Un tribunale estone ha condannato a tre anni di carcere lo scienziato Tarmo Kõuts, colpevole di spionaggio a favore della Cina. Come esperto di oceanografia dell’università Tecnica di Tallin, dal 2006 Kõuts faceva parte del comitato scientifico del ministero della Difesa dell’Estonia e dal 2018 è stato impiegato presso la base Nato di La Spezia come vicepresidente del Centro per la ricerca e la sperimentazione marittima (Cmre), che si occupa di intelligence navale strategica.

Come riporta il sito Daily Beast, il controspionaggio estone ha verificato che Kõuts fu reclutato dall’intelligence militare cinese nel 2018, durante un viaggio in Asia insieme a un complice. Entrambi sono stati arrestati il 9 settembre 2020 e processati, il periodo di spionaggio coincide quindi con quello di assegnazione alla base Nato in Italia. Dalla sua pagina Facebook, lo scienziato estone ha postato numerose foto da Lerici e dal Golfo dei Poeti, non lontano dal centro dell’Alleanza atlantica per cui lavorava e che spiava.

Secondo i servizi estoni, Kõuts sarebbe stato «comprato» dai cinesi con viaggi in Asia, hotel e ristoranti di lusso, oltre a circa 17mila euro. I suoi reclutatori si presentarono come rappresentanti di un think tank privato, strategia molto usata dai cinesi per avvicinare anche funzionari americani, persino attraverso LinkedIn, ma dietro si celava l’intelligence Bureau dello Stato maggiore della Commissione militare centrale di Pechino. Sembra comunque che, nonostante il nulla osta di sicurezza di cui Kõuts disponeva da anni, le informazioni fornite ai cinesi non abbiano compromesso in modo grave i segreti militari.

Il caso russo

Non si tratta dell’unico caso recente a coinvolgere talpe straniere in basi Nato italiane. Nell’estate del 2019 il controspionaggio dell’Agenzia informazioni e sicurezza interna (Aisi), che monitora l’attività degli agenti stranieri sul suolo nazionale, si accorse di un operativo dell’intelligence russa che aveva preso contatti con un ufficiale francese assegnato alla base Nato di Napoli. L’Italia allertò i colleghi della Direzione generale della sicurezza interna (Dgsi) a Parigi, cominciò così un’attività congiunta di pedinamenti e intercettazioni del sospetto.

Si trattava di un tenente colonnello dell’esercito francese, un cinquantenne diplomato alla prestigiosa scuola militare di Saint-Cyr nel 1992, padre di cinque figli, definito dai suoi ex compagni di corso un fervente cattolico ultraconservatore, un lefebvriano con origini nobiliari e lontane ascendenze russe. Proprio grazie alla sua conoscenza del russo, dal 2014 al 2016, fu destinato all’ambasciata francese in Kazakistan come attaché militare, forse fu lì che venne agganciato dall’intelligence di Mosca. In seguito, con un’abilitazione di sicurezza di medio livello fu assegnato all’Allied joint force command di Lago Patria, vicino Napoli, la base strategica per tutte le operazioni Nato nell’Europa meridionale.

Nel corso di un anno, gli uomini del controspionaggio documentarono altri due incontri clandestini all’ombra del Vesuvio, in cui l’ufficiale avrebbe fornito documenti classificati all’agente russo. Prove sufficienti per incriminarlo di tradimento e divulgazione di informazioni segrete a una potenza straniera.

Con tali accuse c’era un rischio di fuga, si decise perciò di attendere e agire senza troppo clamore, mentre l’intelligence militare francese completava l’inchiesta e formulava le accuse. Nell’estate del 2020 l’ufficiale era in Francia per le vacanze con la famiglia e a fine agosto, poco prima di tornare a Napoli, fu arrestato dalla Dgsi - che ha anche funzioni di polizia giudiziaria - e portato al carcere della Santé di Parigi. Con le prove raccolte, rischia fino a  trent'anni di prigione, se sarà condannato per tradimento a favore della Russia.

Questi e altri recenti episodi - come l’agente portoghese arrestato a Roma nel 2016 mentre passava documenti Nato a una spia russa - confermano i tentativi aggressivi del Cremlino per infiltrare le numerose strutture dell’Alleanza atlantica in Italia. Ma la talpa estone dei cinesi rappresenta un caso inedito e preoccupante, che segnala un salto di qualità di Pechino rispetto al basso profilo tenuto finora in Europa.

Leggi anche – Ladri di dati: caccia agli hacker dei vaccini

© Riproduzione riservata