L'accordo tra Santa Sede e la Repubblica Popolare Cinese sulla nomina dei vescovi si rinnova per altri due anni senza intoppi, come previsto e anticipato dal segretario di Stato della Santa Sede, Pietro Parolin. Continua ad essere “ad experimentum”, quindi i contenuti resteranno riservati.

Come effetto, sono stati nominati due nuovi vescovi, monsignor Antonio Yao Shun, di Jining, regione autonoma della Mongolia Interna, e monsignor Stefano Xu Hongwei, a Hanzhong, della provincia di Shaanxi, e sono in corso diversi altri processi per le nuove nomine episcopali. Oggi, «tutti i vescovi in Cina sono in comunione con il Papa. Non ci sono più vescovi illegittimi, questo è un passo notevole e da qui si tratta di partire e di cercare di trovare una normalizzazione per la vita della chiesa», ha spiegato Parolin alla vigilia del rinnovo.

L'accordo è punto di arrivo di un cammino lungo quasi 70 anni, ma è anche e soprattutto il «punto di partenza per più ampie e lungimiranti intese», sostiene il Vaticano dalle pagine dell'Osservatore Romano, non nascondendo i problemi che esistono, ma che l'accordo non si proponeva neanche di risolvere, almeno non a breve termine. Si stima che in Cina ci siano 10 milioni di cattolici, divisi tra un'associazione governativa il cui clero è scelto dal Partito Comunista e la chiesa non ufficiale, fedele solo al Vaticano. L'intesa ha aperto la strada a un riavvicinamento tra i due Stati, che avevano interrotto i legami diplomatici nel 1951.

Nell'intesa non sono state affrontate tutte le questioni aperte o le situazioni che preoccupano la Chiesa, ma soltanto il tema delle nomine dei responsabili di diocesi, comunque «decisivo e imprescindibile», ricorda l'Osservatore. Lo stesso cardinale Parolin si è detto consapevole dell'esistenza di diversi problemi riguardanti la vita dei cattolici in Cina, ma anche dell'impossibilità di affrontarli tutti insieme.

«È doveroso riconoscere che permangono non poche situazioni di grande sofferenza», scrive l'Osservatore, sottolineando che la Santa Sede è  «profondamente consapevole», ne tiene ben conto e non manca di attirare l'attenzione del Governo cinese per «favorire un più fruttuoso esercizio della libertà religiosa. Il cammino è ancora lungo e non privo di difficoltà». Proprio sulla mancanza di libertà di culto ha insistito molto il governo Trump per chiedere al Vaticano di non proseguire con l'accordo.

A qualche settimana dalla scadenza dei termini il segretario di Stato Usa è volato a Roma per chiedere udienza a Papa Francesco che, vista la campagna elettorale in corso, è stata respinta. Ha però preso parte parte a un simposio sul tema organizzato dall'ambasciata Usa presso la Santa Sede, tenendo un durissimo discorso contro la Cina, alla presenza dei vertici pontifici. Il Vaticano si è visto pubblicamente accusare tra le righe di sodalizzare con un regime, guidato dal Partito popolare, che si considera «la massima autorità morale», «sempre più repressivo, spaventato dalla sua stessa mancanza di legittimità democratica, attivo giorno e notte per spegnere la lampada della libertà, soprattutto la libertà religiosa».

«Cerchiamo tutti la stessa cosa, la libertà religiosa», aveva replicato Parolin, ribadendo che le posizioni tra Santa Sede e Stati Uniti restano distanti e rivendicando la libertà di andare avanti per la via dell'accordo, una «scelta pensata, riflettuta, pregata. Una scelta che ha fatto il Papa».

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