Stavo quasi dormendo, così quando ho ricevuto la chiamata ho dovuto controllare che non fosse il primo di aprile. All'inizio non ci credevo, davvero, ed è stato un grande shock. È stato un momento difficile per me. Dallas era casa mia. È stato molto difficile, soprattutto il primo giorno. Mi è sembrato che le ultime 48 ore fossero un mese».
E ancora: «Tutti erano sorpresi, quindi potete immaginare quanto lo fossi io». Com’è possibile che uno tra i primi quattro cestisti al mondo, strapagato, capace di far girare milioni di dollari, non conosca il proprio destino sportivo e non possa avere voce in capitolo sul suo futuro?
Come funziona nel basket USA
In Nba non si possono fare acquisti, solo scambiare contratti, senza trattare con i giocatori. E sono tutti permessi seguendo le linee dello stipendio, indipendentemente dal valore in campo del giocatore. Si chiama trade, un’ombra da cui i giocatori devono guardarsi le spalle. Lo ha detto meglio di tutti Nikola Jokic, un altro big dell’NBA che gioca a Denver: «Questo è un business, nessuno è al sicuro nella lega». La trade non è solo mercato. È una specie di contratto sociale, una cosa alla Rousseau ma più grezza. I giocatori cedono un pezzettino della loro libertà per il bene del campionato, della comunità cestistica.
Una franchigia, a quel punto, può attuare uno scambio diretto se gli stipendi dei due giocatori si equivalgono (o se cambiano di poco l’uno dall’altro). Dunque può succedere che una mattina qualcuno decida che lo scambio tra Doncic e Anthony Davis possa essere funzionale. Allora si trovano gli accordi e la cosa si fa. Punto. Il giocatore non conta. Nel caso di Luka lo scambio era destinato a fare rumore e tutto è rimasto segreto fino all’ultimo.
The Athletic ha raccontato che i Lakers non hanno potuto parlare dell'operazione con l’agente di Doncic, Bill Duffy, «perché entrambe le parti volevano mantenere il segreto sulle trattative». Anche sua maestà LeBron James ha dovuto apprendere la notizia dai giornali. «Pensavo fosse uno scherzo. Ero a cena con la mia famiglia e la prima volta che ho sentito dello scambio credevo fosse una bufala. Luka è il mio giocatore preferito in Nba».
Come funziona nel calcio europeo
Non è tanto una questione di motivazioni, quelle sono secondarie. Nel caso di Doncic è stato detto di tutto: è andato via per il suo fisico (fuori peso forma), per il suo carattere fumantino, per questioni legate al marketing. Ma il focus non può essere quello, bisogna concentrarsi sulla metodologia, su come Luka ha cambiato squadra.
L’Europa ha preso la notizia trattandola come una fiaba, una roba da fantasport: Doncic e LeBron insieme, wow. Ma chi è nel mondo dello sport ne ha compreso la portata reale e più profonda. Mats Hummels, campione del mondo con la Germania nel 2014 e oggi difensore della Roma, ha subito detto la sua sui social: «Per fortuna non puoi essere scambiato in questo modo da giocatore di calcio».
Già, nel calcio la baraonda del calciomercato infiamma i sogni. La recente sentenza del calciatore Lassana Diarra ha scatenato il panico tra i club. Nel 2014 Diarra passò alla Lokomotiv Mosca. Dopo un anno litigò con l’allenatore e la società. Smise di andare agli allenamenti. La Lokomotiv decise di licenziarlo e chiese un risarcimento.
La Fifa diede ragione al club, stabilendo che Diarra dovesse pagare 10,5 milioni di euro. È stata la Corte Suprema dell’Unione Europea a stabilire che gli attuali regolamenti Fifa sullo status e il trasferimento dei giocatori sono contrari ai principi di libera circolazione dell’Unione.
In pratica: i giocatori dovrebbero essere liberi di andarsene più o meno quando vogliono. E anche di non farlo. Nessuno può applicare le regole viste con Doncic. È successo a moltissimi, anche a Sanabria.
C’è chi dice no: chi può
In una stagione in cui il Torino sta faticando a trovare un equilibrio e i gol, il mercato di riparazione doveva servire a portare un nuovo attaccante. D’altra parte Sanabria non segna un gol da ottobre, e nel frattempo la squadra di Vanoli è scivolata a metà classifica. «Prima c'era Zapata che dentro l'area aveva questa qualità, ora siamo diversi.
Sanabria è importante, senza Duvan si è preso responsabilità e ora deve uscire la personalità. Non ci sono problemi, ma da questi giocatori ci si aspetta di più. E anche lui lo sa». Ma ci sono stagioni che non decollano, i calciatori lo sanno. E quando hanno la possibilità di andare via, a dimostrare il loro valore, il più delle volte lo fanno.
La storia del calciomercato però è anche costellata di no, di rifiuti, e i club hanno potuto fare ben poco. Nel 2002 Francesco Totti disse no al Real Madrid che lo aveva corteggiato senza sosta. Cavani arrivò a tanto così dalla Juventus, ma fu lui a confessare che proprio non «potevo tradire il Napoli», la città che lo aveva cullato.
Nel mercato invernale del 2018 Simone Verdi venne scelto dal Napoli di Sarri, in piena lotta per il titolo, come il rinforzo ideale per fare il salto di qualità. Il giocatore rifletté a lungo, poi temendo di ritrovarsi a fare tanta panchina scelse la sicurezza del posto a Bologna. De Laurentiis aveva già pronto un assegno da 20 milioni. Motivazioni personali, scelte di vita, sensazioni sbagliate: basta un nulla per far saltare una trattativa. Anche un no, quello che Doncic non si è potuto permettere.
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