La strage dei carabinieri, trappola mortale nel casolare dello sfratto

Tre carabinieri uccisi, quindici feriti tra militari dell’arma, poliziotti e vigili del fuoco. È il bilancio provvisorio della strage di Castel d'Azzano, in provincia di Verona. Una notte di morte e dramma. Una perquisizione che gli occupanti del casolare aspettavano da tempo, e da tempo avevano preparato una trappola di gas, bombole e molotov. È finita con fiamme e devastazione. Un’esplosione imponente ha distrutto il casolare e travolto gli agenti che erano intervenuti sul posto. A innescarle forse la fiamma di un accendino. Uno scenario da guerra, a sentire i testimoni, con persone che non si accorgevano di essere ferite. Travolte e stordite dal boato, camminavano tra macerie e i detriti. Un boato che si è sentito ovunque, fino a cinque chilometri di distanza. Tra le testimonianze raccolte dai cronisti sul luogo c’è quella di una signora che ha descritto una situazione apocalittica: dopo il boato che ha svegliato tutti i residenti dell’area, si sono ritrovati tutti in strada terrorizzati, «c’è chi urlava, chi piangeva», ha spiegato. La perquisizione I militari stavano eseguendo una perquisizione, un’operazione all’apparenza banale, una come tante altre. L’’immobile era stato messo all’asta, i Ramponi non potevano più stare lì. Dovevano essere sfrattati. Ma la procedura si trascinava ormai da tempo. Troppo tempo e così erano intervenuti a supporto anche i reparti speciali, ma non è bastato. Le vittime sono il luogotenente Marco Piffari, il carabiniere scelto Davide Bernardello e il brigadiere capo Valerio Daprà, che stavano procedendo alla perquisizione finalizzata allo sgombero del casolare pignorato da anni. Gli ex proprietari dell’immobile Franco, Dino e Maria Luisa Ramponi, erano riusciti più a volte a rimandare le operazioni. La situazione era sempre più complicata, barricati in casa, uscivano di rado e più volte avevano annunciato il gesto estremo. Già lo scorso anno l’ufficiale giudiziario al suo arrivo aveva trovato la casa piena di gas. In un’altra occasione i tre avevano escogitato un altro piano minacciando di darsi fuoco cospargendosi di liquido infiammabile. Erano pronti a tutto. Parole sottovalutate. In pochi credevano, forse, che i tre avrebbero messo in pratica i loro piani di distruzione. Il cordoglio del Quirinale. Sì ai funerali di Stato. Zaia: «No alla clemenza» La rabbia si fa strage «Con mio fratello lottiamo da 5 anni per avere giustizia. Mio fratello ha avuto un pignoramento ingiusto, gli hanno portato via tutta l'azienda agricola, terreni ed adesso la casa. Oggi volevano fare lo sgombero e ci siamo opposti in tutti i modi; abbiamo riempito la casa di gas per riuscire a lottare», diceva la signora Ramponi, in un video dello scorso novembre. Potrebbe essere stata proprio lei a innescare l’esplosione, secondo le prime ricostruzioni. «La deflagrazione è stata causata dalla donna che con un accendino ha dato fuoco alla bombola di gas già accesa. I nostri carabinieri mentre salivano per le scale sono stati colpiti da questa fortissima esplosione causata dalla deflagrazione di una bombola di gas», ha spiegato il colonnello Claudio Papagno, comandante provinciale dei carabinieri di Verona. In pratica la bombola ha generato un’onda d’urto che ha fatto implodere l’intera struttura. Gli inquirenti avevano utilizzato i droni per sorvolare il casolare, visti i cattivi presagi, e avevano scoperto l’esistenza di bottiglie molotov. Sospettavano la presenza di armi ed esplosivi all'interno. Un sospetto che è diventato strage. Durante il sopralluogo, dopo l’esplosione, sono stati rinvenuti residui di molotov e bombole di gas. Proprio per questo gli inquirenti avevano allertato i reparti speciali organizzando l’ingresso con la massima accortezza, ma non è servito. I tre Ramponi sono stati arrestati e la loro posizione è al vaglio dell’autorità giudiziaria. Sui reati da contestare è intervenuto il procuratore capo di Verona. «Stiamo valutando se effettivamente c'è strage, valuteranno i carabinieri, sicuramente è un omicidio premeditato e volontario. Secondo noi, secondo i carabinieri, non c'è dubbio», ha spiegato, Raffaele Tito, numero uno della procura scaligera. Nel profondo Veneto dove le aziende agricole falliscono Il cordoglio I Ramponi erano agricoltori e allevatori, da tempo alle prese con problemi finanziari e ipotecari. Hanno continuato a contestare la decisione del tribunale e l’iter che aveva portato al pignoramento, lamentavano una firma falsa su un mutuo come origine dei loro guai. Ormai vivevano da reclusi, convinti di essere vittime di una immane ingiustizia, erano riusciti a prorogare l’addio fino al terremoto che hanno provocato con morti, feriti e distruzione. Nelle ore successive alla strage sono intervenuti i sindacati delle forze dell’ordine con comunicati molto duri per chiedere sicurezza per il personale operativo sulle strade del Paese. La loro richiesta è semplice: hanno chiesto più investimenti denunciando l’aumento di violenze e brutalità contro i militari, ma anche la crescente tensione sociale che attraversa l’intero paese. Una tensione che, questa volta, si è trasformata in strage.