Gioielli, orologi, viaggi e anche un abbonamento annuale in tribuna d’onore dello Stadio Olimpico di Roma in cambio di incarichi professionali. È questa l’accusa rivolta dalla procura di Perugia nei confronti del giudice per le indagini preliminari del tribunale di Latina Giorgia Castriota.

La gip è accusata insieme a due collaboratori (Silvano Ferraro e Stefania Vitto) a vario titolo di corruzione per atti contrario ai doveri di ufficio, corruzione in atti giudiziari e induzione indebita a dare o promettere utilità. Castriota e Ferraro sono stati anche destinatari della misura di custodia cautelare in carcere mentre Stefania Vitto degli arresti domiciliari.

L’indagine

L’inchiesta della procura di Perugia parte da una denuncia presentata dal rappresentante legale di diverse società appartenenti a un gruppo operante nel settore della logistica. L’imprenditore ha raccontato agli inquirenti di alcune irregolarità e comportamenti non trasparenti durante la gestione dei compendi aziendali sequestrati posti in essere dagli amministratori giudiziari e dal coadiutore. Comportamenti che – si legge nel comunicato della procura di Perugia firmato da Raffaele Cantone – sarebbero stati condotti «con l’avallo del giudice per le indagini preliminari».

L’indagine è stata portata avanti con riserbo dalla Guardia di finanza. Gli investigatori si sono avvalsi anche di intercettazioni e documenti bancari, e hanno permesso di acquisire gravi elementi indiziari che hanno evidenziato «l’esistenza di una rete di rapporti amicali e di frequentazioni fra i vari soggetti che, all’interno dell’amministrazione giudiziaria, hanno percepito e stanno tuttora percependo compensi particolarmente cospicui».

Secondo il gip di Perugia, la giudice di Latina «non solo avrebbe direttamente nominato ed agevolato il conferimento degli incarichi a persone con cui intratteneva rapporti personali consolidati, ma avrebbe percepito, sistematicamente, parte dei compensi in denaro liquidati dallo stesso giudice nell’ambito dell’amministrazione giudiziaria o corrisposto, a titolo di compenso, dalle società sequestrate».

La giudice Castriota avrebbe portato avanti atti contrari ai doveri d’ufficio come l’omessa vigilanza o la mancata denuncia di attività illecite da parte degli ex amministratori, ma anche condotte attive volte a portare le società al fallimento e nominatore curatori Ferraro e Vitto, «con lo scopo – si legge nel comunicato – di mantenere il controllo sulla procedura e non perdere la fonte di guadagno oltre a quello di tutelare sé stessa da ingerenze esterne» che avrebbero potuto denunciare ciò he accadeva nelle stanze del tribunale della città pontina.

© Riproduzione riservata