Ormai è un’ossessione personale. A margine della seconda guerra della Superlega prossima ventura, fra livello disciplinare interno Uefa e fronte esterno di ambito Ue, dopo che la blitzkrieg delle 12 società congiurate provata lo scorso aprile è annegata nel ridicolo, c’è un conflitto personale andato nettamente fuori binario: quello fra Aleksander Čeferin, presidente dell'Uefa, e Andrea Agnelli, presidente della Juventus e vicepresidente della non ancora disciolta Superlega. Il primo non perde occasione per usate parole sprezzanti nei confronti del secondo e l'ultima puntata di questa saga si è avuta con l'intervista rilasciata dal capo del calcio europeo al mensile francese So Foot. E poiché, da settimane, trattare il tema della Superlega è di default per Čeferin, egli ne approfitta per parlare della questione generale e dell'aspetto particolare. Anzi, personale. Quello relativo all'ex amico e compare di battesimo Andrea.

Occhio per occhio

A So Foot il presidente dell'Uefa ha affidato parole più rabbiose che mai. Per lui, semplicemente, Andrea Agnelli non esiste più. È una non entità. Lo ha detto chiaramente nel passaggio in cui spiega di aver diviso i dirigenti congiurati della Superlega in tre categorie, stile "Il giorno della civetta”. Ha collocato nella prima, quella dei “casi personali”, appunto, come unico e solo il presidente della Juventus. E ha aggiunto: «Ai miei occhi lui non esiste più».

Guardando quelli di Čeferin, di occhi, non c'è di che essere rassicurati. Perché da quei giorni in cui la Superlega è uscita a razzo dai blocchi di partenza, per schiantarsi contro il muro della prima curva, lo sguardo dell'avvocato dal 2016 a capo dell'Uefa ha una luce sinistra, che non lascerebbe tranquillo un qualsiasi estraneo. Figurarsi il nemico numero uno e unico. Meglio non immaginare cosa potrebbe succedere il giorno in cui i due dovessero ritrovarsi in presenza.

E certo l’avvocato sloveno qualche buon motivo di risentimento ce l'ha. Con Andrea Agnelli, fino a quella notte fra il 18 e il 19 aprile 2021, erano più che amici. Čeferin ha fatto da padrino di battesimo della terza figlia del presidente bianconero. Dunque era un rapporto saldato da quelle motivazioni personali che adesso diventano motivo d'irriducibile acredine. Tanto più che, secondo versione di Čeferin mai smentita da Agnelli, il presidente juventino (allora numero 1 dell'European Club Association, ECA) ha negato fino all'ultimo «guardandomi dritto negli occhi» l'esistenza del progetto Superlega e di farne parte. Adesso i due, ictu oculi, farebbero bene a non incrociare mai le traiettorie. Ciò che comunque appare ipotesi remota, poiché stando alle indiscrezioni il presidente dell'Uefa, non risponde nemmeno agli sms di riconciliazione dell'ex compare di battesimo.

Aleksander stai sereno

Tuttavia, tenuta nella massima considerazione la rabbia da senso del tradimento, una cosa va detta: che Čeferin, da capo del calcio continentale e presidente di un'organizzazione così complessa, non può permettersi di anteporre le questioni personali nel governo dell'Uefa. Né è ammissibile che continui a rilasciare dichiarazioni di questo tenore contro un soggetto ancora pienamente parte della famiglia del calcio europeo, oltre che rappresentante di una fra le società più importanti del calcio continentale.

Le questioni personali, tali devono rimanere. Mai dovrebbero entrare nello svolgimento di un ruolo complesso come quello di presidente di una confederazione calcistica continentale. E lo diciamo da avversatori della prima ora rispetto al progetto di Superlega. Anzi, proprio per questo sosteniamo che l'Uefa debba affrontare con la massima credibilità la battaglia contro la Superlega che si approssima su due fronti: quello disciplinare, con un verdetto previsto entro la settimana che comincia domani e potrebbe portare all'esclusione dalle competizioni europee delle tre società ancora ufficialmente parte della Superlega (Barcellona, Juventus e Real Madrid); e quello della giurisdizione comunitaria, che si giocherà in ambito di Corte di Giustizia dell'Unione Europea e riguarderà il possibile abuso di posizione dominante dell'Uefa riguardo all'organizzazione delle competizioni europee.

Su entrambi i fronti la confederazione calcistica europea è chiamata a dimostrare un indispensabile rigore istituzionale, a partire dal suo presidente. E invece proprio il presidente continua a sfoggiare rabbia e livore, portando i casi personali al centro della propria comunicazione pubblica. C'è da chiedersi se, in condizioni di così lasco autocontrollo, sia ancora in grado di governare il calcio europeo. In fondo, tradimenti o no, è stato sotto la sua presidenza che il calcio europeo ha visto oltrepassare la soglia-tabù della secessione delle élite. Che poi la mossa si sia rivelata fantozziana è altro discorso, ma di sicuro Čeferin non era stato in grado di governare le spinte secessioniste. Se adesso non è nemmeno più nelle condizioni di governare le spinte nevrotiche di se medesimo, ne prenda atto e si dimetta.

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