Il 6 aprile, nel carcere Francesco Uccella di Santa Maria Capua Vetere, un gruppo di agenti penitenziari, provenienti da altri istituti di pena, ha picchiato brutalmente i detenuti. Domani ha raccontato quanto accaduto, rivelato la presenza di video a riscontro, i “non ricordo” dei vertici del Dap, dipartimento dell’amministrazione penitenziaria. L’indagine in corso riguarda un centinaio di soggetti.

La vicenda non ha avuto ancora un esito disciplinare o giudiziario, né attraverso l’esecuzione di misure personali né attraverso la notifica di un avviso di conclusione delle indagini, ma intanto trova un riferimento nelle carte di un’inchiesta che riguarda le violenze commesse, successivamente ai fatti del 6, da alcuni detenuti contro alcuni agenti della polizia penitenziaria che nulla c’entravano con quel pestaggio.

E su queste violenze commesse da alcuni reclusi si consuma uno scontro tra procura della Repubblica di Santa Maria Capua Vetere, la stessa che indaga sul pestaggio del 6 aprile, e il giudice per le indagini preliminari.

Emerge dall’ordinanza del tribunale del riesame di Napoli che ha accolto il ricorso della procura e ordinato l’esecuzione delle misure cautelari bocciate dal primo giudice.

I fatti si sono svolti il 12 giugno dello scorso anno e vedono protagonisti quattro cittadini stranieri, detenuti nella casa circondariale di Santa Maria Capua Vetere. Minaccia a pubblico ufficiale, incendio, danneggiamento, lesioni personali sono i reati contestati, a vario titolo, a Houssin Mouamir, Mohamed Chiri, Beladim Mahdi per i quali la procura ha chiesto la misura cautelare in carcere. La pubblica accusa ha poi chiesto per un altro detenuto Dimitar Dimitrov gli arresti domiciliari per fatti avvenuti il 13 giugno, il giorno dopo.

I maltrattamenti

La giudice Rosaria Dello Stritto, nonostante le violenze commesse dai soggetti indagati contro i poliziotti penitenziari, lo scorso ottobre, respinge la richiesta della procura con una motivazione che fa riferimento anche ai pestaggi subiti dai detenuti precedentemente.

«Dalle risultanze investigative è emerso che gli indagati si sono determinati a commettere i fatti contestati in ragione del loro stato detentivo, ovvero per protestare a fronte di asseriti maltrattamenti patiti in precedenza a opera degli agenti di polizia penitenziaria», scrive nell’ottobre scorso. E in riferimento agli «asseriti maltrattamenti subiti», scrive: «profilo rispetto al quale, peraltro, non sono stati fatti approfondimenti di tipo investigativo».

La giudice, insomma, bacchetta la procura che non avrebbe svolto indagini sui fatti del 6 aprile, ma non è così. L’indagine c’è, ma è in un altro procedimento penale, precisa la procura negli atti. Per bocciare la richiesta di misure cautelari, la giudice prosegue con un’analisi del contesto. «Deve aggiungersi, come è noto, che dette condotte si inseriscono in un contesto storico-temporale caratterizzato da un clima di particolare tensione negli istituti penitenziari, in ragione della difficoltà di gestire in detti ambienti le problematiche connesse alla diffusione epidemiologica del Covid 19».

La conclusione della giudice è quindi che il carcere non arginerebbe il pericolo di recidiva, ma «lo amplificherebbe», e anche i domiciliari sono inapplicabili perché a casa «non avrebbero ragioni per reiterare le condotte». Ma la pubblica accusa presenta ricorso al riesame.

Condotte ingiustificate

«La fondatezza di eventuali maltrattamenti subiti non giustificherebbe le gravissime condotte poste in essere dagli indagati che non si limitavano a una mera protesta, bensì sfociavano in gravissimi atti di violenza ai danni di agenti penitenziari, senza distinzione alcuna di persona, tant’è che ne veniva investito per lo più personale operante temporaneamente distaccato da altro istituto carcerario, quello di Benevento, che nulla avrebbe in ogni caso avuto a che fare con i paventati maltrattamenti», scrive il riesame riportando il ricorso della procura, guidata da Maria Antonietta Troncone.

Riesame che ha accolto il ricorso della procura con un’ordinanza depositata, una settimana fa. I fatti, i profili dei soggetti, gli atti di violenza commessi impongono «massima riprovazione sul piano del disvalore penale dei fatti in contestazione», si legge nel provvedimento del riesame, firmato dai giudici Pietro Carola, Mariaraffaella Caramiello, Elisabetta Catalanotti.

Per i fatti contestati uno dei detenuti, Mohamed Chiri, già condannato per rapina e resistenza, in sede di interrogatorio, ha raccontato il clima molto teso di quei giorni, gli atti di autolesionismo di un altro recluso e la morte di un detenuto, vittima dei pestaggi del 6 aprile, pestaggi che avrebbe visto, ma non subito.

«In sede di interrogatorio ho chiesto la revoca della misura visto che è trascorso, ormai, un anno da fatti, a mio avviso, il primo giudice aveva ragione perché queste vicende sono maturate in un contesto particolare», dice l’avvocato Leonardo Pompili che difende Chiri. Sul punto relativo agli atti di autolesionismo, i giudici del riesame hanno chiarito che erano praticati solo per reiterare richieste di trasferimento prima di parlare di «azioni concertate e premeditate, realizzate con ferocia e inaudita violenza». Così i quattro sono stati arrestati e, oggi, è prevista l’udienza preliminare. Per i fatti, invece, del 6 aprile, a cui si fa riferimento negli atti d’indagine, dopo la notifica del decreto di perquisizione a carico di 57 indagati, non ci sono stati nuovi sviluppi giudiziari, ma l’inchiesta prosegue.

© Riproduzione riservata