Soldi pubblici per lo spyware, così l’Ue finanzia l’italiana Cy4gate

L’ultimo caso noto è quello di Graphite. Prodotto dall’israeliana Paragon Solutions, il software spia è stato usato – non è ancora chiaro su mandato di chi – per sorvegliare due giornalisti italiani critici nei confronti del governo Meloni. Nonostante il lavoro della commissione d’inchiesta del Parlamento europeo (Pega), che oltre due anni fa ha pubblicato una serie di misure necessarie per contrastare l’uso illegale di queste tecnologie, la Commissione Ue non ha ancora adottato queste raccomandazioni. Grazie a un’indagine della testata internazionale Follow the Money, ora si scopre che alcune società produttrici di spyware hanno anche ricevuto sussidi pubblici europei per milioni di euro. E che la principale beneficiaria è un’impresa italiana. Bruxelles non si limita a guardare dall’altra parte: ha anche sostenuto attivamente le aziende del settore, i cui strumenti sono stati poi usati per spiare i cittadini. Esaminando i registri dell’Ue e una serie di dati forniti dal think tank americano Atlantic Council, Follow the Money ha individuato tra i maggiori beneficiari di sussidi pubblici l’italiana Cy4Gate. Tra il 2020 e il 2024 la società ha ricevuto 103 milioni di euro di finanziamenti dall’Ue, incluse le sovvenzioni provenienti dal Fondo europeo per la difesa. Quotata a Piazza Affari, Cy4Gate è controllata da Elettronica Spa, che fa capo alla famiglia Benigni ed è partecipata dalle due aziende pubbliche della difesa di Italia e Francia, Leonardo e Thales. Cy4Gate produce Epeius, descritto in un report del 2024 del Threat Analysis Group di Google come uno spyware in grado di hackerare gli smartphone ed estrarne dati personali. Secondo l’Atlantic Council, una controllata di Cy4Gate, Rcs Labs, ha inoltre contribuito a fornire prodotti spyware ai governi di Bangladesh, Pakistan e Turkmenistan. Tutti paesi piazzati in fondo alle classifiche sui diritti umani. I silenzi su Paragon: quando l’abuso diventa normalità Soldi Ue anche a Nexa e Verint Systems I sostenitori di queste tecnologie sostengono che, se usate legalmente, possono contribuire a combattere il terrorismo e altri reati gravi. Non c’è dubbio che sia così, sebbene i vari scandali susseguitisi negli ultimi anni dimostrino come talvolta i software spia siano stati usati dai governi per sorvegliare illecitamente persone critiche nei loro confronti. Lo dimostra ad esempio l’inchiesta condotta da Domani ed Eic su Predator, spyware venduto certamente ad Egitto, Vietnam e Madagascar, usato dalle autorità di questi paesi per intercettare giornalisti e attivisti. Proprio alla francese Nexa Technologies, produttrice di Predator insieme all’israeliana Intellexa, è andato un altro aiuto europeo. Nel 2015 la Commissione le ha infatti assegnato un contratto da 60mila euro per un non meglio specificato «dispositivo di sicurezza». Scelta controversa, scrive Follow the Money, visto che la società francese e i suoi partner israeliani l’anno scorso sono stati sanzionati dagli Stati Uniti per aver venduto a vari governi spyware usati per «sorvegliare segretamente funzionari, giornalisti ed esperti politici statunitensi». Graphite e Predator, Italia e Grecia unite dai trojan: la difficile strada per la verità C’è poi un altro finanziamento europeo del genere. Nella lunga inchiesta pubblicata martedì, Follow the Money cita una sovvenzione da 15 milioni di euro, costituita al 70 per cento da fondi europei e pensata per sostenere la ricerca in campo tecnologico. Il problema è che questi soldi sono stati gestiti tra il 2014 e il 2018 da Verint Systems, società israelo-statunitense attiva nel settore della sorveglianza, che proprio nel 2018 è stata in trattativa per acquistare il produttore di spyware Nso (scandalo Pegasus) e la cui filiale israeliana è stata accusata da Amnesty International di aver fornito, tra il 2015 e il 2017, apparecchiature per l’intercettazione delle comunicazioni alle autorità del Sud Sudan. Già nel 2014 l’ong Privacy International aveva rivelato che Verint vendeva sistemi di sorveglianza ai regimi di Kazakistan e Uzbekistan. Evidentemente, alle autorità europee il monito non è bastato per decidere di non finanziarla.