Sofia Goggia è una che di infortuni ne ha affrontati un bel po’, ma l’intervista rilasciata ad Aldo Cazzullo per il Corriere della sera è più grave di una rottura di crociato e menisco contemporaneamente. Perché i menischi si aggiustano, le frasi infelici non guariscono mai del tutto, specialmente se pronunciate da chi dovrebbe aver imparato che se sai manovrare così bene gli sci, è bene che impari a manovrare altrettanto bene anche le parole, perché le dichiarazioni pubbliche sono piste nere e se scivoli ti puoi fare molto male.

Goggia – lo riassumo per i distratti – a domanda «ci sono omosessuali tra gli atleti?», ha risposto come un vecchio ubriacone al bar. Ovvero: «Tra le donne qualcuna sì. Tra gli uomini direi di no. Devono gettarsi giù dalla Streif di Kitzbühel» (una pista con l’85 per cento di pendenza, ndr).

Una battuta che suggerisce un pregiudizio scemo, ovvero quello che vuole gli omosessuali “pavide femminucce magari anche molto sensibili e inadatte a imprese virili” e gli eterosessuali dei maschioni senza paura. Ora, a parte che la maggior parte degli eterosessuali di mia conoscenza fa fatica a trovare l’arditezza anche per lanciarsi a spazzaneve dalla pista per bambini di Ovindoli, figuriamoci dalla Streif di Kitzbühel, di problemi in tutta questa faccenda ce ne sono parecchi.

Era sbagliata la domanda, perché è ovvio che ci siano atleti omosessuali. Non mi risulta che gli omosessuali a temperature sotto i 5 gradi diventino etero. Riguardo invece l’obiezione mossa da molti (“Cazzullo doveva tagliare la risposta o correggerla”) beh, non credo sia compito di un giornalista occuparsi della reputazione di un intervistato.

Quello, al massimo, lo fa un ufficio stampa che durante interviste importanti dovrebbe affiancare gli atleti di un certo peso e qui temo che le ipotesi siano quattro: 1) l’ufficio stampa di Sofia Goggia era a farsi un bombardino allo chalet 2) l’ufficio stampa di Sofia Goggia ripone una spropositata fiducia in Sofia Goggia 3) l’ufficio stampa di Sofia Goggia la pensa come Sofia Goggia 4) l’ufficio stampa di Sofia Goggia è Sofia Goggia. O una madre, un padre, uno zio. Insomma uno dei temutissimi parenti degli sportivi, che è anche peggio.

Perché tanto stupore?

Il secondo problema sta nel fatto che la risposta di Sofia Goggia (tra l’altro non l’unica risposta che le è uscita male) generi così tanto stupore. Io confesso che la sua uscita non mi ha stupita. La osservo da tempo, così come osservo l’altra campionessa di sci Federica Brignone, e mi sembrano due brave atlete con evidenti problemi di comunicazione, oltre che di contenuti.

E non sarebbe neppure un problema, se non ci illudessimo del fatto che dietro a grandi performance nello sport debba necessariamente nascondersi un maître à penser, un filantropo, un mancato fisico nucleare. Invece, purtroppo, continuiamo a cascarci. Perfino dopo Djokovic e la sua pantomima No-vax.

La prima volta che ho incrociato sulla mia strada Sofia Goggia è stata su una pagina di bulli. Eravamo nel pieno della seconda ondata Covid, c’era un numero spaventoso di morti e il governo aveva appena deciso la chiusura delle stazioni sciistiche.

Il mondo dello sci era in rivolta, nonostante la stagione invernale precedente si fosse di fatto salvata. Io approvai la scelta del governo. In quella pagina fui aggredita da migliaia di sciatori che mi riservarono qualsiasi epiteto. Tra quei commenti apparvero anche quelli di Sofia Goggia e di Federica Brignone che vennero lì a deridermi, osannate dai commentatori che le ringraziavano per essere arrivate a spalleggiarli con sberleffi.

Fui molto colpita dalla boria di entrambe, dall’imprudenza nel partecipare a una shitstorm di quelle dimensioni rivolta a una donna, dalla scarsa sensibilità per il tema Covid, anche alla luce del fatto che la Brignone aveva avuto la mamma ricoverata in ospedale per la malattia. Successivamente ho assistito ad altre loro performance lontane dalle piste. Le frizioni pietose tra le due, con la madre della Brignone che si intromette e mette in dubbio la gravità dell’infortunio di Sofia Goggia bollandola come «egocentrica».

Un dubbio che ha scomodato la Fisi, che ha dovuto minacciare querele. E poi le continue frecciate di entrambe che ormai sono nemiche dichiarate. E ancora la Goggia che durante la premiazione alla Coppa del mondo di sci, in diretta su Rai Sport, si toglie la mascherina e fa cenno di stare zitto a chi le chiede di tenerla come tutte le persone che ha intorno (era stata coerentemente testimonial di una campagna per l’uso delle mascherine nel 2020), infine la Brignone che interpellata sul vaccino prima di andare a Pechino afferma: «Non sono favorevole: l’ho fatto solo per partecipare alle Olimpiadi».

E così via. Fino ad arrivare all’intervista di Sofia Goggia al Corriere della sera che, appunto, non mi ha sorpresa. E non dovrebbe sorprendere, perché i segnali che non le andasse chiesto un parere su temi scivolosi, fuori dal recinto sicuro dello sci, c’erano tutti.

Sono solo esseri umani

Certo, si potrebbe replicare che ha quasi 30 anni e tutte le possibilità di sviluppare un pensiero più moderno ed evoluto, oltre che una sensibilità riguardo temi sui quali una campionessa dovrebbe avere opinioni un po’ più strutturate di una battuta da caserma.

Ma alla fine torno sempre all’osservazione iniziale. Forse siamo noi che dovremmo smetterla di eroicizzare gli sportivi oltre i loro meriti atletici. A celebrarli come se dietro i loro trofei ci fosse sempre molto altro.

Ci pensavo proprio qualche settimana fa, dopo aver visto il film Una famiglia vincente - King Richard sulla storia delle sorelle Serena e Venus Williams. Se lo schiaffo di Will Smith agli Oscar non avesse tagliato le gambe a qualsiasi altra polemica sul film, forse ci saremmo concentrati sulla follia celebrativa della pellicola.

Pellicola che, per esaltare gli incredibili risultati sportivi delle sorelle, decide di mitizzare la figura del padre (“re Richard” appunto), il quale prima che nascessero aveva già pianificato il loro destino di tenniste scrivendo un volumetto di 80 pagine.

Un padre che le costringeva ad allenarsi piccolissime sotto la grandine, che pretendeva da loro i massimi risultati in ogni attività, che non ha mai chiesto alle figlie cosa volessero fare ed essere, oltre i progetti e le aspettative che aveva costruito per loro. Ma siccome Serena e Venus sono due miti viventi dello sport non è possibile osservare i fatti da un’angolazione che non sia quella della idealizzazione.

Ecco, forse dovremmo smettere di idealizzare gli sportivi e il percorso che li ha resi tali. Perché talvolta sono solo esseri umani con il coraggio ammirevole di buttarsi giù dalla Streif di Kitzbühel, appunto, ma incapaci di governare molto altro oltre gli sci. E in fondo, se non ci aspettassimo di più, potrebbero andarci già bene così.

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