Ormai si prende tutto lui, il tennis. Il Foro Italico è sempre più suo. Lontani anni luce i tempi in cui si immaginava che gli Internazionali d’Italia potessero addirittura andarsene in spazi meno suggestivi ma più confortevoli e disponibili. Certo c’è il rugby, sabato chiusura del Sei Nazioni 2025 con Italia-Irlanda, ma è pur sempre una storia da due-tre appuntamenti l’anno. Quanto a Roma e Lazio con la testa a Pietralata (i Friedkin) e al Flaminio (Lotito), persino il calcio fa la figura di chi sogna di fare le valigie e intanto fa i conti con un vicino sempre più ambizioso.

E sì perché il presidente federale Angelo Binaghi un giorno sì e l’altro pure lo pensa: vogliamo essere il quinto Slam. E allora basta farsi un giro per capire che non scherza. E il giro deve cominciare stavolta dallo stadio dei Marmi che porta il nome di Pietro Mennea. Dall’inizio di marzo è un cantiere: dall’edizione in partenza il 29 aprile (incontri del tabellone principale dal 7 maggio), il palcoscenico battezzato da Mussolini il 4 novembre del 1932 si trasformerà in tre campi da tennis, una specie di Centrale quater, la Super Tennis Arena (si aggiungerà al Centrale vero e proprio, alla Grand Stand Arena e allo stadio Pietrangeli ex Pallacorda), e altri due scenari secondari. Saranno dunque degli Internazionali extralarge. Allora, tutto ok?

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L’atletica leggera

Beh, non proprio. Perché questo sviluppo ha un prezzo. Forse fisiologico, forse inevitabile, sicuramente alto: i Marmi, lo dice il personaggio a cui è intitolato l’impianto, sono prima di tutto uno stadio di atletica, il “fratellino” dell’Olimpico (anche se in realtà è più vecchio di 21 anni) con cui è collegato da un tunnel fatto apposta per traghettare gli atleti dal riscaldamento alla gara. Come conciliare la fotosintesi sinneriana con questa identità? È vero che il curriculum è piuttosto eclettico: alle Olimpiadi del 1960 qui c’era l’hockey prato, nel 1982 ci fu una storica volata del Giro d’Italia vinta dallo svizzero Urs Freuler, più tardi toccò al football americano e al rugby a 7. Claudio Baglioni inaugurò i Mondiali di nuoto 2009. Poi il taekwondo e, roba dell’ultima stagione pre Covid, il tiro con l’arco con la finale della sua Coppa del Mondo. Prima, un bel po’ di polemiche furono scatenate dalla chiusura dell’impianto per un concorso internazionale di equitazione.

Però i Marmi sono stati soprattutto atletica. Non solo per la sua pista. L’incontro fra Pietro Mennea e l’allora ministro degli esteri Aldo Moro che consiglia al giovane velocista di non rinunciare all’Università (e il campione lo ascoltò con le sue quattro lauree...) e a proposito di università il libro di chimica che Livio Berruti studiava fra la semifinale e la finale prima di prendere il tunnel per vincere l’oro olimpico del 1960. E ancora il gigioneggiare di Usain Bolt che dava spettacolo pure sul lettino dei massaggi. E un’impresa favolosa il 2 aprile 1981: il canadese Arnie Boldt che salta in alto 2,04 su una gamba sola e manda per aria quel modo “consolatorio” con cui si vedeva allora lo sport delle persone con disabilità riunito sotto l’orrenda sigla della federazione degli sport per handicappati. Persino ne El estadio de marmol di Juan Bonilla, un romanzo che è una sorta di giovane Törless ambientato fra queste statue, la figura ricorrente è quella di un lanciatore di martello.

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Ora il cambio di pelle è evidente. Per la verità non risulta che in parecchi si siano strappati i capelli, per carità. Forse perché con i lavori per la pista rifatta per gli Europei appena l’anno scorso e quelli per l’illuminazione, in qualche modo ci si stava abituando a dei Marmi fruibili a metà. Un grido di allarme, però, qualcuno l’ha lanciato. Giuseppe Acquafredda è stato uno degli staffettisti della mitica 4x100 dell’Avis Barletta in cui l’ultima frazione spettava a un certo Pietro Mennea. Per lui quel nome è sacro e da mesi ha scritto a Sport e Salute (padrona di casa dei Marmi) per rimettere al più presto la scritta che ricorda il nome dello stadio e che ancora non è stata ripristinata.

