Tortura psicologica. Ecco il modo in cui i detenuti del carcere di Caltanissetta descrivono la quotidianità all’interno dell’istituto di pena siciliano. Nei giorni scorsi decine di loro hanno firmato una lettera inviata alla Corte europea dei diritti umani di Strasburgo, nella quale si descrive nel dettaglio una situazione di detenzione ritenuta contraria all’articolo 27 della Costituzione italiana, che stabilisce che la pena “non può consistere in trattamenti contrari al senso di umanità”.

Sono tanti i punti bui sollevati dai detenuti. “La struttura è vecchia, fatiscente, priva di qualsiasi normativa igienica e da condividere con ratti e piccioni”, scrivono, citando anche frequenti infiltrazioni di acqua dalle finestre.

“Non vengono distribuiti prodotti di prima necessità per la pulizia della cella e per l’igiene personale”, continuano, mentre chi entra nel carcere ed è sottoposto alla quarantena fiduciaria per le misure anti Covid-19 “è ubicato in isolamento senza ricevere lenzuola, federe e prodotti per la sanificazione della cella, costretto a dormire su lenzuola di carta”. Durante le fasi più acute della pandemia peraltro non sarebbero state distribuite mascherine omologate, giusto un dispositivo in feltro di quelli fuori dalle prescrizioni sanitarie.

Sovraffollamento

A Caltanissetta ci sarebbe anche un problema di sovraffollamento, dal momento che i detenuti raccontano di trovarsi assembrati in celle piccolissime fino a 19 ore al giorno, con bagni minuscoli da condividere in quattro persone. “Le porte blindate delle celle sono prive di sistema di sicurezza e non consentono l’apertura in caso di emergenza o calamità naturale”, aggiungono, mentre per quanto riguarda l’apertura delle sbarre, avviene per un’ora al giorno, con i detenuti spediti in un ambiente simile a una cella dove non c’è nemmeno margine per sedersi o passeggiare, “uno spazio di circa 15x4,5 metri tra quattro mura altissime in cemento armato e la rete metallica come tetto, in cui in 50 (come minimo) sono costretti a stare ammassati”.

Rieducare

Non c’è spazio per lo svago né traccia del fine rieducativo della pena nel carcere di Caltanissetta, quanto meno a leggere la missiva dei detenuti. L’istituto è sprovvisto di sala hobby, palestra, spazio per l’attività fisica, 12 detenuti a giro possono giusto partecipare a una partita di calcetto due volte al mese. Manca l’area educativa, “parecchi detenuti che si trovano da diversi mesi non hanno mai incontrato l’educatore”, scrivono, mentre non esistono corsi di scuola media, superiore e università, né altri corsi di formazione. Altre problematiche emergono poi nei contatti con il mondo esterno: i detenuti raccontano che le telefonate sono svolte unicamente su linea fissa e questo per molti di loro è un problema, dal momento che i cari fuori dal carcere sono provvisti solo di cellulare.

Chi lavora, poi, denuncia il pagamento degli stipendi con almeno due mesi di ritardo, un problema se non si hanno soldi sul conto corrente e ci si trova in un carcere dove “perfino la maggior parte dei farmaci sono a carico del detenuto”. Frigo rotti e i ritardi cronici nella consegna dei pacchi inviati dalle famiglie o della merce acquistata costringerebbero poi a buttare molti degli alimenti.

La situazione delle carceri

Lo scenario che emerge dalla lettera inviata alla Corte di Strasburgo dai detenuti di Caltanissetta sembra insomma lo specchio delle condizioni detentive italiane. Come ha sottolineato l’ultimo rapporto di Associazione Antigone sulla situazione delle carceri nel Belpaese, diffuso a fine luglio, il tasso di affollamento supera il 113 per cento e circa due istituti su tre hanno più detenuti di quanti sono i posti disponibili, con picchi del 200 per cento a Brescia e del 180 per cento a Grosseto. Tutto questo va di pari passo con condizioni igieniche spesso molto precarie. Nel 31 per cento degli istituti visitati da Antigone sono state trovate celle prive di acqua calda, in altri manca perfino l’acqua corrente e permangono strutture con il wc a vista. Nel 36 per cento delle carceri monitorate manca la doccia in alcune celle, nonostante il regolamento penitenziario abbia previsto la loro installazione entro il 2005 - un ritardo, per ora, di sedici anni. Scarseggiano gli educatori, le telefonate con l’esterno sono fatte con il contagocce, in generale insomma l’analisi del sistema penitenziario italiano nel suo complesso ricalca la gran parte delle denunce contenute nella lettera che i detenuti di Caltanissetta hanno inviato all’Europa.

Antigone presto tornerà a fare visita all’istituto siciliano, l’ultimo suo rapporto di diversi anni fa in proposito parla di “scarsi rapporti con l’esterno, carenza di strutture educative, obsolescenza della struttura, spazi per la socialità angusti”. Questa situazione negli anni si è tradotta in un contesto molto difficile, che rende pesante anche il lavoro della polizia penitenziaria: nell’ambito di una protesta contro l’impossibilità di abbracciare i loro familiari, a inizio agosto alcuni detenuti hanno sequestrato due agenti.

Gli agenti

«Gli agenti sono l’ultimo anello della catena, il più debole, devono sopperire a tutte le mancanze nella filiera della giustizia», sottolinea Pino Apprendi, referente in Sicilia dell'associazione Antigone. «Questo vale soprattutto in Sicilia, dove le problematiche evidenziate nella lettera dei detenuti di Caltanissetta sono molto diffuse. C’è un problema generale di salute, una visita specialistica o generica ha tempi di risposta molto lunghi, gli psichiatri sono pochi e non riescono a seguire le centinaia di detenuti che avrebbero bisogno».

Anche dal punto di vista delle condizioni igieniche il racconto della lettera presentata alla Corte di Strasburgo trova riscontro in altri istituti: «Manca la privacy anche solo per andare in bagno, non ci sono le porte nei sanitari e addirittura esistono carceri con celle di isolamento prive di wc, c’è giusto un buco per terra», continua Apprendi, che sottolinea poi un sottodimensionamento endemico di mediatori culturali ed educatori nella regione.

Dalla direzione del carcere di Caltanissetta prendono però le distanze da quanto sollevato dai detenuti. «Non capisco in cosa possa ravvisarsi una tortura psicologica», chiosa il direttore Giuseppe Russo, che contesta diversi punti della lettera ma ne conferma altri. «Da gennaio gli educatori hanno svolto 420 colloqui, sono state create nove classi scolastiche in scuola media e triennio di scuola superiore, sono state predisposte attività come recital di musical, cineforum, fotografia e teatro».

Riguardo le condizioni igienico-sanitarie, «confermo l’utilizzo delle lenzuola di carta in maniera temporanea, si tratta di una mia scelta, non mi risulta però che ci siano coperte strappate e viene data la possibilità ai detenuti di usare le proprie», continua Russo, che fissa al 30 luglio scorso l’ultima attività di derattizzazione effettuata.

Sulle mascherine, invece, il direttore del carcere di Caltanissetta afferma che è stata fatta richiesta di inserire nella vendita dei prodotti per i detenuti anche quelle monouso senza ferretto, così da dare la possibilità di comprarle a chi non fosse soddisfatto di quelle distribuite. Russo ritiene poi idonei gli spazi per la socialità e il passeggio all’interno del carcere, mentre sui ritardi dei pagamenti degli stipendi ai detenuti conferma che «ci possono essere ma non sono così prolungati, dipendono da problematiche nel funzionamento dei servizi di ragioneria ma siamo sull’ordine dei 30 giorni».

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