Lo cercano tutti, se lo contendono, lo blandiscono. E poi chiedono, chiedono sempre. Per un figlio, un cognato, la moglie, il nipote, un amico. Posti di lavoro, contratti, promozioni, piccole e grandi regalie. Lui diligentemente annota, diligentemente conserva. Ci sono i generali dell’arma e della finanza, ci sono i pezzi grossi del Viminale, ci sono i prefetti della Direzione investigativa antimafia e i direttori del servizio segreto. Lettere di raccomandazione, gli auguri natalizi, mail, il conto di un albergo, biglietti da visita, persino lo scontrino di un caffè. Con maniacale cura custodisce ogni traccia. Anche vocale. Con una penna-registratore infilata nel taschino della giacca intercetta il capo della polizia Alessandro Pansa che è in tranquilla conversazione, in uno studio legale fa lo stesso con il suo avvocato Nino Caleca. Un giorno, chissà per quale oscura ossessione, cattura le parole di suo fratello Gioacchino che ha un negozio di giocattoli. «Aud», scrive nel promemoria. «Aud» significa ascoltato. Di nascosto.

E poi inserisce ogni «Sen», segnalazione, in un file e contemporaneamente la trascrive in agende che si tramutano in fascicoli, tutti ritrovati in un anfratto segreto della sua villa di Serradifalco, al centro della Sicilia. È un bunker che lui stesso, con inaspettato pudore, definisce «la stanza...diciamo della legalità». Diciamo che sono dossier. Diciamo pure che sono dossier per ricatti.

Dieci anni di schede

È un tesoro di informazioni. Alcune vere, altre verosimili, altre ancora rielaborate e buttate là per infangare qualcuno semmai ce ne fosse bisogno. Da questo schedario raccolto in una decina di anni (la sua perversione nel “classificare” la vita propria e degli altri, in un secondo file, ci trasporta al 6 agosto 1846 «quando nasce Montante Calogero mio trisauro figlio di Montante Luigi e Nicosia Giuseppa, sposato il 7 dicembre 1873 e morto l’1 marzo 1931 e sposato con Cordaro Anna Maria nata») è partita una diramazione investigativa sull’allora vicepresidente di Confindustria Calogero “Antonello” Montante e sui favori che ha fatto a mezza Italia. Non ci sono reati da cercare quanto piuttosto legami e aderenze per ricostruire il “mondo” di Antonello, il misterioso siciliano che nonostante un fosco passato accanto a un consigliere della Cupola è riuscito a guadagnarsi la fiducia di eccellentissime toghe, l’arrendevolezza dei vertici delle forze di polizia del paese e di ministri dell’Interno come Angelino Alfano, la protezione di presidenti di Confindustria come Emma Marcegaglia, Giorgio Squinzi e Vincenzo Boccia, la simpatia di un presidente del Consiglio come Matteo Renzi che a Montante – almeno così lui rivela in una telefonata – propone addirittura di diventare ministro. Richiesta respinta al mittente. Antonello è più interessato a entrare nell’Agenzia dei beni confiscati alle mafie, stuzzicato dall’idea di potere allungare le mani sul malloppo strappato a Cosa Nostra. Che coincidenza: su 60 milioni di italiani chi sceglie Alfano? Uno che è indagato per mafia. Il tocco di classe di Angelino.

E il “mondo” di Calogero Antonio Montante c’è tutto nelle 189 pagine di “un’annotazione di indagine” redatta dalla squadra mobile di Caltanissetta su ordine della procura della Repubblica, atto depositato nel fascicolo del procedimento penale numero 1699/14. È una lista lunga che sa molto di famiglia ma che a tratti risulta un po’ sinistra, perché ricorda certi elenchi di gente affratellata, gente che si dà aiuto reciproco, che fa commercio di favori. Riceve e poi contraccambia. Anche con investigazioni fuorilegge – è il caso dell’ultima indagine contro Montante di un paio di settimane fa – con una polizia “privata” da sguinzagliare contro i nemici, con il capo della security di Confindustria che opera da ufficiale di collegamento fra istituzioni e banda Montante.

