L’inchiesta sul sindaco di Foggia per concussione restituisce un dato politico e storico che va oltre il fatto di cronaca in sé. Franco Landella era stato eletto con la Lega, uno dei primi sindaci leghisti del Mezzoggiorno. Un trionfo. Foto celebrative di Landella con Matteo Salvini, con le bandiere del partito, il nuovo che avanza aveva conquistato la città pugliese. Una favola sovranista, se non fosse stato per il finale da incubo, più simile a film poliziesco: Landella ai domiciliari per aver chiesto una mazzetta da 500 mila euro a un’azienda impegnata in un appalto pubblico, è la tesi della procura di Foggia e della squadra mobile della polizia. Finale da prima Repubblica, con un il partito e il leader Salvini che avrebbero voluto rottamare la politica del Sud fatta di clientele e favoritismi, complicità con i clan, parentele ingombranti con personaggi che lambiscono gli ambienti criminali.

Il dato politico è dunque questo: tutto ciò che Salvini voleva a parole rottamare lo ha arruolato nel partito nazionale leghista, con un casting iniziato nel 2014 da Raffaele Volpi ( dimessosi da poco dal Copasir, l’organismo di vigilanza dei servizi segreti) incaricato all’epoca di fare da esploratore padano in quel territorio che un tempo il partito di Salvini chiamava “terronia”. A distanza di sei anni e più si può tirare qualche somma, capire se la classe dirigente leghista del Sud è davvero nuova e libera da condizionamenti. 

Foggia e la brutta fine del sindaco Landella è solo l’ultima delle storie di cronaca giudiziaria che interessa la Lega Sud di Salvini. O meglio, la Lega Salvini premier, il nuovo partito nato per incarnare lo spirito nazionalistico e abbracciare gli elettori del centro sud. Dalla Sicilia alla Calabria alla Puglia alla Campania fino al Lazio, le truppe di Salvini non si sono distinte per rinnovamento. «Se hanno preferito gli uomini di Lombardo e Cuffaro lasciando fuori noi mi hanno fatto un favore...». Le parole sono del capo, detto Capitano dai suoi fan, Matteo Salvini, pronunciate all’indomani della presentazione del governo siciliano di Nello Musumeci. Il neo governatore aveva inizialmente lasciato ai margini della giunta il deputato di Salvini, che aveva reagito opponendo la presunta purezza ideale della scuderia di cui era il leader. 

Processo siciliano

Restiamo in Sicilia, dunque. In questa regione inizia il progetto della Lega nazionalista e sovranista. Siciliano era il responsabile di Noi Con Salvini, il movimento incubatore del nuovo partito fondato nel 2017 chiamato Lega Salvini premier, l’ultima Lega, insomma, senza più Nord nel marchio.

Il responsabile individuato da Volpi e Salvini era un democristiano navigato, Angelo Attaguile, di Catania. Il padre è stato tre volte senatore Dc, sottosegretario alle Finanze nei governi Rumor e Colombo, infine ministro della Marina Mercantile. Angelo ha dato il massimo per non tradire la storia politica di famiglia. Da ragazzo è stato presidente dei giovani democristiani, nel 2005 Giuseppe Pizza lo nomina suo vice nella nuova Dc. Poi milita con gli autonomisti e nel 2013 viene eletto alla Camera grazie a un posto sicuro in quota Lombardo nelle fila del Pdl, due settimane dopo migra nel gruppo Lega Nord-Autonomie.

Attaguile, non più coordinatore regionale, è ora in attesa di capire se sarà rinviato a giudizio a Termini Imerese per un’inchiesta su una truffa elettorale alla quale Attaguile avrebbe concorso nel reato di «attentato contro i diritti politici del cittadino». Con Attaguile attende la decisione del giudice anche Alessandro Pagano, deputato della Lega, passato da Forza Italia al Nuovo centro destra di Angelino Alfano e infine ai sovranisti di Salvini. Molti gli alfaniani attratti dalla Lega: l’attuale coordinatore regionale dell’isola è il potente petroliere dell’isola Nino Minardo, anche lui con un passato da fervente berlusconiano. Ultimo ma non meno importante: il primo deputato regionale leghista eletto (ora fuoriuscito dal partito) si chiama Tony Rizzotto, coinvolto in una vicenda giudiziaria a Palermo quasi subito dopo l’elezione. 

Il deputato e il suocero

C’è un’immagine che racconta l’inizio della Lega in Calabria. La festa a Rosarno dopo l’ottimo risultato elettorale delle politiche del 2018. Salvini è ospite in un liceo del paese della provincia di Reggio Calabria. Un bagno di folla per il futuro titolare del Viminale e vicepremier. Al suo fianco c’erano i responsabili locali del partito: uno di loro imparentato con il boss locale, il secondo in passato in affari con personaggi legati alle cosche locali. Il terzo è diventato deputato ed era il coordinatore regionale della Lega Salvini premier: si chiama Domenico Furgiuele, sul profilo facebook si definisce padre fondatore della Lega Calabria.

Furgiuele è stato eletto mentre il suocero si trovava in carcere, condannato per estorsione aggravata dal metodo mafioso. I beni del suocero imprenditore erano anche finiti sotto sequestro su richiesta dell’antimafia di Catanzaro. Le colpe sono personali e non ricadono sui familiari, è sempre stata la difesa di Salvini, che ha pescato il primo deputato leghista di Calabria quando era un militante della destra sociale a Lamezia Terme. Su Furgiuele poi pesa un episodio, che lui ha chiarito ma che resta agli atti: nell’hotel di proprietà della famiglia del suocero ha ospitato due killer di ‘ndrangheta dopo che questi avevano commesso un omicidio in spiaggia, ospiti non paganti. Come è stato possibile? Si era fidato di un amico, a sua insaputa coinvolto con quella gentaglia, si era difeso il deputato. 

Il caso Latina

A sud di Roma c’è una situazione esplosiva per il partito di Salvini. Le inchieste sui clan condotte dalla procura di Roma hanno fatto emergere relazioni pericolose tra importanti esponenti leghisti, che godono della massima fiducia del leader, e imprenditori, professionisti, legati agli ambienti della mafia locale. Su tutti c’è il nome di Claudio Durigon, sottosegretario del governo Draghi, a cui Domani ha dedicato diversi articoli pubblicando anche le chat tra il politico e il professionista ritenuto in collegamento con il boss di Latina. Durigon e la Lega hanno beneficiato di un sostegno per la campagna elettorale, almeno questo sostiene il professionista che ha parlato anche con i magistrati. Insomma, una Lega non proprio di rinnovamento. 

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