Il 9 dicembre i dipendenti pubblici sciopereranno per chiedere il rinnovo del contratto, stabilizzazione dei precari e nuove assunzioni. Le aperture della ministra della Pubblica amministrazione Fabiana Dadone e del Movimento 5 stelle che all’ultimo minuto aveva proposto un incontro per il 10 dicembre e un aumento del 4 per cento per i dipendenti con redditi più bassi, non sono state sufficienti a evitare la mobilitazione di tutti i principali sindacati. Secondo la segretaria della Funzione pubblica Cgil Serena Sorrentino, dopo quasi dieci mesi in cui le richieste dei lavoratori sono rimaste inascoltate, arrivare allo sciopero era inevitabile.

Perché il 9 dicembre ci sarà uno sciopero di dipendenti pubblici?

Perché è dallo scorso 18 febbraio che abbiamo cominciato una vertenza per chiedere il rinnovo dei contatti, un piano straordinario di stabilizzazione dei precari della pubblica amministrazione e soprattutto un piano di nuove assunzioni. Quest’ultimo punto è particolarmente importante, visto che per effetto dei pensionamenti ordinari e di quota 100, ci sarà una fuoriuscita dalla pubblica amministrazione di 500mila unità nei prossimi due anni. Sono lavoratori che andrebbero tutti sostituiti per garantire lo stesso livello di servizio e che in alcuni settori andrebbero persino aumentati. Bene, da quella data, il 18 febbraio, non è mai avvenuta una convocazione da parte del ministero. Quando poi è stata presentata la legge di Bilancio e non siamo stati convocati, era chiaro che non ci rimaneva altra strada che la mobilitazione.

Al governo c’è il Pd, un partito con il quale i sindacati hanno tradizionalmente buone relazioni, come mai si è arrivati a questo punto?

All’interno del governo ci sono due anime che si stanno confrontando in queste ore. Personalmente, ho letto di appelli della segreteria nazionale Pd affinché si avvii un confronto con noi, di ministri che invitano il governo a costruire una relazione positiva. Poi però leggo la convocazione della ministra Dadone per il 10 dicembre, il giorno dopo lo sciopero, e leggo che l’unico punto dell’incontro è il rinnovo del contratto. Questo rende chiaro che nell’agenda politica del ministro assunzioni di precari e sicurezza non meritano considerazione.

Anche nel governo, chi è contrario allo sciopero vi ha attaccati dicendo che non è il caso di scioperare in piena pandemia.

Bisogna essere chiari: non si chiuderà alcun ospedale, non si avranno disservizi nei pronto soccorso, non ci saranno riduzioni ai servizi indispensabili ai cittadini. Per sua natura lo sciopero del personale pubblico agisce in un settore non comprimibile. La legge 146 ci obbliga a garantire contingenti minimi di persone nei settori indispensabili e le amministrazioni sanno che possono precettare le persone essenziali. A differenza di quanto ha sostenuto la ministra Dadone, nessuno bloccherà la pubblica amministrazione, i lavoratori coinvolti nell’emergenza Covid-19, che anche volendo non possono scioperare, esporranno un adesivo “Non mi fermo ma protesto”.

Cosa risponde all’economista Tito Boeri che dice che i dipendenti pubblici avrebbero dovuto donare parte del loro stipendio e che scioperando si attirano l’odio del paese?

La migliore risposta a Boeri l’ha data un nostro funzionario di Nidal Cgil rider, che a chi attaccava lo sciopero domandava in che modo togliere un diritto a un dipendente pubblico ne garantisce un altro a un dipendente privato. Difendere i servizi pubblici è interesse generale del paese. Anche chi soffre la crisi pandemica può accedere al servizio sanitario universale, alla scuola pubblica, alle forme di protezione sociale. I dipendenti pubblici sono quelli che lavorano al reddito di cittadinanza, nei comuni, nei servizi sociali. Il loro trattamento economico è stato bloccato dal 2008 per dieci anni. I lavoratori hanno subito una perdita del 9 per cento. Noi oggi non pretendiamo di recuperare per intero questo divario, ma non possiamo non sottolineare che la crisi ha una forte componente di domanda e se non tuteliamo il potere di acquisto dei redditi fissi e continuativi, in realtà facciamo una cosa che è anche contro l’interesse generale.

Di cosa ha bisogno la pubblica amministrazione oggi?

Serve un potenziamento dell’occupazione. La pubblica amministrazione va riformata e innovata per cogliere la sfida del cambiamento, per rendere più efficiente per gestire i fondi europei del Recovery fund. Serve a creare occupazioni stabile per 500mila competenze giovanili.

Guardiamo alla crescita: se aumentano i servizi aumenta la resilienza contro crisi e pandemia. I paesi che hanno protetto maggiormente il welfare escono meglio della crisi. Il sistema sanitario dal punto di vista organizzativo ha dimostrato i limiti di tutti i disinvestimenti degli ultimi anni.

In Francia e Germania la crisi pandemica ha spinto ad aumentare gli stipendi del personale sanitario. In Italia com’è andata?

Il decreto Cura Italia del governo ha stanziato risorse per le cosiddette indennità Covid, bonus una tantum destinati al personale medico. Questo ha generato una serie di difficoltà tecniche per regioni e sindacati. I contratti nazionali hanno limiti rigidi per il trattamento accessorio per lavoratori, come l’indennità Covid, ma alla fine siamo comunque riusciti a fare accordi in tutte le regioni per far riconoscere questo premio. Ma questo riconoscimento è stato destinato solo settore pubblico, la sanità privata accreditata che in alcune regioni ha molta rilevanza, non ha avuto lo stesso compenso. Inoltre, sono bonus che vanno a medici e infermieri, mentre gli operatori sociosanitari non ricevono nulla. Non siamo contrari a valorizzare medici e infermieri, ma non giusto non riconoscere trattamento a tutti gli altri.

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