Spifferi e soffiate

Il procedimento penale numero 1699/14 è quello a carico di 12 imputati fra i quali l’ex presidente del Senato Renato Schifani e l’ex direttore dei “servizi” civili Arturo Esposito, accusati di far parte di una catena di “talpe”, spifferi e soffiate nell’inchiesta Montante. Processo stiracchiato e a rischio prescrizione che si sta celebrando a Caltanissetta e dove Antonello non c’è, perché già condannato a 14 anni di reclusione con rito abbreviato. Ma il club è sempre lo stesso, quello che l’ha reso influente, ricercato a ogni convegno “contro la mafia”, seduto in prima fila all’inaugurazione degli anni giudiziari e riverito da compiaciute toghe.

Tra le migliaia di documenti c’è questa nota che gli investigatori incrociano con altri dati informativi per scoprire – come dispone il sostituto procuratore Stefano Luciani – «quali soggetti possano aver chiesto raccomandazioni o favori di qualsivoglia genere al Montante», «l’eventuale forza di polizia di appartenenza, il ruolo istituzionale eventualmente rivestito» e naturalmente se le segnalazioni abbiano avuto buon esito. Un’indagine mirata negli apparati e nei palazzi. Forze di polizia. Soggetti istituzionali. È la chiave per “leggere” la nota e anche il nostro resoconto. Montante e gli organismi investigativi, Montante e la sottomissione dei generali e dei prefetti verso un imprenditore con tanti precedenti penali e un antico gancio in Cosa Nostra.

Fra loro e Montante c’è una confidenza che va al di là delle “relazioni ufficiali” da intrattenere con un vicepresidente di Confindustria, c’è un’intimità che svela come in Italia tutto si può mischiare, tutto si può fare insieme anche con chi ha radici dall’altra parte. Gite in barca, pranzi e cene con mogli e figli al seguito, incontri riservati all’hotel Bernini di Roma, inviti nella villa di Serradifalco, feste di compleanno e cerimonie con immancabile consegna di una delle famose biciclette uscite da una fabbrica del nonno mai esistita. La prima impostura nell’irresistibile scalata di un siciliano “nel cuore” di un capobastone.

Prima la famiglia

C’è chi ha sistemato mezza famiglia. Per esempio Arturo De Felice, l’ex capo della Direzione investigativa antimafia, che su sollecitazioni di Antonello ha spinto i suoi sottoposti a indagare su nove cittadini colpevoli di niente, li ha pressati per avviare contro di loro misure patrimoniali, li ha incitati a perseguitarli. Montante l’ha ricompensato: incarichi in Confindustria per il figlio e la figlia assunta subito dopo in una famosa azienda di moda. La categoria più rappresentata nella lista è quella dei prefetti. Ma ci sono anche gli altri. Uno è il generale di corpo d’armata Michele Adinolfi, al tempo comandante in seconda della finanza, buon amico di Renzi, scivolato nell’inchiesta della cosiddetta P4 da dove ne esce con un’archiviazione per poi finire in un’intercettazione nel corso della quale si evoca l’ombra di un ricatto al presidente Giorgio Napolitano. Il figlio di Adinolfi, dopo alcuni incontri del padre con Montante, «inizia a percepire reddito da Confindustria». Un altro è il primo dirigente di polizia Giovanni Giudice, capo della Mobile a Caltanissetta, funzionario all’Anticrimine ad Agrigento e a Perugia, che raccomanda il cognato e un altro familiare. Il poliziotto, qualche anno dopo, verrà incriminato per avere veicolato informazioni riservate a un imprenditore vicino al clan Rinzivillo di Gela.

Un altro ancora – stando sempre alle carte – è il vicepresidente del Consiglio superiore della magistratura, Michele Vietti. Nella nota si riporta: «Ricevuto curriculum per il suo amico X.Y...avvocato...». Tra i suoi clienti, l’avvocato avrà subito dopo l’Irfis, una società finanziaria per il medio credito con sede a Palermo. Scrivono gli investigatori: «Si può ritenere verosimile l’interessamento del Montante, considerato che azionista unico di Irfis è la regione siciliana». Nel rapporto investigativo sono segnati gli incontri che Montante ha con Vietti e poi l’incrocio delle telefonate fra l’avvocato X.Y. con Montante. Nella nota viene sempre rispettato uno schema rigido per individuare i favoriti: la segnalazione della raccomandazione, le telefonate e gli incontri che precedono e seguono la richiesta, infine il riscontro. Quando la raccomandazione va presumibilmente in porto.

