Negli Stati Uniti, sette libri per bambini – tra cui “Pride Puppy”, un libro illustrato su un cagnolino che si perde durante un Pride - sono finiti alla Corte Suprema. Parlano di famiglie con genitori dello stesso sesso, bambini con varianza di genere, di amore e rispetto. Un gruppo di genitori religiosi del Maryland chiede di poter esonerare i figli dalle lezioni che li includono: non vogliono che “sentano” ciò in cui non credono. La scuola dice no: ascoltare non è aderire, conoscere non è credere. Un principio semplice, ma fragile.

Gli esperti legali americani avvertono: se la Corte (a maggioranza conservatrice) accogliesse le istanze dei genitori cattolici, si aprirebbe la porta a future contestazioni religiose anche su altri contenuti scolastici già contestati dagli stessi, come l’evoluzione, la teoria del Big Bang, compromettendo l’autonomia educativa della scuola pubblica.

È un vento, questo del ruolo dominante delle famiglie nel percorso formativo degli studenti, che soffia anche in Italia dove è stato approvato un emendamento voluto dalla destra che ha inserito le associazioni dei genitori nel Consiglio superiore della pubblica istruzione (Cspi).

Una modifica passata sotto silenzio grazie al decreto sulla pubblica amministrazione che dopo aver incassato la fiducia alla Camera il 22 aprile, è in seconda lettura al Senato. E andrà convertito in legge entro il 13 maggio.

Il decreto ridisegna le regole della pubblica amministrazione in chiave di concorsi pubblici, mobilità e scorrimento delle graduatorie. Ma l’emendamento firmato dalla deputata leghista Giovanna Miele, nota alle cronache per aver candidato l’architettura fascista di Latina a patrimonio dell’Unesco, fa qualcosa di più: apre ai genitori le porte di accesso al “parlamentino” dell’istruzione.

La modifica infatti amplia la composizione del Consiglio superiore della pubblica istruzione con l’aggiunta agli attuali 36 componenti di tre nuovi membri in rappresentanza delle associazioni dei genitori che saranno nominati dal ministro dell’Istruzione e Merito su designazione del Forum nazionale delle Associazioni dei genitori (Fonags), organismo consultivo del ministero da oltre vent’anni.

I membri: Associazione italiana genitori, Associazione genitori scuole cattoliche, Coordinamento genitori democratici. Se le organizzazioni Age e Moige hanno accolto con favore questa modifica normativa, resta cauto il Coordinamento genitori democratici, fondato nel 1976 da Marisa Musu e Gianni Rodari: «Pensiamo sia importante il riconoscimento dei genitori come attori del processo educativo delle giovani generazioni», spiega a Domani la presidente Angela Nava: «Sarebbe altrettanto importante disegnare i confini delle competenze di ogni attore, per evitare sconfinamenti o possibili limiti alla libertà di insegnamento o all'autonomia didattica previste dalla nostra Costituzione».

Il timore era già stato espresso proprio su queste pagine in riferimento al tentativo di Lega e Fratelli d’Italia di inserire il “consenso informato” sui materiali didattici e “attività scolastiche vertenti su materie di natura sessuale, affettiva o etica”.

«Mi chiedo quale sia il confine di questa parolina “etica”», spiegava Nava. «Immaginiamo che un’insegnante spieghi la resistenza. Se un genitore si oppone per questioni etiche? E se chiede che vengano visionati i libri o i materiali didattici che il docente usa per spiegare questo frammento di storia?». L’ampliamento della rappresentanza genitoriale nel Cspi rappresenta un passo avanti significativo nella costruzione di un nuovo modello scolastico, il rischio è che diventi la porta d’ingresso a un’idea di scuola in cui la libertà educativa si trasformi in veto familiare.

Ma non solo, come si legge dalla modifica approvata: agli oneri derivanti dall’attuazione dell’aumento di tre componenti nel Cspi – «pari a 331.100 euro per l’anno 2025 e a 993.300 euro annui a decorrere dall’anno 2026» si provvederà «mediante corrispondente riduzione del Fondo per il funzionamento delle istituzioni scolastiche», la dotazione finanziaria essenziale, erogata dallo Stato, affinché si garantisca il funzionamento amministrativo e didattico delle singole autonomie scolastiche statali.

Questo fondo serve per pagare tutto ciò che è necessario per far funzionare concretamente le scuole pubbliche: materiali, pulizie, utenze, laboratori, progetti formativi. Meno risorse per il fondo vuol dire meno risorse per le attività didattiche quotidiane.

Un sacrificio imposto agli studenti e al personale scolastico, ammantato dalla “tutela dei valori” che cela il rifiuto del pluralismo e della cultura del rispetto verso la diversità. La stessa battaglia, su due sponde dell’oceano: chi decide cosa è giusto insegnare a tutti?

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