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Quando ha saputo dell’imminente invasione delle racchette si è ribellato sui social: «Oggi ho appreso di questa notizia che è pazzia allo stato puro». Quanto alla scritta in soffitta, forse si potrebbe farlo contento: ok, per ora non sarà possibile riproporla per ragioni tecniche, ma costruire una grande insegna provvisoria in cui tutti gli spettatori degli Internazionali possano ricordarsi o venire a sapere il nome e un cognome dello stadio? E che presto qui ci sarà pure un museo per ricordarlo? Ora qualcuno maliziosamente potrà fare ironia sul “presto” visto che se ne parla di anni. Il problema è che ancora non si risolve il problema umidità che dagli spalti rischia di compromettere i locali nella “pancia” dello stadio dove ci sarebbe lo spazio espositivo. La domanda, però, è: al di là del “sudore” del marmo può esserci un museo in un luogo che per quasi tre mesi l’anno diventerebbe prima un cantiere e poi uno spettacolo con ingresso a pagamento?

Il fatto è che fra le 60 statue donate da altrettante province italiane ci sono anche due tennisti regalati da Ragusa e Parma – va in scena un dilemma fra due idee di sport che in Italia si riescono a combinare a fatica al di là degli slogan e dell’”annuncite” in cui siamo grandi specialisti. Da una parte ci sono le ragioni del super evento. In questo caso del super tennis. Che vuole diventare sempre più grande accogliendo per cominciare più gente. Certo Melbourne e New York stanno su un altro pianeta con le loro 1.218.831 e 1.048.669 presenze. Parigi è più dietro con 675.080, Wimbledon a 526.455. Roma è a 358.396 e però ha cinque giorni in meno di svolgimento degli incontri di tabellone. Insomma, dagli Slam europei non è proprio lontanissima.

Oggi, probabilmente, nella conferenza stampa che illustreranno i lavori, ascolteremo una sfilata di assicurazioni: i Marmi riapriranno all’atletica in tempo per il Golden Gala, e per giugno dicono sia alle porte un’altra edizione dello Sprint Festival, magari con Marcell Jacobs o Zaynab Dosso, che domenica ha portato il terzo oro azzurro negli Euroindoor olandesi da aggiungersi a quelli di Andy Diaz e Larissa Iapichino. Insomma, una carezza all’atletica principale “vittima” dell’invasione di rovesci e volèe.

Il modello di Tokyo

Su questo un altro suggerimento. Da anni, qualche dirigente più acuto e sensibile degli altri ha parlato di esportare il boom degli Internazionali in periferia. Bene, pensate se oggi, insieme con i Marmi che risorgeranno più belli e più superbi che pria avrebbe detto Proietti-Petrolini, fosse annunciato pure altro: l’inizio dei lavori (non l’annuncio che si faranno, ma l’inizio) per rifare la pista di atletica dello stadio di Tor Tre Teste, il più periferico, l’unico di Roma Sud, dove ogni pomeriggio centinaia di ragazzini si allenano su una superficie che casca a pezzi.

Però a pensarci bene non è solo una questione di atletica. È in gioco l’idea che lo sport di chi corre all’alba o magari di notte (ora c’è pure l’illuminazione) solo per il gusto di farlo o del bambino che fa per la prima volta sport su quei gradoni o dei test degli studenti di scienze motorie della vicina università possa vivere in un palcoscenico da copertina. Per carità, Binaghi citerebbe le “racchette di classe” che fanno scoprire il tennis a decine di migliaia di ragazzini a scuola. E magari Sport e Salute potrebbe aggiungere alcune iniziative “sociali” che hanno trovato posto al Foro Italico ogni tanto.

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E giustamente bisognerebbe metterci pure l’attività giovanile del nuoto (che è riuscito a respingere il progetto di “prestare” il suo stadio, l’ipotesi su cui si era inizialmente lavorato per allargare l’area degli Internazionali). Ma noi abbiamo in mente Tokyo, un posto dove lo sport di alto livello e dei super eventi è fortissimo, come da noi, anzi più che da noi. Dunque Tokyo. Il suo stadio Olimpico. Il suo Museo Olimpico. Circondati da un enorme campo di calcio scolastico, frequentatissimi campi da tennis, uno stadio per il baseball, un campo prova per il golf dei principianti. Ogni giorno. E la domanda è: noi proprio non possiamo neanche sognarla una roba del genere?

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