Fra i tanti nomi della lista quello del prefetto Francesco Cirillo, vicecapo della polizia. Sono almeno 49 i pranzi e le cene con Cirillo annotate da Montante. Nel file però ci sono altri dettagli. Il primo: «Cirillo mi segnala sua nipote per master Sole 24 Ore..». Il secondo: «Scontrino di acquisto da Tiffany Roma del Babuino per figlia Cirillo..». Gli investigatori, sempre dopo l’incrocio di telefonate e le interrogazioni alla banca dati, scrivono: «Si ritiene che il Montante abbia favorito... proprio in riferimento al conseguimento di detto master presso “Il Sole 24 Ore”, giornale di Confindustria in cui il Montante riveste cariche societarie». Un altro prefetto beneficiato è Giosuè Marino, prima a Palermo, poi commissario straordinario del governo per l’antiracket e l’usura e poi ancora vicepresidente della giunta siciliana di Raffaele Lombardo, governatore attualmente a processo per mafia. Il prefetto segnala la nuora. Ma, appena in pensione, riceve lui stesso incarichi alla Cmc, la cooperativa cementisti e muratori di Ravenna che sta realizzando l’autostrada Caltanissetta-Agrigento. I poliziotti commentano: «Si può ritenere verosimilmente frutto dell’interessamento del Montante, in considerazione degli stretti rapporti intercorrenti tra quest’ultimo e l’ingegnere Francesco Paglini, responsabile dei lavori della Cmc per il raddoppio della statale 640..». Sul prefetto Marino c’è agli atti anche la testimonianza di Alfonso Cicero, presidente dell’ente che gestisce le aree industriali della Sicilia: «All’inizio del 2015 il Montante mi chiese di trovare una collocazione a Marino in qualche struttura facente capo alle aree industriali, mi disse che si trattava di nomina da fare urgentemente, che il Marino era da poco andato in pensione e che era suo amico».

Altro prefetto: Filippo Dispenza, direttore generale degli Affari penali del Dipartimento di pubblica sicurezza e oggi commissario straordinario al comune di Vittoria, in Sicilia. Una dozzina gli incontri tra lui e Montante affiorati nelle agende. Scrivono sempre gli investigatori: «Si ritiene che l’interessamento del Montante ci sia stato per il figlio... dal 2011 in poi ha percepito redditi o prestato attività lavorativa per le società Ksm spa, Ksm Service srl... tutte società di cui Basile Rosario risulta essere socio di maggioranza o comunque proprietario. Basile è noto a codesta autorità giudiziaria come un soggetto vicino al Montante». Nelle cene e nei pranzi fra quei prefetti e Montante a corte c’è spesso qualche giornalista, il presidente di Unioncamere Ivan Lo Bello, un questore del territorio, la direttrice di Confindustria Marcella Panucci.

Gli alti ufficiali

E, incontro dopo incontro, nei tabulati telefonici compare sempre l’utenza di Diego Di Simone, il capo della security di viale dell’Astronomia. È lui che tiene i contatti con i personaggi legati a Montante e a cui Montante offre la mercanzia. Nella nota c’è un altro capo della Direzione investigativa antimafia: il prefetto Alfonso D’Alfonso. Il Cavaliere riceve un curriculum del figlio e «rispetto all’annotazione relativa alla data in cui il Montante lo riceveva si evince che, effettivamente, dopo qualche mese veniva assunto presso la ditta». Sono veramente tante le raccomandazioni chieste dai prefetti a Montante. Ma non ci sono soltanto loro. C’è anche la truppa. Appuntati, ispettori, marescialli, assistenti capi, agenti dello spionaggio. E tutti i loro comandanti. Come il generale dei carabinieri Arturo Esposito, che poi sarà nominato direttore dell’Aisi, il servizio segreto civile. Esposito raccomanda a Montante un collega dell’intelligence, Gianfranco Melaragni, ex funzionario di polizia che viene nominato capo di gabinetto del sindaco di Latina, Giovanni Di Giorgi. Una spia in amministrazione.

Altri due alti ufficiali dell’arma nelle carte di Montante: il comandante generale Leonardo Gallitelli e il generale Giorgio Piccirillo, anche lui direttore del “servizio” sostituito proprio da Esposito. In quella «stanza... diciamo della legalità» sono stati trovati appunti con su scritto «Sen» dei due.

