Il Nobel per l’economia Paul Migrom e Robert Wilson di Stanford, compagni di studi quanto di affari, è un premio a uno dei più grandi conflitti di interesse nella storia dell’accademia americana. Sarà difficile dopo questa legittimazione contestare quelle commistioni tra ricerca accademica e mondo del business che tanto spesso distorcono i risultati della prima a beneficio del secondo. La giuria del Nobel riconosce il loro conflitto di interessi e i loro comportamenti discutibili, nelle 41 pagine di motivazioni scientifiche, ma li assolve e conferisce loro l’onorificenza più ambita. 

Milgrom e Wilson sono tra i massimi esperti di una branca abbastanza oscura dell’economia che si chiama market design, sono specialisti nella teoria e nella pratica delle aste. C’è qualcuno che vuole vendere e qualcuno che vuole comprare, bisogna costruire il meccanismo di mercato. La motivazione del premio più ambito nella disciplina è questa: “Hanno usato le loro intuizioni per progettare nuovi formati di aste per beni e servizi difficili da vendere in modo tradizionale, come le frequenze radio. Queste scoperte hanno prodotto benefici per i venditori, i compratori e per i contribuenti in giro per il mondo”.

Dimenticano una categoria: anche i fondi di private equity hanno beneficiato delle loro aste, grazie alle speculazioni realizzate con la consulenza di soci e colleghi di Milgrom e Wilson. I due economisti premiati dal Nobel disegnavano l’asta, i loro colleghi e amici spiegavano a fondi speculativi come trarne profitto. 

L’asta delle frequenze del 2017

La vicenda riguarda la colossale asta di frequenze radiotelevisive gestita dalla FCC, l’agenzia del governo americano per le comunicazioni, nel 2017, applicando una legge voluta dall’amministrazione Obama nel 2012. La FCC doveva riallocare le frequenza (pubbliche ma date in concessione) da operatori televisivi che le usavano poco o niente a compagnie telefoniche che dovevano usarle per offrire servizi Internet: le frequenze valevano quasi zero per le tv locali che le avevano ottenute negli scorsi decenni, ma valevano moltissimo per le società telefoniche. Esclusa l’ipotesi della revoca della concessione, la FCC decide di costruire un meccanismo di mercato.

L’obiettivo è evitare che le televisioni vendano soltanto una parte delle frequenze per ottenere il prezzo più alto dalle compagnie telefoniche, riducendo l’offerta inevitabilmente il prezzo sale. E il risultato scontenta tutti: le compagnie telefoniche strapagano un numero di frequenze inferiore a quello necessario e le televisioni si tengono frequenze di cui non sanno cosa farsi, mentre i consumatori hanno meno servizi di quelli che potrebbero ottenere se il passaggio delle frequenze fosse completo. 

La Fcc deve quindi costruire una complessa asta simultanea: con una mano compra le frequenze dalle televisioni, con l’obiettivo è spingerle a vendere quanti più pacchetti di frequenza possibili al minor prezzo. Con l’altra mano vende le frequenze comprate alle compagnie telefoniche, cercando di strappare il prezzo più alto possibile.

E’ un’operazione colossale, si spostano frequenze per un valore di 20 miliardi di dollari, il Tesoro americano ottiene un beneficio netto da 7 miliardi. Tutti contenti? Sì, ma c’è un dettaglio rilevante: un gruppo di fondi di private equity ottengono un profitto di 650 milioni di dollari. Noccioline, rispetto alle cifre in gioco, ma una montagna di soldi per questi investitori speculativi che si sono mostrati singolarmente lungimiranti. 

Il consulente degli speculatori

Nel 2011, quando si inizia a parlare di questa operazione (la legge arriverà nel 2012), Michael Dell inizia a comprare emittenti locali decotte che però in pancia hanno frequenze che si riveleranno preziose. Dell è quello dei computer Dell che però, nel tempo libero, si occupa anche di un fondo di private equity che gestisce i capitali di famiglia: Msd Capital. Msd Capital compra una serie di tv e le fonde in Ota Broadcasting per partecipare all’asta.

A fronte di un capitale investito di 61,6 milioni di dollari, ottiene profitti dall’asta della Fcc per 479,4 milioni. Niente male. Merito del fiuto e delle conoscenze politiche di Dell, ma anche del consulente giusto: Peter Cramton, un economista dell’Università del Maryland che ha lavorato per anni insieme a Paul Milgrom e che, durante gli anni di preparazione dell’asta, risultava ancora suo socio nella società Market Design Inc. Sempre in Market Design c’era anche un altro collega di Cramton, Lawrence Ausubel, anche lui all’Università del Maryland.

La società di Milgrom, Auctionomics, costruiva l’asta per la Fcc, quella di Ausubel (Power Auctions) la metteva in pratica. Per oltre un decennio, dal 1999 in poi, Cramton e Milgrom si sono impegnati per convincere prima la comunità accademica e poi regolatori e politici della necessità di spostare le frequenze dalle televisioni alle società di telecomunicazioni. Poi, dicono entrambi, hanno fondato le rispettive società, hanno iniziato a offrire consulenze ai lati opposti delle aste, ma tra loro non hanno mai parlato dei singoli progetti per evitare conflitti di interesse. Resta il fatto che, sul suo sito, Peter Cramton pubblicizza i suoi servizi di consulenza segnalando i rapporti con Paul Milgrom e con Ausubel, la cui società Power Auctions viene citata come “affiliata” a quella di Cramton. 

L’assoluzione 

Nei mesi scorsi questa storia è stata segnalata da Glen Weyl, oggi capo economista di Microsoft con un passato da accademico nella stessa branca di Milgrom, prima su Twitter e poi con un saggio su ProMarket.org, la testata dello Stigler Center dell’Università di Chicago che l’ha sviluppata in una serie di articoli. Paul Milgrom ha sempre ribadito di non essersi mai sentito in conflitto di interessi e ha pubblicato una aggressiva replica dal titolo Fact-checking delle accuse false di Glen Weyl e Stefano Feltri.

Oggi però è lo stesso comitato scientifico del Nobel a riconoscere che un problema c’era eccome: “Feltri e Weyl criticano il ruolo degli accademici impegnati nel progettare aste nel contesto dell’asta del 2019. Questi problemi possono limitare i benefici sociali in queste aste di nuovo tipo, ma gli stessi problemi sottostanti si manifesterebbero probabilmente in modo ancora più forte con sistemi alternativi di allocazione delle risorse”. Traduzione: sappiamo che i fondi speculativi privati hanno guadagnato centinaia di milioni nelle aste per le quali Milgrom ha vinto il Nobel, ma non ci interessa, perché poteva andare peggio.

Argomentazione bizzarra per degli economisti che passano la vita a elaborare modelli sofisticatissimi per sopperire all’impossibilità di conoscere gli scenari controfattuali, cioè cosa sarebbe successo se le cose fossero andate diversamente. Ma il problema non era nell’asta, bensì nel fatto che Paul Milgrom lavorasse per minimizzare i profitti dei privati dall’asta di un bene pubblico mentre il suo collega e compagno di ricerche Peter Cramton fosse pagato per massimizzarli. Il problema, insomma, non sono le regole del gioco ma il fatto che il socio dell’arbitro facesse l’allenatore di una delle due squadre in campo. Questo non è un problema di economia, ma di etica. Il comitato del Nobel, però, ha detto deciso di far finta di niente e di legittimare uno dei comportamenti più deleteri dell’accademia americana: l’assenza di barriere tra il mondo degli affari e quello della ricerca.

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