Ma, tranne una bicicletta in edizione limitata regalata al primo e due bici donate al secondo, fra loro e Montante non risultano scambi di favori. Solo numerosi incontri fra Montante e il primo generale, solo tante cene fra Montante e il secondo. Non sanno dei precedenti dell’amico del boss? Il comandante generale dell’arma e il direttore dei servizi segreti non sono a conoscenza che Antonello ha avuto come compare di nozze Paolino Arnone, il capo della famiglia di Cosa Nostra di Serradifalco, che era anche il mafioso più vicino al numero 2 della Cupola Giuseppe Madonia? Probabilmente no. Non sono stati informati da schiere di ufficiali di stanza in Sicilia, che invece sanno tutto e comunque Antonello lo ossequiano come un re. Uno è il colonnello dell’arma Letterio Romeo, capo del nucleo operativo di Caltanissetta, l’ufficiale che durante una perquisizione a casa degli Arnone trova le foto dei mafiosi con Montante e subito dopo riceve una telefonata: «Fai attenzione a quello che fai perché altrimenti ti rompo i denti. Fai il bravo, perché ti rompo tutti i denti». Chi minaccia l’ufficiale? Montante, il faro dell’Antimafia in Italia. Sembra un film ambientato nella Bulgaria degli anni ’50.

La Dia di Calanissetta

Poi c’è la Direzione investigativa antimafia di Caltanissetta, una struttura strategica perché è quella che da vent’anni conduce quasi tutte le indagini sulle stragi Falcone e Borsellino. Due capi centro della Dia passati da lì sono al servizio di Montante. Il primo è Gaetano Scillia, colonnello della finanza che si fa assumere due nipoti e puntualmente ricambia: oggi è accusato di avere preso ordini dal Cavaliere di Serradifalco per investigare su una mezza dozzina di imprenditori solo perché “antipatici” a Montante. L’altro, Gianfranco Ardizzone, anche lui colonnello della finanza, come premio fedeltà ha un posto di lavoro per la figlia. Ma perché questa genuflessione istituzionale di massa? La giudice Graziella Luparello, nella sentenza che ha condannato Montante nel primo processo, fa una sintesi: «L’associazione era un autentico potere occulto, estremamente pericoloso, non già parallelo a quello statuale o regionale, ma a esso perpendicolare, in quanto intersecava le più diverse istituzioni, ai diversi livelli, finendo per controllarle, condizionarle o comunque influenzarle». Potere occulto nelle mani di chi, «ai diversi livelli» ha indagato sulla mafia e sulle bombe del 1992. È stravagante porsi qualche domanda e avere qualche dubbio?

Altro nome della lista: Danila Subranni, figlia del generale Antonino (condannato in primo grado a 12 anni nel processo trattativa stato-mafia) e portavoce del ministro dell’Interno Alfano. Raccomandazione per il marito andata a buon fine: «L’annotazione di cui sopra veniva riscontrata in quanto risultava avere percepito reddito da Unione camere commercio Ind. Art. Agr. regione siciliana di cui oggi Montante ne è il presidente». I magistrati e i giornalisti in contiguità con Montante sono inseriti in altre carte. I primi – una ventina – sono finiti davanti al Consiglio superiore della magistratura. Tutti “assolti”. I secondi – un’altra ventina – fanno parte di un’informativa di polizia di 48 pagine. Ad alcuni di loro sono stati notificati blandi provvedimenti disciplinari.

I curricula

L’ultima parte del documento sui “soggetti istituzionali” contiene numerosi curricula spediti a Montante. C'è anche il nome di Roberto Centaro, giudice, ex senatore per Forza Italia e presidente della Commissione parlamentare antimafia dal 2001 al 2006. Le indagini non accertano prebende distribuite a Centaro, è però interessante la data del curriculum recapitato: «Si segnala che veniva fatto inviare al Montante, dal magistrato Centaro Roberto, per il tramite di una terza persona, dopo la pubblicazione dell’articolo su Repubblica che dava notizia dell’indagine per mafia a carico del Montante». È un altro passaggio chiave di questa storia. Quando tutti sanno – nel febbraio del 2015 – che Antonello è sotto indagine per mafia, in molti fanno ancora a gara per incontrarlo e chiedergli un favore. Il ministro Alfano all’indagato addirittura rafforza la scorta, poi lo incontra sette volte prima dell’arresto. Il presidente della Federazione antiracket Tano Grasso è faccia a faccia con il Cavaliere di Serradifalco sedici volte in otto mesi, pranzi, cene e – in cinque occasioni – viene anche lui «Aud», ascoltato segretamente. Un gesto di affettuosa vicinanza gli arriva anche dal vescovo di Caltanissetta Mario Russotto, che parte dalla Sicilia per raggiungere Avellino dove Montante è appena diventato nonno. L’inchino del monsignore.

 

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